I piatti e i dolci tipici che amiamo scoprire durante i nostri viaggi, oltre a deliziare il nostro palato, raccontano di storie e tradizioni altrimenti dimenticate. Nel salire di profumi e sapori si rinnovano valori sociali, culturali e ambientali a volte di vera sorpresa.
Raccontiamo, allora, di due squisiti dolci anagnini che, sin dall’età medievale, hanno arricchito le tavole natalizie delle famiglie benestanti e, gradualmente, anche di quelle più popolari: il pampepato e la copëta.
Il nostro amato panpepato – a base di noci, mandorle, nocciole e uva passa, tutto ben amalgamato con sufficiente farina e mosto cotto – ha una storia tutta propria, molto diversa rispetto all’assimilato dolce delle regioni umbro e tosco – romagnola che, con saggezza, ne hanno assunto marchio I.G.P.
In Romagna, come in buona parte della Toscana, il panpepato nasce come pane arricchito mentre quello umbro, pur confondendosi con il nostro negli ingredienti di base, si differenzia sostanzialmente nella forma e nel suo riferimento sociale.
Il panpepato anagnino, o anche pampato, è unico nella sua forma caratteristica a montagnola che sembra voler quasi richiamare la tiara del papa. Esso s’impastava soprattutto nei conventi per le tavole dei signori, spesso prelati, proprietari terrieri, uomini degli apparati e gonfalonieri. In alcune famiglie, che ne avevano di proprio, non di rado si usava come regalia per le accampate conoscenze di qualche casato più benestante. E così, la gustosa montagnola di mosto cotto e frutta secca diveniva tanto testimonianza di rispetto personale quanto anche di sudditanza a seconda delle circostanze.
Solo nel graduale miglioramento delle condizioni economico e sociali il panpepato diventa il dolce natalizio di tradizione nelle famiglie anagnine anche se, notoriamente e per molti anni ancora, in tanti rimarranno a festeggiare il Natale principalmente con patate alla ruzza, castagne al fuoco e fichi secchi.
Un po’ meno nota la storia della copëta, che ho visto riproporre di recente da un amico pasticcere, che vanta citazione eccelsa nella Storia di Anagni. Ingredienti di base erano frutta secca tritata e miele, ancorché essa si possa ancora trovare in molteplici varianti soprattutto nel Meridione d’Italia. Si tratta, in sostanza, di piccole barrette di leccornia servite su foglie di alloro un tempo conosciute con il nome di copëta, copèta, cupete e similari. Per lo più tutte denominazioni con radice latina “cuppedia” (ghiottoneria) o di etimologia araba “qubbayta“, da cui l’immancabile versione siciliana di “cubbaita“.
Tornando all’eccelsa citazione negli Statuti anagnini, ricordiamo come nel lontano 1567 il Governatore della città fu a deliberare la spesa di ben due giulii “ad honorem Omnipotentis Domini Nostri Jesu Christi” nel donare al Podestà “gallinas duas, unam scatulam ut dicitur de cupeta”
Nel tempo a seguire, lo sfizioso dolce veniva preparato soprattutto dalle clarisse di Santa Chiara per le più importanti tavole natalizie ma, ancor oggi, esso si può gustare al termine di una vera e propria caccia al tesoro tra gli chef pasticceri della nostra città di Anagni.
A questo punto, non resta che augurare a tutti Voi buon dolce di tradizione e Buon Natale.
articolo a cura del dott. Nello Di Giulio