Dal 6 al 28 maggio 2023, gli spazi espositivi del Chiostro di San Francesco di Alatri, noto per il celebre affresco raffigurante il Cristo nel labirinto, ospitano la mostra ‘Destini incrociati. Un altro viaggio del Tevere’, un viaggio alla scoperta di uno dei maggiori fiumi del nostro paese attraverso gli scatti di Matteo Luciani, giovane ecobiologo, fotografo e autore di diversi libri tra cui quello da cui è tratta la mostra, Tiberis. L’altra faccia del Tevere, già protagonista di una grande mostra presentata a Roma, edito dalla Pandion.
L’esposizione, a ingresso gratuito, è curata da Gina Ingrassia, promossa dal Comune di Alatri e realizzata grazie al sostegno dell’Impresa di Costruzioni Ing. Antonio Buono srl con il coordinamento generale di Pandion e Inmagina e la partecipazione di Comediarting. L’esposizione site-specific prevede l’allestimento, in tre sale del Chiostro, di una selezione di circa 50 fotografie scattate lungo i 406 km di corso del Tevere da Matteo Luciani nell’ambito di un progetto che lo ha visto impegnato per tre anni. Le immagini, restituendo al visitatore la profonda essenza del Tevere, hanno il fine di ampliare i nostri orizzonti sfatando la percezione comune che si ha di questo fiume: un corso d’acqua esclusivamente simbolo di degrado e negatività, scrive l’autore.
Ma perché Alatri? Questa è una storia di coincidenze e destini incrociati, che traccia infine un cerchio perfetto. È il racconto di una morte che dà inizio a un viaggio che dà vita a un libro che diventa mostra che ripercorre un viaggio scandito da incontri che restituiscono la vita, racconta Gina Ingrassia, la curatrice dell’esposizione.
Tutto ha inizio nel 2018 quando Matteo Luciani, zaino sulle spalle e al fianco il fedele cane Spillo, all’indomani di un profondo lutto decide di percorrere 406 km: lo stesso cammino del Tevere, che segue, fotografandone la maestosa bellezza, dalla sorgente fino alla foce. Un viaggio fisico ed
esistenziale durato tre anni alla scoperta del fiume e di se stesso. Da quell’esperienza nasce Tiberis.
L’altra faccia del Tevere, per le edizioni Pandion, un libro tra reportage di viaggio e diario, un racconto che si dispiega per mezzo di testi e immagini e corre su due piani paralleli: il percorso esteriore che conduce alla scoperta di luoghi meravigliosi abitati da ‘personaggi’ straordinari e un viaggio dentro se
stessi, guidati dal fiume, metafora dell’esistenza umana con tutte le sue asperità e difficoltà, con i suoi momenti di struggente bellezza e malinconia, con gli improvvisi cambiamenti di corso, con le inaspettate sorprese.
Quello stesso viaggio lungo il fiume, quasi mezzo secolo prima lo aveva intrapreso, con animo e intenti diversi, il maestro Gianni Berengo Gardin che nel 1976 aveva poi pubblicato un libro fotografico, con testi di Giovanni Giudici, intitolato Tevere e uscito per le edizioni Dalmine. È una delle opere meno conosciute del grande fotografo ligure, noto essenzialmente per altri straordinari progetti come Morire di classe che ha documentato le condizioni degli ospedali psichiatriciitaliani alla fine degli anni Sessanta. Fu proprio Berengo Gardin a scegliere il tema del Tevere, aveva vissuto molti anni a Roma e nel 1974 aveva realizzato quelle fotografie, in parte in bianco e nero e, cosa rara nella sua produzione, in parte a colori.
Gardin aveva privilegiato le persone rispetto ai luoghi, raccontato sì ambienti e paesaggi ma pareva interessato maggiormente alla presenza dell’uomo all’interno di quegli spazi, e aveva tessuto un dialogo con la società dell’epoca.
Nel giugno del 2021, in prossimità della pubblicazione del suo libro, Matteo scrive al Maestro Berengo Gardin e chiede di poterlo incontrare. Nel corso di quel breve dialogo, che lascia nel giovane una traccia indelebile, si confrontano due generazioni e due modi di fare fotografia. Il Tevere di Gianni Berengo Gardin è popolato da un’umanità varia che lo vive, lo respira e lo attraversa. Nel Tevere di Matteo non c’è traccia di figura umana.
Totalmente assente è lo sguardo appoggiato sull’uomo di cui l’unica traccia è il fotografo, che però resta invisibile. L’uomo è appena percepibile, la sua presenza sul territorio è testimoniata da un oggetto, da un intervento trasformativo dello scenario naturale: una canoa, un prato coltivato, un
pascolo montano, dei muraglioni.
Un approccio in apparenza completamente capovolto, due mondi distanti nel tempo e nello spazio in cui l’uno mette al centro l’uomo, l’altro la natura, eppure accomunati da uno stesso modo di intendere la fotografia, come “documento” al servizio della società più che come mero prodotto estetico.
All’indomani dalla pubblicazione, nell’estate del 2022, il libro di Matteo Luciani diventa una mostra, con oltre 150 fotografie, ospitata negli spazi espositivi del WeGil, nel cuore di Roma.
L’esposizione è concepita come materia viva che si anima di laboratori, dibattiti, incontri e confronti vivaci con il pubblico. “Perché non portare una selezione di fotografie di Matteo ad Alatri?”, chiede una visitatrice presente all’evento. “Là non scorre il Tevere ma è passato Gianni Berengo Gardin che
di Alatri ha la cittadinanza onoraria”.
Non solo, perché Gianni Berengo Gardin ha donato alla città parte del reportage realizzato in occasione dei riti del Venerdì Santo e della festa di San Sisto, fotografie ora esposte proprio in una sala del Chiostro di San Francesco.
Sarebbe bello lasciarli simbolicamente dialogare, Gianni e Matteo, e costruire una nuova geografia dei luoghi e dell’anima. Nasce cosi l’idea di un nuovo viaggio del Tevere.
A partire da quella suggestione, oggi, grazie all’accoglienza del Comune di Alatri, “[…] l’arte di Matteo, materia viva e pulsante, compie un nuovo viaggio, si plasma, si trasmuta e si trasforma, intrecciandosi con l’opera di Gianni Berengo Gardin, poiché cosa viva è l’arte, al pari della natura.
E così quelle fotografie danno vita a un’altra storia, che parla di bellezza, coincidenze, sincronicità, inciampi, illuminazioni, speranza e gratitudine.
Una storia di restituzione, continuità e circolarità, uno scambio di visioni tra generazioni, un umile, sentito omaggio alla grandezza di un Maestro e un augurio per il futuro a una giovane promessa.
Una mostra che è anche un inno alla vita in cui ogni fotografia ci racconta un piccolo miracolo del quotidiano e del contingente, una traccia di effimero bloccata per l’eternità in un lampo di luce”, scrive la curatrice Gina Ingrassia.
A conclusione della mostra Matteo Luciani ci consegna, come emerge dalle sue stesse parole, “un Tevere che nell’immaginario comune non esiste e che è possibile scovare solo se siamo disposti ad aprire i nostri occhi, la nostra mente e il nostro cuore, riconciliandoci non solo col fiume, ma anche
con noi stessi e con lo splendido territorio in cui abbiamo ancora la fortuna di vivere”