Come il Coronavirus ha cambiato le nostre vite e quelle degli imprenditori che rappresentano la parte più importante del tessuto produttivo ed economico di questa provincia? A raccontarcelo è Anita Tarquini, segretaria territoriale della UIL di Frosinone, che ha raccolto sensazioni e stati d’animo di tre donne imprenditrici, tre storie diverse ma difficoltà simili.
Tiziana, Tamara e Maria Rita – questi i nomi delle ragazze – hanno affrontato in maniera diversa, ma tutte con egual coraggio, questa emergenza sanitaria.
“Le prospettive sono terribili, il futuro tutt’altro che roseo, almeno ad oggi – spiega Tiziana, titolare di un negozio di vendita di computer e assistenza informatica, rimasto aperto anche durante il lockdown come il codice Ateco imponeva. E, ancora: “sarebbe stato meglio rimanere chiusi perché non abbiamo visto alcun cliente in queste settimane, il fatturato è stato pari a zero, ed essendo stati aperti, non rientriamo nelle categorie che fanno parte di quelle per le quali lo Stato ha previsto degli aiuti”.
Dunque oltre al danno, dunque, la beffa che si è fatta ancor più pensate per altri aspetti: “a soffrire più di ogni altro è stato mio figlio che ho dovuto blindare a casa, con una baby sitter visto che anche mio marito è stato costretto a lavorare. Per tutelarlo abbiamo dormito in stanze separate, una sofferenza ulteriore per lui e per tutti noi”. Dal punto di vista economico si prevedono tempi duri: “Fatturato nullo a fronte di bollette e altre spese che sono arrivate puntualmente. Ad oggi ho ricevuto solo i 600 euro che non sono sufficienti neanche a pagare un mese di affitto.
Neanche il bonus baby sitter è stato saldato. Abbiamo fatto assistenza in remoto che in termini economici non ha portato nulla. Per noi poi, adesso, parte un periodo, quello estivo che usualmente è poco producente e porterà ad un altro calo del fatturato. L’unica strada – conclude Tiziana – è quella di stringere i denti e sperare”.
Tamara,è nel campo della vendita del caffè, un’attività che stava spiccando il volo prima dell’onda Covid-19 e l’inevitabile stop: “Le criticità – racconta – sono state diverse: macchine del caffè rimaste ferme negli uffici, chiusura per dieci giorni, durante le settimane di picco. Abbiamo sofferto un po’ non potendo servire neanche la nostra clientela consolidata. Ovviamente ci sono state delle perdite anche se non irreparabili. Ho tenuto mia sorella a casa assorbendo l’intero turno giornaliero. Tutto sommato possiamo dire di aver retto bene l’urto e ora speriamo di poter riprendere l’attività in pieno. Siamo pronti ad approdare sul web – sottolinea Tamara – e ampliare il nostro bacino d’utenza oltre i confini regionali e perché no anche nazionali”.
Maria Rita, ispettore Forestale per enti internazionali ed italiani che si occupano di rilasciare certificazioni specifiche per aziende del settore legno, vive in Lombardia, regione a rischio: “ricominciare a lavorare girando per le varie aziende (del settore legno e carta) in cui effettuo i miei controlli – spiega – è stato un po’ problematico. Ho ripreso il 4 maggio ma sia io che i referenti delle ditte con cui interagisco durante i miei audit, abbiamo convenuto quanto sia paradossale e decisamente un po’ “complicata” la situazione, considerando che, portando obbligatoriamente le mascherine, non è possibile neanche vedersi in viso e le sue espressioni, aspetto fondamentale nel mio lavoro. C’è un senso di prudenza diffuso, ovunque saponi igienizzanti per le mani, guanti in dotazione, regolamenti per il Coronavirus affissi nelle aziende, riunioni effettuate con pochi presenti e tutti a distanza, saluti da lontano fatti con un cenno del capo e c’è anche, fra tutti, il pensiero comune di un “chissà se tutto andrà bene e quando”.
articolo a cura di Francesco Recchia