Gigi Proietti se ne è andato proprio la mattina del suo compleanno, oggi infatti avrebbe compiuto 80 anni. L’ultimo colpo di scena del grande mattatore, e chissà che battute ne saprebbe tirare fuori lui. Era nato a Roma il 2 novembre 1940 ed era ricoverato da due settimane in clinica per gravi problemi cardiaci.
Luigi «Gigi» Proietti era poliedrico come i suoi personaggi, un talento puro come Leopoldo Fregoli, il trasformista cui aveva dedicato uno sceneggiato nel 1981, o come il genio della lampada di Aladino a cui aveva prestato la voce nel cartoon Disney. «Un esibizionista allegro» si definiva lui, esuberante e irresistibile. Un uomo da mille facce: capace di essere un Mangiafuoco spaventoso nell’ultimo «Pinocchio» di Garrone, un «Maresciallo Rocca» rassicurante per milioni di italiani, così come un coinvolgente e confortante Filippo Neri nella fiction “Preferisco il Paradiso”. Romano fino al midollo ma aperto al mondo e alla cultura, sua la decisione di costruire un Globe Theatre shakespeariano nel 2003 all’interno dei giardini di Villa Borghese, per commuovere il pubblico più largo possibile con la poesia e la tragedia del Bardo.
Un uomo tanto generoso sul palco e nella vita pubblica – solo di recente ricordiamo il suo appello «ai nonni d’Italia» perché non si mettessero a rischio di contagio Covid – quanto riservato nella vita privata, sposato dagli Anni 60 con Sagitta Alter, guida turistica svedese, dalla quale ha avuto due figlie: Susanna e Carlotta. Grande figura di maestro e insegnante per i giovani, scopritore di talenti al Teatro Brancaccio di Roma, dove negli Anni 70 aveva creato un laboratorio di esercitazione sceniche: «Come diceva Gassman (di cui era grande amico), ai giovani attori, ho insegnato loro tutti i miei difetti» diceva con la sua ironia affettuosa. Enrico Brignano, Flavio Insinna, Giorgio Tirabassi, per citarne solo qualcuno, vengono dalla sua scuola.
«I classici sono tali perché non ‘chiudono’, non finiscono mai di interessare» diceva Proietti di Shakespeare. Non possiamo pensare a una definizione migliore per lui.
Così, per ricordarlo, ripropongo in esclusiva per “Anagnia”, l’unica intervista che concesse – davvero indimenticabile – che gli feci ad Anagni, in occasione del Festival Teatro Medievale e Rinascimentale di cui fu protagonista la sera del 24 settembre 2002. Dopo una cena rigorosamente ristretta, insieme con me, al sindaco dell’epoca Franco Fiorito e ed alcuni Carabinieri della Compagnia e Stazione di Anagni, al ristorante “Hernicus”, si mise a mia disposizione per una serie di domande.
Eccola integrale!
Incontrare un artista completo come Gigi Proietti può essere utile a ricostruire il significato del suo perdurante successo e della sua ecletticità, che lo ha visto realizzarsi come attore di teatro e di cinema, ed indossare con estrema naturalezza i panni del maresciallo Rocca (enorme successo televisivo e, tra l’altro, dallo scorso 23 settembre, sono iniziate a Viterbo le riprese della quarta serie) o quelli dell’avvocato Porta, affrontando la popolarità televisiva con la naturalezza e l’umile ironia che spesso sono il tratto distintivo di una personalità vincente.
Gigi, la recitazione è più istinto o scuola?
“Il teatro è il luogo dove idealmente ma, purtroppo, raramente, si possono conciliare i due opposti, cioè dove il massimo dell’emozione e dell’abbandono si fonde col massimo del controllo”.
Il teatro, è più l’attore, l’autore o il regista?
“Il regista viene buon terzo, e a distanza. Il primo è l’attore, anche perché paradossalmente, ci può essere un teatro senza autore, ma non senza attore”.
Prima dote di un attore?
“La disponibilità a cambiare, cioè, idealmente un attore dovrebbe essere stupido, vuoto (per essere riempito di altre cose). E disposto a vendere la propria anima per ricevere quella altrui”.
L’attore deve essere colto o ignorante?
“Può essere anche colto. Purché abbia talento”.
Cos’è il talento?
“Qualcosa di indefinibile. Forse, anche labilità di carattere”.
Perché dice che il teatro è un gioco?
“Perché tutte le categorie del gioco (l’agonismo, il rischio, la vertigine e, soprattutto, la mimesi, cioè la rappresentazione, l’imitazione) vi sono variamente presenti”.
Meglio il genere drammatico o quello comico?
“Non ho preferenze. Mi piace far ridere, ma anche far piangere. Ma far piangere non è così facile. Forse, è più facile suscitare una certa malinconia. Far ridere, invece, è strettamente collegato col senso del tempo”.
Cambiamo argomento. Un viaggio nelle istituzioni, spesso rappresentate dalla televisione e dal cinema. Iniziamo dalla famiglia..
“Fondamentalmente credo nella istituzione della famiglia, sia intesa come tradizione ed eredità sacra, che come nucleo fondamentale della società. Purtroppo oggi la famiglia in sé ha subito un grosso cambiamento e andrebbe ridefinita del tutto. Mi accorgo anche in televisione, quando ci poniamo l’ipotesi di avere come target una famiglia tipo. Io non sono sposato, ma convivo quasi da trentacinque anni con una donna e abbiamo due figlie, di venti e ventitré anni, il nostro legame si rinnova continuamente”.
La tua opinione sulla giustizia?
“Siamo in un’epoca di riassestamento anche per quanto riguarda la giustizia e di questo non vale solo per le riforme che per me dovrebbero andare di pari passo con l’etica, con la coscienza di ciascuno di noi”.
E la rappresentazione un po’ fumettistica della giustizia che viene rappresentata in film tv come il “Maresciallo Rocca”?
“Ma qui interviene la problematica delle conseguenze della repressione del crimine. L’intervento della forza pubblica non deve essere finalizzata a sé stessa, ma deve essere supportata da un valido programma di recupero, di rieducazione, solo che effettivamente, non viene fatto quasi mai. Non ha senso per me aver voluto chiudere i manicomi, ad esempio, se poi non ci sono altre strutture alternative più dignitose”.
Come hai vissuto l’avvento di questo nuovo millennio?
“Fondamentalmente non sento molto questo cambiamento, perché si tratta solo di una divisione del tempo voluta dall’ uomo è non è neppure uguale per tutti. Vorrei che fosse allora una occasione per riflettere di più, e, visto che tutti ne parlano inevitabilmente, allora che fosse soprattutto un momento di scambio e di condivisione. Personalmente continuerò a fare teatro come ho sempre fatto, perché questa è la mia vita.
La televisione, che tanto potere ha oggi, spesso non riesce a comunicare veramente, ma intrattiene soltanto il pubblico in modo più o vero vario.
Il Teatro è diverso, perché lo spettatore segue dal vivo i vari personaggi e può carpirne le emozioni dell’attore. Mi auguro che si riesca a recuperare di più questa. Purtroppo oggi regna la dura legge del mercato e gli stessi “padroni del mercato” ne sono schiavi. Questo non è affatto un bene, perché condiziona tutti fino alla esasperazione.”
articolo e foto a cura di Sante De Angelis