di Monia Lauroni
Giulia Gargano, la 15enne travolta e uccisa mentre attraversava sulle strisce pedonali continuerà a vivere in un ultimo, estremo atto di amore.
Passeggiava con la spensieratezza dei suoi anni assieme al suo fidanzatino. Erano ore allegre, piene di vita, quelle di Giulia.
Era uno dei tanti sabato, quello del 7 ottobre, e tanti altri ne avrebbe vissuti. Così, con la vita in pugno, il cuore che batte forte, il primo amore, la musica, i sorrisi, gli amici, i compiti, la scuola, le ansie per i compiti in classe di matematica e l’amore incondizionato di una famiglia.
Per Giulia non è andata così, la sua strada si è interrotta in un pomeriggio qualunque di un sabato qualunque in via Braccianese Claudia, a Manziana, il suo paese, vicino a Roma.
Falciata da un’auto che le è piombata addosso pare per una svista, una distrazione di un istante. Un solo istante.
Nessuna possibilità di salvezza dal policlinico “A. Gemelli”, dove era stata trasportata già in condizioni disperate, tanto da dichiararne, due giorni dopo, la morte cerebrale e poi il decesso.
Impossibile anche solo da immaginare quello che un genitore sente in quei momenti, quello che prova, quello che non resta.
La disperazione non ha nomi, date, azioni, memoria, razionalità.
Ma l’amore quello sì. E in nome di quell’amore i genitori di Giulia hanno acconsentito all’espianto degli organi della 15enne.
Gli organi di Giulia hanno salvato quattro vite. Giulia ha salvato quattro vite. La generosità ferma dei genitori di Giulia hanno salvato quattro vite.
È così che nulla finisce mai veramente, e la morte in fondo non esiste.