Civis è intervenuta nel procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale per l’impianto di produzione di biometano di Anagni fin dal suo avvio nel 2017; lo conosce perfettamente.
Nelle Osservazioni che presentò nel 2018, l’associazione rilevò che il progetto aveva alcune criticità, fra le quali le più importanti erano la distanza dagli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante RIR presenti nell’area, e la mancanza dell’indagine ambientale sul suolo, sottosuolo ed acque di falda, per verificare -come impone la normativa sul SIN- la presenza di eventuali contaminazioni.
Dette osservazioni furono totalmente accolte dalla Regione che invitò la società proponente Energia Anagni srl (all’epoca posseduta per il 100% delle quote da Saxa Gres spa), ad integrare il progetto e modificarlo.
E così è stato fatto da parte dei tecnici della società, che ha aggiornato i presidi tecnologici ed ambientali dell’impianto. Perciò, a nostro parere e per quel poco che conta, oggi il progetto è valido e la VIA positiva rilasciata dalla Regione Lazio esente da mancanze.
Inoltre, la società proponente ha chiarito assetti societari, investimenti e finalità: ora Energia Anagni srl è controllata da A2A, uno dei player più importanti nella produzione di energia e recupero dei rifiuti, mentre restano in partnership in quota minoritaria la SAF spa e la Saxa Gres spa.
Coloro che -in modo battagliero e convinto- sostengono che invece il progetto dell’impianto di produzione di biometano sia deleterio per ambiente e salute, debbono portare a sostegno delle loro tesi argomenti fondati, riscontri certi, l’indicazione precisa delle normative di tutela ambientale e sanitaria che si ritengono violate e perché. A maggior ragione se si vuole impugnare avanti al TAR del Lazio il provvedimento della Regione per farlo dichiarare illegittimo.
Altrimenti è aria fritta come molta di quella che mercoledì scorso ha invaso la Sala della Ragione, altro che emissioni odorigene….
Servono conoscenze e competenze non pre-giudizi
Ora, già è grave che la maggioranza dei cittadini non sappia che fine fanno la plastica, la carta, le lattine, il vetro e gli scarti alimentari delle loro tavole dopo che ha collocato i mastelli davanti alla porta di casa, ma che non lo sappiano i consiglieri comunali ed i rappresentanti delle associazioni ambientaliste, è imperdonabile.
Era evidente che la maggior parte dei presenti non conosceva il funzionamento di un impianto di trattamento dei rifiuti come quello progettato ad Anagni, e pochi fra loro avranno visitato una discarica o un termovalorizzatore.
Pochi dei presenti conoscevano i principi di gestione del ciclo dei rifiuti, le differenze fra economia lineare e circolare, le competenze dei vari enti in materia ambientale e sanitaria; pochissimi erano informati sui contenuti del recente Piano di Gestione Rifiuti del Lazio che assieme al Codice dell’Ambiente, stabilisce le regole per la collocazione sul territorio degli impianti.
Non è certo obbligatorio possedere queste nozioni, ma chi interviene pubblicamente in un Consiglio Comunale, che sia un eletto o un appartenente alle associazioni ambientaliste, ha l’obbligo di informarsi adeguatamente.
Vorremmo rammentare che la raccolta differenziata che impegna i cittadini (e sono bravi: nella Provincia di Frosinone nel 2020 hanno superato il 60%) viene fatta per un fine: recuperare e riciclare i rifiuti per impedire di consumare altre risorse ambientali, estrarre petrolio, tagliare i boschi, scavare le montagne, prosciugare fonti e fiumi, ecc.
E non è solo una questione etica: il recupero dei rifiuti è imposto dalle norme europee e da quelle italiane.
Ma la plastica, la carta, le lattine, il vetro, gli scarti alimentari (la frazione organica), non si riciclano da soli, per grazia divina.
Dal mastello o contenitore nel quale i cittadini li hanno messi, vengono indirizzati ad impianti industriali che li triturano, li sciolgono, li impastano per diventare nuovi barattoli, nuove bottiglie, nuovi quaderni, nuovi oggetti e prodotti di uso quotidiano.
La frazione organica, ovvero gli scarti alimentari dei nostri pasti, gli sfalci dei nostri giardini, le potature nelle campagne, persino il taglio delle erbe infestanti che in questi giorni vengono rimosse lungo le nostre strade, costituisce oltre il 30% dell’intera raccolta differenziata.
La frazione organica della raccolta differenziata DEVE ESSERE RECUPERATA, come tutte le altre: la produzione di biometano è un metodo efficiente ed efficace per farlo.
