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    Quelli che si indignano ma stasera a cena mangiano abbacchio alla scottadito

    l'editoriale
    6 Settembre 20235 Mins Read
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    Si è detto tanto, troppo e a sproposito riguardo a ciò che è accaduto qualche sera fa in un noto agriturismo di Anagni; un’infinità di parole inutili, sconnesse, rozze, sguaiate, crudeli oltre – anche – agli innumerevoli indici puntati sui ragazzi che hanno postato quelle orribili immagini sui social.

    I primi a manifestare tutto il loro odio e livore – dopo quanto accaduto – sono stati quelli che ogni Pasqua si rimpinzano di agnello perché “è tradizione” e per “il significato simbolico e teologico di questo animale“.

    Ebbene, non tutti sanno che ogni anno – nel nostro Paese – sono circa due milioni gli agnelli macellati, 300mila – circa – dei quali nel solo periodo pasquale. Si tratta di numeri invariati ormai da diversi anni e – probabilmente – anche il prossimo anno sarà così, con il 90% di nascite e crescite programmate proprio per Pasqua, quando – a circa un mese di vita – questi animaletti verranno strappati alle madri, tra i pianti, e – terrorizzati – verranno caricati sui camion diretti al mattatoio. E’ qui che – per massimizzare la produzione, e il guadagno – solitamente verranno macellati in gruppo: questo significa che l’ultima cosa che vedrà un agnellino è la morte e il sangue dei suoi fratelli. Questo perché – ancora oggi – mangiare la loro carne a Pasqua è una tradizione. La loro sofferenza è indubbia; ma nessuno dice niente, nessuno si indigna.

    Per comprendere meglio qual è il trattamento che ricevono gli agnelli che a Pasqua finiscono sulle nostre tavole, consigliamo la visione di questo video pubblicato da Animal Equality Italia. Attenzione: le immagini sono fortemente sconsigliabili ad un pubblico impressionabile.

    O di questo che segue, altrettanto esplicativo e sconsigliato a chi è impressionabile:


    Poi, a puntare il dito, ci si sono messi pure quelli che non appena vedono un serpente corrono a prendere una pala per accopparlo, indipendentemente dalla specie: una “pericolosa” vipera, un innocuo biacco, un mansueto cervone, e così via; tutti rettili – comunque – protetti a livello europeo dalla Convenzione di Berna dalla Direttiva Habitat, e a livello nazionale dal Codice Penale (art. 544 bis, art. 544 ter). Quegli stessi, poi, che non dimenticano – una volta accoppato – di fotografarlo e di postare la foto sui social dove otterranno like e plausi da altri trogloditi come loro per il coraggio dimostrato nell’uccidere un serpente così “pericoloso”.


    E, ancora, come dimenticare quelli che per ammazzare il topolino avvistato di sfuggita nella casa in campagna corrono ad acquistare del buon veleno, solitamente preparato a base di anticoagulanti che non solo provoca emorragie interne atrocemente dolorose ma causa, anche, claustrofobia negli animali, portandoli ad uscire verso l’esterno. In tal modo i topi, barcollanti e in attesa di una morte terribile, escono dalle tane e possono essere predati con facilità, proprio in quanto avvelenati, da rapaci o altri animali che, a causa di questo, si intossicheranno a loro volta. Tale scelta di principi attivi è stata fatta scientemente, proprio per costringere gli animali a uscire all’esterno, impedendo che i loro corpi vadano in putrefazione all’interno degli edifici.

    Che dire, poi, di quelli che usano le trappole con adesivo o sostanze collose che trattengono saldamente questi roditori: uno dei metodi più crudeli. Queste trappole portano gli animali a morire di inedia, dopo giorni di agonia, e più cercheranno di scappare e più resteranno incollati. Meglio, allora, quelle un po’ più dolorose – ma più sbrigative – come le trappole a ghigliottina e tagliole?


    Si potrebbe continuare con migliaia di altri esempi, fino ad arrivare pure a chi usa l’insetticida per sterminare mosche e zanzare: pure loro si sono indignati a veder tirar calci a quella capretta. Certo, un atto esecrabile, terribile, malvagio, che ha cambiato la vita e il modo di vedere le cose a tanti di noi che hanno visto quel video; un atto che assolutamente doveva essere evitato e che non doveva trovare posto sui social-network, sempre meno controllati, sempre più aperti a questo tipo di contenuti.

    Ad ogni modo, di condanne sbrigative alla voce “da che pulpito viene la predica” ne sono state già fatte fin troppe; e quei ragazzi avranno certamente capito la lezione.

    Tutto questo per dire che – è inutile nasconderlo – tutti noi viviamo in un mondo di ipocriti e ciarlieri, di finti valori predicati e non praticati. Chi meno, chi di più, tutti ne facciamo parte trastullandoci dietro maschere fatte di apparenza e zero sostanza e dietro scuse e bugie che usiamo pur di pararci il culo davanti ai nostri infiniti limiti. Un mondo fatto di ipocrisie e di bravi cristiani che si professano senza peccato quando mangiano l’agnello, tanto basta voltarsi dall’altra parte quando qualcuno l’ammazza per noi, non importa come. Tutti pronti a imputare colpe e a guardare i difetti o gli sbagli altrui, tutti che ignoriamo che se ognuno di noi si fermasse un secondo a guardare la propria gobba, ne resteremmo inorriditi. Quei ragazzi potevano essere figli di ognuno di noi, e nessuno – in questo mondo di ipocriti – è migliore in tutto e per tutto rispetto agli altri.

    Prima di ergerci ad educatori, quindi, ognuno di noi cominci da se stesso offrendo amore, attenzioni e rispetto a tutti gli esseri viventi, senza eccezioni, senza “altrospecismi”, e dando valore alla vita di ogni animale – capretta, serpente, ratto, mucca, maiale – allo stesso modo; e insegnando – infine – ai nostri figli a sviluppare una coscienza sul valore della vita affinché comprendano fin da piccoli che gli animali non sono oggetti da comprare, usare, buttar via, prendere a calci, mangiare.

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