L’urna marmorea rinvenuta nel febbraio del 1899 da alcuni contadini impegnati in attività agricole nella tenuta di Villamagna, estrema periferia di Anagni, potrebbe tornare presto in Italia; ad interessarsi del caso dello straordinario reperto, oggi conservato nella galleria dedicata all’arte greco-romana di uno dei musei più importanti del mondo, il Metropolitan Museum di New York, sono i Carabinieri del Comando per la Tutela del Patrimonio culturale: i militari agli ordini del Generale di Brigata Roberto Riccardi, infatti, già da diversi mesi hanno attivato ogni canale utile a verificare, nel caso specifico, l’eventuale violazione delle leggi a protezione del patrimonio artistico durante il trasferimento all’estero dell’antico reperto imprimendo maggiore impulso all’attività di indagine finalizzata all’eventuale recupero del prezioso bene, unico nel suo genere, e alla sua restituzione alla comunità nazionale.
L’urna in questione – che misura in lunghezza cm. 54, in altezza cm. 36 ed in larghezza cm. 41 e che “fu destinata ad accogliere gli avanzi di un corpo abbruciato”, come spiegava l’archeologa Ersilia Lovatelli Caetani nel “Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma” pubblicato nel 1900 – venne disseppellita in località Colle Concervino, a due chilometri circa di distanza dal casale e dalla chiesa di Villamagna, nel fondo allora di proprietà dei fratelli Pietro e Giacomo Balestra, quest’ultimo senatore del Regno d’Italia nella XVIII legislatura.
“Il materiale di pregio usato (marmo lunense, n.d.r.) e la ricca e accurata decorazione ci dicono che sicuramente siamo di fronte ad un committente facoltoso, forse con una carriera nell’esercito, visto l’apparato decorativo, abitante nella valle del Sacco tra il I secolo d.C. e gli inizi del II secolo d.C.”, si legge in un articolo firmato dal giovane archeologo anagnino Paolo De Paolis su anagnia.com.
Dell’urna si erano persone le tracce in circostanze ignote nella prima metà del secolo scorso; forse, nel 1928, l’urna si trovava ancora ad Anagni. Dichiarata “dispersa” pochi anni dopo da Matilde Mazzolani – illustre archeologa, autrice di “Anagnia” – nel 1969 viene rintracciata a Londra tra le collezioni di John Hewett Kenneth, commerciante in arte etnografica e antichità e titolare di un importante lascito di oggetti antichi in favore del British Museum.
Ma le peripezie di questo magnifico reperto non si esaurirono nel Regno Unito: infatti una delle più gravi piaghe che incombono sul nostro patrimonio antico, cioè il commercio clandestino di reperti archeologici, non ha risparmiato questo capolavoro tanto che nel 1976 l’urna anagnina, in circostanze mai chiarite e mancando ovviamente della prescritta autorizzazione ministeriale, varcò i confini dell’Oceano approdando a Chicago. Successivamente, per tre volte cambiò proprietario fino a quando – nel 2002 – Carlos Picon, curatore responsabile della galleria di Arte greca e romana del Metropolitan Museum di New York, ne annunciò l’acquisto per 262mila dollari.
“È riccamente istoriata di trofei nei dettagli più raffinati e di alta qualità,” dichiarò Picon a The New York Times subito dopo l’acquisto: “l’urna è decorata con bottoni di guerra finemente intagliati: elmetti, lance, corna, spade, persino un tronco d’albero sbozzato grossolanamente drappeggiato in una tunica e sormontato da una corona di fiori. Il MET possiede solo quattro o cinque urne e la maggior parte di queste sono abbastanza standard. Questa è la più insolita rinvenuta sul mercato da oltre una generazione“.
Si ritiene che i disegni dell’urna – che mostrano i tipi di armi usate in battaglia dagli eserciti sconfitti da Roma – potrebbero essere stati copiati da un arco trionfale, ora perduto. L’urna era interrata nell’angolo di una cella o camera sepolcrale, priva del coperchio ed infranta in vari pezzi, “alcuni dei quali, appartenenti alla fronte ed alla testata destra – riferiva Ersilia Lovatelli Caetani – non fu possibile recuperare per quante ricerche ed escavazioni facesse a tal effetto il sig. dott. Pietro Balestra”.
Oltre al prezioso reperto, all’interno della camera sepolcrale giacevano alcuni scheletri e, poco distanti, tre anfore vinarie interrate, una delle quali – rotta – conteneva vari piccoli oggetti decorativi di un qualche stipetto od altro arnese lavorato in legno, distrutto dal tempo e dall’umidità. E’ assai probabile che tale luogo sepolcrale sia servito in tempi di decadenza a persone di bassa condizione e che l’urna marmorea, dopo essere stata rovistata e danneggiata, sia stata qui trasportata.
L’auspicio è, a questo punto, che il costante impegno profuso dai militari del Nucleo TPC di Roma che ha permesso di esprimere finora una efficace e coordinata azione non solo preventiva di salvaguardia e di tutela del patrimonio nazionale ma anche di recupero e di restituzione di beni di fondamentale importanza storica per il nostro Paese, serva a ricostruire la trama della appropriazione indebita di questo meraviglioso oggetto strappato dai resti della tomba anagnina, così da farlo tornare presto nel nostro Paese per riacquisire la sua funzione di testimonianza artistica e culturale del luogo di ritrovamento.
articolo e foto di Ivan Quiselli