di Silvia Scarselletta
Si è svolta con grande partecipazione ed entusiasmo la presentazione del libro “Scuola e dintorni”, la seconda raccolta di poesie della biologa e poetessa anagnina Eva Battiloro. L’evento – avvenuto il giorno 21 ottobre 2023 presso la Sala Consiliare del Comune di Piglio e organizzato dalla Delegata alla Cultura Maria Grazia Borgia – si è evoluto attraverso un incantevole dialogo tra la poetessa e il suo collega e professore Luigi Moratti, il tutto amplificato da un confronto diretto con il pubblico, in un acceso dibattito sulla scuola, sulla ormai incomprensibile burocrazia e sulla realtà dietro le quinte che ogni insegnante vive ogni giorno.
Cosa ne sappiamo veramente della burocrazia scolastica? E della prospettiva degli insegnanti? E dello sconforto di una bocciatura? E del dolore di una nota? Dell’impegno di un’essenziale educazione velata che spetta ai docenti, ma che nessuno riconosce?
Sono questi i temi principali che la poetessa denuncia, “ma solo con la poesia questo è possibile – ammette – perché con la prosa si viene più facilmente attaccati e criticati, perciò mi diletto nel nascondere un’infinità di amarezze dietro alla stupenda performance delle figure retoriche”.
Nella maggior parte dei casi – continua – la scuola viene vista solo dalla prospettiva di un alunno stanco o di un genitore malcontento, ma mai nessuno pensa alla visione che effettivamente ha l’insegnante dentro la sua seconda casa, una casa che poi non lo incentiva, non lo supporta, non lo motiva, finendo così per farlo sentire un Icaro che, nel tentativo di volare più in alto, finisce per precipitare a causa delle sue stesse azioni.
Il dibattito si accende e si viaggia sulla stessa linea d’onda di vari esempi letterari non poco rilevanti: si va da Ovidio, a Dante, a Parini, per poi arrivare a un unico, centrato e famosissimo esempio pirandelliano: il riso amaro. Sì, perché è proprio di umorismo nero che Eva ci vuole parlare: perché lei ne parla sorridendo, si fa beffa di se stessa e delle sue lamentele, ma in fondo non riesce a concepire come sia possibile che proprio il ruolo del docente, uno dei ruoli più sensibili dal punto di vista educativo e sentimentale, venga svalutato così tanto proprio da chi dovrebbe incentivarlo.
“Tutti noi – ammette commossa – abbiamo il ricordo di almeno un mentore scolastico, qualcuno che ci ha appassionati, che ci ha fatto innamorare della letteratura, della poesia, dell’amore, della giustizia, che ci ha donato la verità. È questo l’esempio di cui abbiamo bisogno, il lume che ci dà la forza di andare avanti anche nei luoghi e nei momenti più bui, quando non ci sentiamo apprezzati o valorizzati. È l’amore per il sapere”.
In un mondo fatto di menzogne, è bene cibarsi dei propri sogni, talvolta anche illudendoci. Nei momenti di sconforto tutti noi abbiamo un unico ed essenziale diritto e dovere, quello di non perdere il controllo. Tale controllo si può ottenere solo e unicamente informandoci, studiando, leggendo, praticando il grande dono che poeti autorevoli ci hanno lasciato in eredità: fare letteratura. Dobbiamo splendere – come affermava Pasolini – anche quando ci insegnano a non farlo. Dobbiamo rivendicare noi stessi, come asseriva Seneca, soprattutto essere padroni di noi stessi e dei nostri sogni; perché il compito della scuola, in fondo, è proprio questo: imparare a fare della propria vita materia di letteratura.
Ma allora scrivere poesie a cosa serve? Una lodevole azione come questa quali cambiamenti può apportare nella vita di un individuo? Con immensa probabilità c’è un unico e grande esempio con cui ogni insegnante che ama il suo mestiere si scalda anima e cuore:
“Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.” (da “L’attimo fuggente”, 1989)
FAVOLA
C’era una volta uno strano paese
dove i maestri eran portenti,
di allievi tenevan le menti accese,
erano i fari di postere genti.
Godevan di tutti stima e rispetto,
che erano eredi di un grande passato
e ognuno affidava lor l’intelletto
del figlio suo che così fosse in grado
di crescere forte, acquisir competenze,
diventar cittadino con mille valenze.
