Le compagnie anagnine della SS.ma Trinità hanno festeggiato con la celebrazione Eucaristica in piazza Cavour, la solennità liturgica della SS.ma Trinità, non potendo recarsi in pellegrinaggio al santuario diocesano di Vallepietra sul monte Autore, per le disposizioni ancora in atto anti Covid.
La messa è stata presieduta dal parroco della Cattedrale don Marcello Coretti, coadiuvato dal diacono permanente Vincenzo Pesoli.
Presenti moltissimi fedeli, che secondo gli ordinamenti previsti, hanno preso posto dinanzi all’altare circondato da tutti gli stendardi delle parrocchie cittadine e delle zone limitrofe. Ad animare la messa il gruppo dei musicisti con le trombe che hanno accolto all’inizio ed in chiusura della celebrazione, i pellegrini in piazza Cavour, insieme all’amministrazione comunale capeggiata dal sindaco Daniele Natalia, che ha rivolto anche un messaggio di saluto molto sentito ai presenti.
Don Marcello Coretti ha tenuto anche l’omelia, facendo capire che il sacrificio di quest’anno di non recarsi a piedi al Santuario, come è tradizione da secoli, soprattutto per Anagni e per i paesi della nostra diocesi, ma anche da diverse regioni limitrofe al Lazio e non solo, vale come lo stesso pellegrinaggio a piedi, facendolo spirituale, “soprattutto spirituale” come in realtà dovrebbe essere. “Cosa ci spinge a fare il pellegrinaggio al Santuario della SS.ma Trinita? Può essere una chiamata, una voce che cresce dentro di noi giorno dopo giorno. Che matura nel tempo. Che ci spinge a guardare lontano. Può essere una necessità o una curiosità. O semplicemente la voglia di posare lo sguardo, e l’anima, su qualcosa di nuovo, mai visto e sentito.
Può essere un pretesto per viaggiare, che diventa molto di più. Un viaggio che non procede orizzontale, sulla superficie, ma scava nel profondo, dentro di noi. Può essere una fuga, un rifiuto di quello che ci circonda e al quale torneremo. Ma diversi, cambiati. Può essere il coronamento di una scelta – ha detto tra l’altro don Coretti – una conferma o una sorpresa. Può essere una risposta agli interrogativi che ci assillano da tempo o può rompere con tutte le risposte con le quali siamo soliti rispondere. Può procedere da un bisogno di silenzio o confronto, di solitudine o partecipazione.
Ma un pellegrinaggio è sempre un’esperienza unica e indimenticabile, che arricchisce la vita. Non è mai solo un viaggio fisico, ma soprattutto un viaggio spirituale, come è successo quest’anno. Che ci avvicina a Dio, al creato. Il pellegrino, il cristiano che va al santuario della Trinità a Vallepietra, come in qualsiasi altro luogo sacro, si sveste dai panni della quotidianità e scopre una dimensione altra, di conversione. E guarda il mondo con uno sguardo nuovo, accogliente: il vero viaggio di scoperta – ha concluso don Marcello – non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Molto suggestivo, dopo la benedizione finale, il saluto tra gli stendardi e gli stessi fedeli-pellegrini, tutti o quasi con la maglia della loro compagnia di appartenza, ma uniti dalla stessa fede e devozione, verso l’antichissimo affresco del secolo XI che rappresenta la SS. Trinità, eseguito su un intonaco particolare che presenta filamenti di paglia e fiori. Raffigura le “Tre Persone” (Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo) solennemente sedute, ciascuna con un libro aperto, sorretto dalla mano sinistra e benedicenti alla maniera Greca, cioè il pollice e l’anulare della mano desta.
Sulle origini del Santuario – dove questa mattina si è recato privatamente per la celebrazione della messa il vescovo monsignor Lorenzo Loppa, insieme al Vicario Generale, Rettore dello stesso Santuario e parroco di Vallepietra monsignor Alberto Ponzi – vi sono diverse ipotesi e leggende. La prima, di origine popolare, narra di un contadino che mentre arava il terreno in cima al colle della Tagliata vide cadere, nel sottostante precipizio, i buoi e l’aratro.
Portatosi sul ripiano alla base della grande parete rocciosa vide, con grande meraviglia, i buoi inginocchiati davanti ad un misterioso dipinto della Trinità, apparso all’interno di una piccola grotta. La seconda leggenda, di carattere letterario, è stata trasmessa da una pergamena andata poi distrutta, ma della quale è pervenuta una copia che racconta di due ravennati, che per sfuggire alla persecuzione di Nerone, si rifugiarono sul Monte Autore dove furono visitati dagli apostoli Pietro e Giovanni che avevano appena attraversato il Regno di Napoli. Un angelo apparso ai quattro portò loro dal cielo il cibo e fece scaturire dalla terra la sorgente, e il giorno seguente apparve la Santissima Trinità che benedisse il Monte Autore alla pari del Sinai e dei luoghi santi della Palestina.
Al di là di questi racconti, gli studiosi ritengono che il Santuario sia sorto su un antico Tempietto Pagano, e fondato dai Benedettini di Subiaco a da Monaci Basiliani rifugiati nella grotta, che sarebbero stati anche gli autori dell’affresco della Trinità. Un’altra ipotesi attribuisce la fondazione del Santuario della Santissima Trinità a San Domenico di Sora (1031), come riferisce una biografia del Santo.
Al pellegrino si presenta lo spettacolo impressionante dello scoglio, roccia tagliata a strapiombo alta 300 metri, che si apre a metà altezza in uno stretto piazzale su cui poggia il piccolo Santuario. Nel piazzale sorgono diversi centri di devozione: la chiesetta-Santuario della SS. Trinità, la Cappella del Crocefisso, La Cappellina di Sant’Anna e quella di San Giuseppe, restaurata per l’Adorazione Eucaristica. La manifestazione più suggestiva e caratteristica del Santuario – all’alba della festa della Trinità- è “il pianto delle zitelle” giovani donne di Vallepietra, vestite di bianco, piangono il Cristo morto, rievocando le scene della passione con struggente intensità, che quest’anno a causa della pandemia e della chiusura del santuario ai fedeli, non è stato possibile predisporre.
articolo e foto di Sante De Angelis