Altrimenti non potrà che finire in discarica, in violazione delle direttive europee e delle leggi italiane, e con -quelli sì più che certi- danni ambientali.
Inoltre, la mancanza di impianti di trattamento dei rifiuti può favorire lo smaltimento criminale: quando lo smaltimento è un costo ci sarà sempre qualcuno che cercherà di evitare di pagarlo attraverso metodi e “scorciatoie” (interramenti, sversamenti nell’ambiente, ecc.) che la criminalità organizzata è pronta a fornire; quando, invece, i rifiuti sono una risorsa economica attirano gli investimenti ed i capitali sani, perché la maggior parte degli imprenditori vuole fare utili senza violare la legge; a meno che anche su questo ci sia un pre-giudizio, come ha fatto notare con un ottimo intervento in Consiglio il sindacalista Mauro Piscitelli.
In proposito, il Rapporto 2021 della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica, già citato da www.alessioporcu.it, contiene un interessante passaggio sull’impiantistica del ciclo dei rifiuti:
“Una gestione efficiente ed efficace dei rifiuti rappresenta uno degli snodi fondamentali affinché l’Economia Circolare possa dispiegare pienamente i suoi benefici, assicurando un contributo stabile e duraturo nel sostegno all’occupazione e alla creazione di valore aggiunto. Come riportato anche nel recente “Nuovo piano d’azione per l’economia circolare” dell’Unione Europea (UE), le potenzialità dell’Economia Circolare si quantificano in un contributo di mezzo punto percentuale alla crescita del Pil e nella creazione di 700mila nuovi posti di lavoro entro il 2030”.
La prima e la seconda “bufala”
E neppure si può sostenere, come qualcuno ha fatto, che bisognerebbe costellare di piccoli impianti di recupero tutta la nostra Provincia; infatti, la quantità della frazione organica è tale -e aumenterà con il crescere della percentuale di raccolta differenziata- che non è possibile tecnicamente soddisfare il fabbisogno con venti o trenta piccoli impianti sparsi sul territorio.
E questo è lo spunto per evidenziare la prima “bufala” rifilata nella Sala della Ragione: contrariamente a quanto affermato nel corso del Consiglio, le frazioni della raccolta differenziata non soggiacciono al divieto di circolazione al di fuori del territorio di produzione, divieto che invece vale per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati (il sacco nero, o il mastello grigio per intenderci) ed i relativi impianti (TMB, termovalorizzatore e discarica), che non debbono uscire dall’ambito Provinciale.
Infatti, proprio perché la normativa prevede che le frazioni differenziate dei rifiuti devono essere sempre recuperate e riciclate e bisogna favorire questa attività, le stesse possono circolare liberamente su tutto il territorio nazionale, tanto che -come è noto- la frazione organica dei nostri rifiuti oggi viene trasportata e recuperata in un impianto in Provincia di Padova.
Perciò, sostenere che ci sia un limite alla potenzialità degli impianti per il trattamento dei rifiuti differenziati legato al fabbisogno provinciale, è del tutto errato.
La seconda “bufala” è quella relativa al fatto che l’impianto di biogas vada collocato altrove, in area diversa e che il progetto sia, sul punto, illegittimo.
Il Codice dell’Ambiente, Art.196 comma 3, stabilisce che le Regioni debbono privilegiare la localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti nelle aree industriali; il Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio, conferma tale indicazione e ne fa un preciso obbligo.
Perciò, l’impianto di produzione di biometano di Anagni, essendo collocato nell’area ASI rispetta la normativa; se fosse progettato in altro luogo la violerebbe.
E ci sono delle precise ragioni a fondamento di questa disposizione: nelle aree industriali, appunto destinate allo sviluppo industriale, ci sono le infrastrutture ed i presidi, anche ambientali, per la corretta gestione delle attività.
Sostenere che gli impianti di trattamento dei rifiuti vanno collocati in aree agricole, o in altre zone, è una sciocchezza.
La terza “bufala”
Sempre in relazione alla collocazione dell’impianto, i Consiglieri Comunali di minoranza hanno presentato un documento nel quale si legge che il parere positivo reso dall’Amministrazione Comunale alla realizzazione dell’impianto sarebbe in contrasto con la “moratoria” contenuta nella Delibera del Consiglio Comunale n. 8 del 30 Marzo 2017, la quale costituiva un atto d’indirizzo inteso a vietare sul territorio comunale “l’insediamento o autorizzazione di nuovi impianti industriali di gestione dei rifiuti urbani e speciali, pericolosi e non pericolosi, che servano esigenze ulteriori rispetto a quelle comunali” .
