Una catastrofe naturale tra le più devastanti degli ultimi decenni, con oltre 50mila morti stimati solo ad Antiochia e 6700, circa, in Siria. E’ un bilancio di proporzioni immani quello provocato dal sisma che il 6 febbraio scorso ha duramente colpito la zona a cavallo tra Turchia e Siria, i cui sopravvissuti – ancora oggi, trascorso un mese dall’accaduto – sono stremati dal freddo, dall’emergenza sanitaria provocata dalla grave carenza di medicinali, di servizi igienici e quant’altro.
Dal giorno della sciagura, la regione colpita è divenuta teatro di una colossale operazione di soccorso e ricerca dei dispersi ma anche l’epicentro di una solidarietà internazionale di cui si conoscono pochi precedenti, con tantissime nazioni – tra queste, l’Italia – pronte ad offrire il proprio contributo ed aiuti in soccorso di quanto stanno vivendo questo terribile momento.
E tra le storie dei tanti volontari che si sono precipitati qui per dare una mano, vale la pena di raccontare quella di Matteo Rea, classe 1989, acutino con in tasca una laurea in Scienze infermieristiche conseguita nel 2012 all’Università degli Studi di Pisa. Matteo – dal 2020 – lavora come infermiere alle dipendenze di una clinica privata di Cassino per conto della quale si occupa di assistere persone che si sottopongono a cure palliative; ma nel corso degli ultimi anni ha svolto diverse mansioni lavorative, sia in Italia che all’estero: a Londra; in India, più precisamente a Calcutta e nei villagi rurali ai confini con il Bangladesh; in Sierra Leone dove si è occupato – tra le altre cose – di gestire un ambulatorio pediatrico e di fornire assistenza a ex bambini-soldato; in Guinea-Bissau per conto dell’Istituto delle Suore del Preziosissimo Sangue che ha sede ad Acuto, suo paese natìo.
Matteo avrebbe dovuto trascorrere qui un breve periodo di vacanza, tra l’altro già programmato da tempo, ma la catastrofe ha completamente ribaltato i suoi piani: “l’intenzione era di visitare questi luoghi meravigliosi assieme alla mia famiglia ma, dopo quello che era accaduto, ovviamente non ce la siamo più sentita di venire qui come turisti”, confida Matteo ad anagnia.com.
Poi, però, sei partito lo stesso…
“Sì; sono partito. Ma con un altro obiettivo: quello di dare una mano, come potevo e per quanto era nelle mie possibilità fare“.
Raccontaci come è andata.
“Ne ho parlato con mia moglie e con la mia famiglia che fin da subito mi hanno incoraggiato e supportato, dopodiché mi sono messo in contatto con un vecchio amico turco con il quale ho lavorato insieme come cameriere per diverso tempo durante i mesi che ho soggiornato a Londra. E’ stato lui a farmi il nome del movimento con la quale poi ho collaborato durante questo periodo”.
Quando sei partito e come si è svolto il tuo lavoro in questi giorni che hai trascorso in Turchia?
Sono arrivato il 25 febbraio; con me ho portato viveri, medicinali, prodotti per l’igiene personale, vestiti e altri generi di prima necessità da distribuire alle persone in difficoltà. Ho trascorso questi dieci giorni in un ambulatorio allestito all’interno di un campo da basket, dormendo – come tutti gli altri – in una tenda.
La situazione, lì, è drammatica: tutto è completamente distrutto, nessuna casa è più agibile. Anche le case che sono rimaste in piedi sono pressoché inagibili in quanti hanno crepe all’interno che le rendono pericolanti, per cui tutte le persone di Antiochia – adulti, piccini ed anziani – hanno dovuto lasciare le proprie case andando a viverci a fianco: il terrore, infatti, è quello di perdere la propria casa o che questa possa essere saccheggiata. Quindi, praticamente tutti sono appostati con tende di fortuna o meno a fianco alle proprie proprietà senza – comunque – di poter disporre di cucine, servizi igienici e altri servizi essenziali“.
Com’è – a distanza di giorni – la situazione sanitaria nella zona in cui hai prestato il tuo servizio?
Anche questa è drammatica: la gente del posto non ha più medici di base, in quanto sono morti sotto alle macerie. E così la gente veniva da noi all’ambulatorio del campo per farsi rinnovare le ricette o per farsi consegnare farmaci che, purtroppo, non sempre avevamo.
Mi è capitato di visitare persone impossibilitate a spostarsi nelle loro tende; c’è chi, inoltre, non disponendo di tende è costretto ancora a dormire in macchina: molti di loro, da me visitati personalmente, presentavano edemi e gonfiori vari agli arti inferiori dovuti al fatto che dormono seduti.
Che atmosfera si respirava nei luoghi in cui sei stato?
Antiochia, soprattutto la sera, era spettrale, con un’atmosfera da film apocalittico. Una delle cose che mi ha più particolarmente colpito è il vedere le luci ancora accese nelle abitazioni: non di certo perché c’era qualcuno all’interno, ma perché erano restate accese dal giorno in cui si è verificato il sisma. Da allora nessuno più aveva potuto spegnerle. Di notte, poi, l’unico rumore che si sente è quello dei motori delle auto tenute accese dagli occupanti per avere riscaldamento. Inoltre, sempre di notte è sconsigliatissimo girare: poliziotti e militari girano armati e se ti beccano potrebbero scambiarti per un ladro e portarti direttamente in caserma.
Un’altra cosa che ha reso difficile questa mia breve seppur intensa esperienza in Turchia è il fatto che io, per tutto il mio periodo di permanenza, sono stato al servizio di un movimento che si occupa di tutelare i diritti di persone facenti parte di minoranze etniche quali – ad esempio – curdi, alevi e altre etnie. Persone che – secondo il governo centrale – non sono tenute a ricevere aiuti. Il movimento per cui ho operato, ad esempio, non dispone di un IBAN perché gli è negato da disposizioni governative. Questa è la situazione, ad oggi: senza contare che per tutto il tempo io sono stato insieme soltanto a persone turche, nessuna delle quali – o quasi – parlava inglese. Per me è stato difficile capire e farmi capire. Ad esempio, per farmi spiegare qual è la situazione politica ho dovuto fare ricorso a Google Translate. Per fortuna, durante gli ultimi giorni sono stato affiancato da una docente di lingua inglese con la quale ho avuto modo di colloquiare in maniera più approfondita e senza grossi problemi di comunicazione“.
In che modo è possibile aiutare le persone colpite dal terremoto?
Chi desidera dare una mano, può farlo – se lo ritiene – rivolgendosi all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, tramite questo sito; in alternativa, per aiutare il movimento per il quale ho lavorato è possibile contattarmi via email a questo indirizzo mat.rea@hotmail.it. Sono in attesa che creino un canale Moneygram tramite il quale far transitare eventuali aiuti.
E’ una esperienza, questa, che rifaresti?
Sì, certo; la rifarei. In questi giorni ho conosciuto persone straordinarie, volontari che stanno dedicando tutto il loro tempo per il bene di quelle persone, e soprattutto per costruire in Turchia un mondo migliore. Ho lavorato con volontari che hanno fatto la galera per aver avuto fede nei loro ideali di libertà, gente che proviene dalle manifestazioni di piazza Taksim, e dai movimenti rivoluzionari di Dersim. Ho conosciuto nei loro occhi il fuoco ardente della libertà, del desiderio di costruire un mondo migliore, senza più discriminazioni.
Grazie, Matteo!
Grazie a voi!