Ma un morbo orribil invase i regnanti
di quello strano lontano paese:
del mero consenso di tutti i viandanti
lor si curavan, senz’altre pretese,
senza occuparsi di ciò che era giusto,
per quel che era meglio avevan disgusto.
Invidia( Sprezzo) provavan per ogni bambino,
per tutto quello di cui era specchio:
progresso, futuro, d’Atlantide il mito…
loro ideale era solo Pinocchio!
E quindi divennero ora i docenti
scomodi sassi per questi regnanti:
giuraron vendetta quest’ultimi a quelli,
di render inviso a loro il lavoro,
eran convinti con mille fardelli
di infliggere loro un colpo sicuro.
Per perseguir quest’empio disegno
negarono a quelli compenso degno
pensando che questo sopruso loro
togliesse a quelli tosto il decoro.
Ma l’avarizia che aveva il possesso
di quei regnanti e dell’anima loro
al corpo docente non avea accesso
ed esso continuò nel suo lavoro.
Tutti i docenti con sacra missione
seguivano codesta tradizione:
forgiare l’intelletto dei discenti
laggiù nel paese di grandi menti.
Seccati e sconfitti gli scaltri regnanti
decisero poi di cambiar gli ambienti:
stiparono tutti in classi-pollaio
dentro strutture che non eran scuole,
nei sottoscala o anche in solaio
e brutte e vetuste erano l’aule.
La cubatura dell’aria era scarsa
il ricambio di O2 divenne una farsa,
sicchè dai contagi e pur da infezioni
né prof nè scolari erano immuni.
Allora tutti quanti si adattarono
e qui cominciò un penoso calvario,
coi regni intorno presto aumentarono
le differenze e il profondo divario.
Dell’armi non ci fu ancor cessione
chè i prof ed i maestri avean a cuore
il loro compito, e la lor missione
avanti lor condusser con furore.
Mutarono i regnanti allor le ore,
i tempi furon tolti al professore
sovrapponendo con accanimento
molt’altre attività alle discipline
e fecer tutto ciò con il pretesto
di dar allo studente formazione,
di civica una buona educazione,
nonché per il lavor preparazione.
Fiorirono progetti a nomi assurdi,
acronimi improbabili e balordi
e poi quell’alternanza del lavoro
che li illudeva tutti pel futuro.
Fu inferta utilizzando un’altra arma
l’ennesima stoccata a quei docenti:
burocrazia e carte e timbri e firme
che sparser il terrore per le scuole;
promisero a quelli inadempienti
ricorsi di avvocati a gragnuole!
Eppur non s’era il fondo allor toccato
chè salva era ancor la relazione
tra allievo dal maestro affascinato
e questo che insegnava con passione.
Ma imposero uno schermo tra di loro,
non c’era più empatia nè emozioni,
svuotaron le lezioni del tesoro,
morì la realtà a tre dimensioni.
Un incontro a quell’altro era uguale,
finì la libertà d’insegnamento,
nel culto allora imposto del virtuale
dell’anima iniziò l’abbrutimento.
Ferirono con dolo l’eccellenza
l’amore del saper e conoscenza
e, complice terribil pandemia,
ingiunser di promuover chicchessia.
E quando gli scolari ormai dispersi
sentirono la guida a lor mancare
accuse furon mosse agli insegnanti
da tutti quegli ipocriti regnanti:
“non seppero i maestri stimolare
l’amore, l’interesse, l’attenzione
agli studenti privi di passione”.
Fu tosto attribuita ogni colpa
di tagli scellerati e mal gestione
ad i docenti e a lor preparazione!
Per aggiornarli furon poi spediti
a corsi in cui dei baldi formatori,
di lor docenti meno istruiti,
del contrappasso furono gli attori!
Recupero d’estate fu pensato
all’afa e al solleone istituito
col virus a comando ora sparito
e i prof improvvisati animatori,
della socialità i controllori!
Lo so che sembra un incubo, signori,
ma voglio ricordarvi che è una fola
distopico racconto qui inventato
di eroica resilienza della scuola
di un paese strano immaginato….
poiché in qual paese conosciuto
seguiterebbero gli insegnanti mai
in tale condizione e in tal sopruso
a lavorare con tanti e tali guai?
Eva Battiloro