All’epoca quella moratoria fu proposta da Civis e non solo al Comune di Anagni, ma anche a tutti i Comuni del nord della Provincia nei cui territori ricadevano le aree industriali; abbiamo conservato l’intera documentazione, incluse le PEC con le quali inviammo la proposta al Sindaco di Anagni, Dott. Bassetta.
Oltre al Comune di Anagni aderirono all’invito di Civis il Comune di Ferentino e quello di Patrica, con testi ed accenti diversi ma con identico obiettivo, che però non è quello che hanno erroneamente rappresentato i Consiglieri comunali, strumentalizzando politicamente la ratio della delibera comunale.
L’idea di proporre una moratoria nella collocazione di nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti nella Valle del Sacco era già stata avanzata da Legambiente prima del 2017, ma non era mai stata concretizzata.
In seguito ad una riunione del Coordinamento dei Sindaci della Valle del Sacco, svolto nella sala consiliare di Ferentino nel Febbraio 2017, Civis prese l’iniziativa di scrivere a tutti i Sindaci dell’area nord della Provincia proponendo la detta “moratoria”, che si basava su di una semplice constatazione: la Provincia di Frosinone sarebbe diventata la sede principale dei nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti poichè possiede le aree industriali più idonee ed ambite dell’intera Regione, ovvero le zone dove la normativa prima indicata impone che devono essere collocati detti impianti.
Inoltre, i Piani Urbanistici sia dell’ASI che dei Comuni, non vietano l’insediamento degli impianti, ma anzi li favoriscono.
E visto che Roma Capitale e la sua provincia continuavano ad essere carenti, come oggi, di impiantistica e di aree industriali adeguate, era scontato che gli investimenti su attività dedicate ai rifiuti si sarebbero rapidamente indirizzati verso la nostra Provincia, come è puntualmente avvenuto negli anni successivi.
In quella riunione del Coordinamento dei Sindaci, presenti molte associazioni ambientaliste, proponemmo ai partecipanti una strategia d’intervento.
Puntare sull’economia circolare spiegando ai cittadini che il recupero e riciclo dei rifiuti è vantaggioso per tutti oltre che imposto dalle leggi, evitando la “sindrome di Nimby” e pretendendo che la progettazione ed il controllo degli impianti siano indirizzati al più rigoroso rispetto delle normative di tutela ambientale e sanitaria. Gli enti locali e le pubbliche amministrazioni coinvolte nei procedimenti di autorizzazione degli impianti, devono svolgere il loro ruolo con particolare attenzione e scrupolo per evitare infiltrazioni criminali e per verificare il rispetto delle tutele.
Nello stesso tempo, andavano cambiate alcune “regole del gioco”, ovvero modificare i Piani Regolatori, inclusi quelli dell’ASI, per selezionare e contingentare l’impiantistica che sarebbe stata realizzata sul nostro territorio, sviluppando quella dedicata al recupero e riciclo delle frazioni differenziate, ed opponendosi a quella per i rifiuti indifferenziati, per i quali ogni Provincia deve essere autosufficiente.
E poiché in questo campo sono i sindaci ed i Comuni a dettare le regole, sia per i Piani regolatori, sia perché gli enti locali sono i soci dell’ASI, spettava a loro prendere delle deliberazioni d’indirizzo, e successivamente intervenire sui PRG e sull’ASI.
I pochi Comuni che hanno aderito alla proposta di Civis, fra i quali Anagni, hanno sì deliberato gli atti di indirizzo in tal senso, ma poi non hanno mai proceduto con quelle modifiche dei piani regolatori necessarie alla tutela del territorio, disattendendo quanto deliberato.
Ed ecco perché quanto affermato nel documento reso dai consiglieri di minoranza è una “bufala”: quella moratoria non si è mai concretizzata poiché la Giunta dell’epoca non ha mai dato corso all’atto d’indirizzo contenuto nella delibera del consiglio comunale, non ha mai voluto, in realtà, attuare la moratoria.
Pretendere oggi dagli Uffici comunali e dal Sindaco il rispetto di quell’atto -rimasto sulla carta- è solamente una boutade politica.
A conferma che non c’era alcuna volontà di realizzare quella moratoria, avvenne che un sindaco del Partito Democratico -quello stesso Partito che oggi rivendica la moratoria di Anagni- scrisse un articolo, condiviso con un post sui social di cui conserviamo gelosamente una copia, affermando che la proposta di Civis “prendeva in giro i cittadini”.
