Perché questo convegno? Il 2 maggio, dopo quasi tre anni di pandemia, è arrivato l’annuncio dall’OMS che la pandemia è finita. Restano però i problemi accantonati per un triennio e che oggi tornano con forza alla ribalta.
Il primo problema tra tutti è l’ambiente con tutto ciò che comprende, come ad esempio la gestione dei rifiuti, l’inquinamento delle falde acquifere, la crisi energetica, la necessità del riuso, la mobilità, la sanità con la gestione delle malattie gravi come il cancro o le malattie rare, il lavoro e come cambia con il prossimo arrivo delle AI e quindi quale lavoro oggi e soprattutto quale lavoro per il futuro prossimo.
Queste macroaree ruotano intorno ad una sola e fondamentale questione: il capitale umano e la sua istruzione/formazione. Questo convegno vuol essere il primo di una serie di incontri con Esperti e Decisori politici, incontri che serviranno a riaccendere i riflettori sulle politiche educative/formative e a studiare idonee soluzioni.
Molti ministri della P.I. hanno messo in piedi commissioni per ricercare soluzioni che avvicinassero l’Italia ai Paesi europei. Ad oggi sono mancate le idee. Eppure non servono i soldi, non servono i bla bla bla, servono politici che abbiano il coraggio di scegliere, scegliere di rendere effettiva la parità educativa, come in tutti i Paesi europei eccetto noi e la Grecia.
Il pluralismo educativo consente una spesa più efficiente e più efficace, se si considera che gli studenti arrivano ai primi posti Ocse – Pisa. È ormai indispensabile che la scuola sia posta al centro del Paese, per colmare la forte distanza del rendimento dei nostri giovani rispetto ai parametri europei. A ulteriore conferma che garantire il diritto all’istruzione serve a spendere meglio non è solo l’Europa a dircelo, ma uno sguardo attento alla nostra penisola. Il pluralismo in Puglia è del 4%, in Calabria del 5% che con la Campania si contendono gli ultimi posti Ocse-Pisa. Minore è il pluralismo, maggiore è il degrado e poi sullo scenario di una scuola che alimenta le diseguaglianze tra Nord e Sud è intervenuto il covid.
E allora quale istruzione/formazione per il futuro di un Paese come l’Italia a natalità zero, con 14 milioni di persone che hanno tra i 65 e i 75 anni, 7 milioni oltre i 75 anni, con 8 milioni di giovani da zero a 18 anni, con i laureati al 20,1 % (età 25/64 anni) contro il 32,8% della UE (in Germania i laureati sono il 43% e in Francia il 42%), con i diplomati al 62,9% contro la media europea del 79%, con il 33% con la sola licenza media e con il 4,6 % di analfabeti.
Per non parlare dell’abbandono scolastico: il 18.8% degli studenti del biennio delle superiori abbandona senza raggiungere nemmeno l’obbligo scolastico. Siamo un record negativo tra tutti Paesi OCSE. Spesso parliamo dei ricercatori, i dottori di ricerca, quelli cioè che possiedono il grado più elevato d’istruzione riconosciuto a livello internazionale, ebbene sono solo lo 0,4%.
Ripartire dall’educazione permanente, con un forte piano formativo di alfabetizzazione primaria e secondaria, che preveda l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, valore legale sostituito dalla certificazioni delle competenze; una formazione continua e permanente rivolta a tutta la popolazione, per recuperare lo svantaggio culturale e l’analfabetismo di ritorno, che porta ad una minore crescita economica sia individuale che sociale.
Il già ministro della P.I. Prof. Tullio De Mauro ricordò in una intervista che il 71% della popolazione italiana si trova sotto il livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto in italiano di media difficoltà. Il 71% è una percentuale capace di ribaltare qualunque processo democratico. Solo migliorando la formazione dei cittadini si potrà migliorare l’ambiente, la sanità il lavoro, la qualità della vita di tutti.
I dati statistici servono per elaborare scelte politiche capaci di formulare proposte innovative sul piano formativo. Questi dati ci dicono che serve mettere al centro il giovane fornendogli una buona educazione/istruzione e una formazione continua che gli permetta l’acquisizione di competenze idonee a nuovi scenari lavorativi, una formazione permanente lungo tutto l’arco della vita. “La cultura rende liberi” liberi di scegliere il bene migliore sia a livello personale che sociale.
articolo a cura della prof.ssa Anna Marsili, presidente Fondazione Bonifacio VIII