Un’eroina laica ma non truce ente euripidea. Libera dalle pastoie di una vita segnata da legacci miliebri eppur forte nel femminino sacro che un po’ rimanda a Virginia della stirpe albalongana di Tarchezio, un po’ alle combattenti dello Sinn Fain irlandese.
Non è una suffragetta totemica, la Gracilia-Gratilla portata nel criptoportico ernico da una immensa Benedetta Giuntini; è solo una donna immensa e piccina che lotta in lotte per cui ha dovuto lottare prima della lotta stessa.
Perfettamente in bilico tra storia e leggenda. Tra donna ‘matrona’ e guerriera. Moglie, madre, figura mitologica, realtà.
Gracilia che lega ieri a oggi, come un laccio che si avvolge con movimenti sontuosi ma sicuri.
La Gracilia di Davide Rondoni, autore immenso del monologo inserito negli spettacoli dei Fasti Verolani, non si nutre di futili stereotipi.
La storia le dà la vita. La roccia la sostiene. Mentre si erode, lei vive. Non si nutre di carne e acqua, ma di immagini e di emozioni. Le nostre.
Una volta era umana. Oggi una leggenda. La Giuntini, superba in ogni attimo dello spettacolo, si è impersonata e polverizzata in un crescendo di arabeschi di momenti diversi.
Difficile, troppo, sostenerne lo sguardo. Tenero, fiero, sguardo fragile, sguardo da matrona. Accusatorio come i suoi specchi raccolti sulla terra cruda su cui si è mossa a piedi nudi.
Terra di Gracilia, antica come la nostra stirpe, era più forte a tratti il suono della cavigliera che scuoteva le antiche pietre come avessero preso a respirare.
Caverna e ventre della Veroli di oggi. Donne fragili e da combattimento, sempre in guerra col proprio corpo, vittime o eroine, Gracila o un nome qualunque. Senza significato, senza una storia. O con una storia troppo grande da reggere tra i capelli.
Quando la testa scoppia e il peso del mondo fa male.
Donna di templi incerati da inverosimili fregi. Sanguinario è il buio che l’avvolge e la sua finta lussuria.
Chi era poi Gracilia? Siamo noi, donne erniche, siamo noi affamate ancora di vendetta? Siamo noi che ci scrolliamo dal dorso un mondo arcaico e perverso?
Oppure semplicemente Gracilia non è.
E intanto il laccio si avvolge, torna indietro. Resta nel mistero.
Torna nel buio.
“Testa di lupo. Testa di donna”.
Nessuna mappa finora ha segnato come l’ultimo dei suoi nebulosi veli.
‘Gracilia’ resterà nella storia così come dalla storia è nata. O dalla leggenda poco importa.
La Gracilia di Rondoni interpretata da Benedetta Giuntini ha segnato fortemente questa edizione dei Fasti Verolani. Ed ha vinto la sua battaglia. Per tutte noi.
“Testa di lupo. Testa di Donna”.
articolo a cura di Monia Lauroni