In verità molti rappresentanti politici ed eletti mancano di una visione strategica, non vogliono o non riescono a proporre e pianificare un modello di sviluppo che possa coniugare ambiente e sviluppo.
Cercano i voti di protesta, non i voti di proposta.
Non tutti per fortuna: a Roccasecca un’intesa politica ed amministrativa assolutamente trasversale ha gettato le fondamenta della Green Valley, unica iniziativa integrata e sinergica per lo sviluppo dell’economia circolare in tutto il Lazio.
La “bufala” finale
La rappresentante di Legambiente Anagni nel suo intervento ha affermato che il comportamento della Regione Lazio nel dare VIA positiva all’impianto di SAF e Saxa Gres, è contraddittorio rispetto alla decisione presa qualche anno prima per l’impianto della Rodesco a Ferentino per il quale aveva dato invece parere negativo.
La Dott.ssa Ambrosino ha sostenuto che i progetti dei due impianti sono identici.
Nulla di più sbagliato. E può ben dirlo Civis che contrastò la realizzazione di quell’impianto fin dall’inizio e fu costretta ad affrontare più di un giudizio avanti al TAR del Lazio per averne ragione.
L’impianto progettato dalla Rodesco non era destinato alla produzione di biometano ma di compost e concimi ricavati dalla frazione organica dei rifiuti con un procedimento aerobico, e quindi con una sicura emissione odorigena di notevole entità, a differenza di quello di Anagni che basa la trasformazione del rifiuto su di un procedimento anaerobico.
Inoltre, la tecnologia dell’impianto era obsoleta, la sua collocazione -seppure in area industriale- non teneva conto dei vincoli paesaggistici esistenti (distanza da fonti e corsi d’acqua), e non c’era alcuna indagine ambientale sulle matrici ambientali per il SIN.
Per queste ragioni, ed altre, la Regione Lazio valutò negativamente il progetto, completamente diverso da quello di Energia Anagni srl.
Fu una battaglia durissima, alla quale rimasero però indifferenti ed assenti proprio le associazioni che la settimana scorsa hanno partecipato al Consiglio Comunale di Anagni; si limitarono a partecipare ad una manifestazione pubblica disinteressandosi completamente del procedimento di VIA.
Ora, il principio secondo il quale si valuta caso per caso la realizzazione dei nuovi impianti per i rifiuti è corretto, e Civis lo applica da sempre.
Però, ci consenta Legambiente, perché contrarietà all’impianto anagnino ed invece assenso incondizionato a quello di Frosinone, questo sì pressochè identico per tecnologia, destinazione e localizzazione all’iniziativa di Anagni?
E perché sull’altro impianto per la produzione di biometano della Recall a Patrica, Legambiente rimane su di una posizione ambigua, mentre invece è netta negli altri due casi?
“ia che ce guadambio?” (io cosa ci guadagno?)
Nella ricorsa alle “bufale” che pascolavano nella Sala della Ragione, nessuno ha fatto la domanda secondo noi più importante: i cittadini che vantaggio hanno dall’impianto per la produzione di biometano?
Ed intendiamo le ricadute dirette ed immediate sul piano economico e sociale, non solamente quelle a medio e lungo termine e sul piano ambientale.
Andava chiesto al Dott. Migliorelli se è vero che con l’impianto di Anagni la tariffa per il trattamento della frazione organica di tutti i Comuni scenderà dagli oltre 150 €/ton di oggi, a circa 100 €/ton.
Perché, se ciò fosse vero, equivarrebbe ad una diminuzione delle tariffe TARI e quindi ad un sicuro e diretto risparmio per tutti i cittadini.
Inoltre, andava chiesto al Dott. Migliorelli come la SAF spa, partecipata pubblica da tutti i Comuni della Provincia di Frosinone e partner del gruppo A2A e di Saxa Gres nel progetto dell’impianto, intende utilizzare la parte di utili che le compete e che ricaverà dalla produzione di biometano.
Infatti, mentre A2A e Saxa devono fare utili per remunerare l’investimento, la SAF spa ha un ruolo pubblico ed una mission diversa.
Perciò sarebbe stato interessante conoscere quali sono le intenzioni della SAF spa, e magari suggerire di reinvestire detti utili in alcune attività di risanamento ambientale o di miglioramento delle condizioni socio-economiche dei cittadini della Provincia di Frosinone e della città di Anagni.
L’invito sbagliato e quello omesso
Con franchezza, l’intervento della Dott.ssa Anna Natalia di Anagni Viva è stato un errore.
La rappresentante dell’associazione ha invitato i Consiglieri comunali a sollecitare la Regione Lazio nella verifica del rilascio di tutte le autorizzazioni emesse nel periodo nel quale ha diretto gli uffici regionali l’Ing. Tosini, protagonista di un procedimento penale nel quale è accusata di aver favorito l’imprenditore Lozza nell’ottenere le autorizzazioni ambientali necessarie alle sue imprese (discariche di Roccasecca e di Roma).
L’insinuazione palese era che anche sulla VIA dell’impianto di biometano di Anagni ci fossero opacità similari.
Insomma, nella notte nera tutti i gatti sono grigi.
Ora, premesso che i promotori dell’impianto di Anagni non hanno bisogno di difensori d’ufficio, vale precisare che l’indagine della Procura di Roma riguarda appunto le discariche di Roccasecca e Monte Carnevale (Roma), e non altri impianti. E che il responsabile del procedimento di VIA dell’impianto di Anagni non è l’Ing. Tosini, ma altro funzionario regionale, come è scritto a chiare lettere nell’atto regionale.
E però ci preme sottolineare come per la vicenda della discarica di Roccasecca (che Civis ha seguito costantemente) che ha visto diversi ampliamenti dell’istallazione resi manu militari dalla Regione Lazio (per ben tre volte è stato necessario l’intervento del Consiglio dei Ministri), non è stato speso lo stesso impegno da parte delle associazioni ambientaliste della Valle del Sacco (fra le quali Anagni Viva) per reclamare la tutela dei cittadini di Roccasecca e dei Comuni limitrofi, ma solo timidissime prese di posizione o totale disinteresse.
E’ un atteggiamento che abbiamo ribattezzato “egoismo ambientalista”, ben peggiore della “sindrome di Nimby”; ognuno cura il suo orticello e cosa importa se tutt’attorno è il deserto.
Ed infatti, l’invito che invece poteva essere rivolto ai Consiglieri comunali, era quello di richiedere con forza e reclamare nei confronti della Regione Lazio decisioni ed interventi affinchè Roma Capitale si doti della sua discarica e degli altri impianti necessari alla gestione dei rifiuti INDIFFERENZIATI, senza continuare a ricorrere continuamente e con arroganza al nostro territorio.
E qui sì che bisogna fare il calcolo dei TIR che viaggiano da Roma e portano i rifiuti negli impianti della Provincia di Frosinone, e Civis lo ha fatto: in questi ultimi cinque anni un numero di circa 96.500 camion ha attraversato la Valle del Sacco per conferire i rifiuti romani nei nostri impianti, per un totale di circa 193.000 transiti (96.500 in entrata più 96.500 in uscita); se li mettessimo tutti in fila (un TIR misura 15 metri) questa sarebbe lunga circa 2.900 km, la distanza fra Roma e Mosca.
E’ la quantità di emissioni (PM 10) prodotta da questi TIR che ha sicuramente contribuito al peggioramento della qualità dell’aria, non certo quella che produrranno i mezzi che porteranno i rifiuti presso l’impianto di Anagni.
Insomma, si guarda il dito e non la luna.
Infine, il 01 Luglio sarà avviata la conferenza di servizi per l’autorizzazione alla quarta linea del termovalorizzatore di San Vittore del Lazio, in ampliamento all’installazione.
Fuor di metafora: per compensare il deficit di fabbisogno venuto meno con la chiusura dei termovalorizzatori di Colleferro, si procede con l’ampliamento di San Vittore del Lazio; e anche in questo caso nel totale disinteresse delle associazioni della Valle del Sacco e dei sindaci dei Comuni dell’area nord della Provincia: altro chiaro esempio di “egoismo ambientalista”.
Dov’è finito lo studio epidemiologico sui residenti nel SIN bacino del fiume Sacco?
La questione delle ricadute sanitarie dovute al SIN ed alla presenza delle aree industriali nella Valle del Sacco è dibattuta da tempo, e spesso con un’enfasi e con dei preconcetti che non aiutano nella risoluzione dei problemi.
Senza perifrasi, ad oggi non esiste alcuno studio scientifico, validato da Enti terzi, che dimostri che nella Valle del Sacco vi è aumento delle patologie che causano decessi, in specie dei tumori, in percentuale maggiore alla media del Lazio e di quella nazionale; tantomeno esistono riscontri che tale preteso aumento, se esiste, sia direttamente connesso alla presenza degli inquinanti nelle matrici ambientali della Valle del Sacco.
Gli unici studi che comprovano il rapporto causa-effetto fra lindano e tumori sono quelli resi dalla Professoressa Eufemi e dal DEP del Lazio, che nel rapporto del 2015 sullo Stato di Salute della Popolazione della Valle del Sacco concludeva: “Sono stati inoltre chiariti alcuni effetti dell’accumulo del β-HCH nel sangue sulla salute della popolazione in studio. Anche se le conclusioni generali sono necessariamente caute nell’indicare la esistenza di un nesso di causa ed effetto, è stata riscontrata una associazione positiva tra l’inquinante considerato ed il battito cardiaco, la circonferenza addominale, l’indice di massa corporea e la sindrome metabolica, una patologia clinica ad alto rischio cardiovascolare”.
Ma entrambi gli studi non hanno indagato sull’incidenza, ovvero sul numero delle patologie direttamente correlate agli inquinanti.
Consultando il portale https://www.opensalutelazio.it/salute/, che contiene tutti i dati sullo stato di salute della popolazione del Lazio, emerge che in realtà la mortalità per effetto delle patologie che si assumono legate all’inquinamento ambientale, nei Comuni della Valle del Sacco non si discosta dalla media regionale e neppure da quella nazionale.
Insomma, il dramma sanitario non c’è, ma permane l’elevato rischio che la presenza degli inquinanti possa compromettere lo stato della salute della popolazione.
E’, quindi, sulla prevenzione che è necessario agire, approfondendo nel contempo gli studi epidemiologici indispensabili alla conoscenza della situazione in essere.
Ora, nell’Accordo di Programma firmato nel Marzo 2019 fra Ministero dell’Ambiente (ora della Transizione Ecologica) e la Regione Lazio, quale soggetto attuatore delle bonifiche del SIN, è inserita la realizzazione dello Studio di Valutazione Epidemiologica dei residenti nei Comuni della Valle del Sacco.
E’ uno strumento d’indagine assai importante per il quale “gli esiti sanitari (in primis mortalità, malattie cardiovascolari e respiratorie) saranno studiati in relazione all’esposizione alla residenza. Verrà ricostruita la storia residenziale e ogni indirizzo di residenza verrà georeferenziato”.
Il Programma, perciò, non riguarda solo i tumori ma tutta un’altra serie di patologie legate allo stato delle matrici ambientali nella Valle del Sacco, i cui risultati diventano strategici anche per la programmazione e l’attuazione di misure contro l’inquinamento atmosferico, la depurazione delle acque e l’uso dei suoli.
Infatti, attraverso la geolocalizzazione delle patologie rilevate sarà possibile concentrare le attività di prevenzione non solo sanitaria ma anche ambientale (controlli, rilievi, interventi) sulle zone che risulteranno più colpite e quindi razionalizzare ed ottimizzare le attività delle pubbliche amministrazioni competenti, individuando le potenziali fonti di contaminazione.
Ebbene, che fine ha fatto lo Studio? Sono stati erogati i fondi per la sua realizzazione? E’ stato avviato? Se sì, quali sono i primi risultati? Quali sono i tempi di conclusione dello Studio?
Nessuno ha posto queste domande durante il Consiglio comunale.
Come nessuno ha chiesto che fine abbia fatto Il famigerato PreSA, Presidio Ambientale e Sanitario da collocare presso la struttura dell’ex ospedale di Anagni e che aveva il compito di “dotare il territorio di una struttura funzionale all’implementazione di tutte le attività/prestazioni legate alla tematiche ambientale”, e di svolgere un’attività di prevenzione sanitaria rivolta a tutti i cittadini residenti nei Comuni della Valle del Sacco.
Il PreSA fu oggetto di una polemica fra Civis -che lamentava il mancato avvio dell’iniziativa- l’allora presidente del consiglio Regionale Mauro Buschini ed il PD di Anagni, all’inizio del 2020:
(https://www.alessioporcu.it/articoli/piano-anti-tumori-cives-valle-del-sacco/ ).
Poi è arrivato il Covid 19 e la pandemia, che ha travolto tutti i piani e gli impegni.
Ma ora sarebbe il caso di iniziare a mantenere le promesse fatte altrimenti, come scrisse il Direttore Alessio Porcu, si corre il rischio “di trasformare un’iniziativa utile per il territorio, voluta all’epoca da Buschini quando era assessore, in una potenziale presa in giro”.