di Guglielmo Viti
In altri articoli ho raccontato del mondo sacro e magico di Osteria della Fontana ad Anagni, contraddistinto da templi, altari alle ninfe, il Circo Marittimo, il Delubrum Lavernae, il bosco sacro a Diana, il lago che caratterizzavano in epoca ernica prima e romana poi questa zona.
Ma esiste l’altro lato della medaglia, egualmente prezioso ed unico, praticamente sconosciuto, che molti ignorano completamente, che consiste nell’essere oltre un luogo legato in modo intenso al divino, anche un luogo famoso per la produzione agricola e, di conseguenza, ricco di impianti produttivi (figura 1).
Ne esistevano moltissimi, indice di un’attività economica molto intensa. In varie campagne di scavo archeologico fatto per un numero limitato di campioni in vari punti della zona (figure 3 e 4), sono stati trovati diversi impianti produttivi, dei veri e propri laboratori industriali a conduzione familiare, con una serie straordinaria di reperti archeologici interessantissimi.
La storia non diventa grande ed importante come insegnamento solo se riguarda gli avvenimenti di rilievo o personaggi illustri o opere d’arte considerevoli come statue, dipinti, architetture, mosaici etc. ma la grande storia è anche quella del quotidiano, della vita di tutti i giorni delle popolazioni, degli usi e costumi, delle tradizioni, delle attrezzature etc. “Gli uomini fanno la propria storia”, anche quelli i cui nomi non compariranno mai nei libri né nei racconti. Gli archeologi hanno datato questi impianti dal 199 a.c. al 476 d.c. quindi circa 700 anni di storia in piena epoca romana. Ma non dobbiamo pensare che quando si parla di strutture ed impianti di epoca romana si debba intendere che la popolazione locale, gli Ernici, siano spariti. Il popolo ernico era ed è rimasto tale con, naturalmente, tutte le influenze ed incroci che potevano sorgere dalla coesistenza con una grande civiltà come Roma, ma conservando la propria identità, religione, tradizioni e costumi. Questi impianti sono di epoca romana ma sono soprattutto ernici, nostri. La quasi totalità attività era destinata ai prodotti agricoli e principalmente, almeno per quanto emerso fino ad ora, alla produzione di vino.
Questi piccoli centri sono caratterizzati da “alcune fosse (scrobes) (figura 5) tagliate nel travertino e riferibili alla presenza di piantumazioni antiche, alcune delle quali impiegate per la coltivazione della vite maritata (arbustum)“.
La tradizione di questa produzione di vino doveva essere certamente più antica dell’occupazione romana, anche perchè i romani stessi avevano appreso il modo di coltivare la vite dagli Etruschi e sappiamo quanto vicine e collaborative fossero le popolazione erniche ed etrusche prima di Roma. Faceva parte dell’impianto anche la casa di abitazione dei lavoranti, case che dovevano essere state costruite con cura visto che dai reperti si deduce l’uso dell’opus reticolatum per l’innalzato ed una pavimentazione cementizia a base fittile, tutti elementi che indicano un’attenzione e qualità ricercate per l’epoca. In una porzione del fabbricato alcune basi di travertino incavate raccontano che all’interno si doveva trovare un torchio.
Accanto c’erano delle vasche, forse per la premitura dell’uva, rivestite in coccio-pesto come impermeabilizzante, con piccoli bacini di raccolta sul fondo. In una fossa circolare scavata nel travertino, sempre rivestita in coccio-pesto, è stata trovata la parte superiore di una macina, un Catillus (figura 6).
Accanto alla fossa con il Catillus vi sono altre fosse, forse un doliarium (figura 7), ovvero una serie di dolii, grandi recipienti in terracotta interrati in parte e ben tappati, dove il vino fermentava.
Non c’era un periodo preciso per la fermentazione, e, quindi, il grado alcolico variava di molto tra un recipiente e l’altro ed allora si aggiungeva del miele ed aromi vari. I dolii servivano anche per la conservazione dei prodotti della terra. Da questi scavi, ora, come sempre è stato, ricoperti, in realtà non si è molto approfondito lo studio di queste strutture, sappiamo poco della loro attività specifica, di come veniva gestita la loro economia, quanto importante e determinante fosse il ruolo gestionale da parte di Villa Magna nel coordinamento e vendita della produzione. Nulla sappiamo di come vivessero gli addetti ai lavori e le loro famiglie. Un indizio però ci viene dal ritrovamento di una piccola sepoltura infantile a fossa “senza corredo e ricavata nel banco di travertino e foderata lungo i lati da frammenti di laterizi.” (figura 8).
Questa tomba doveva stare all’interno delle mura domestiche, abitazione ed officina, ed è commovente dedurne quanto i parenti di questo bimbo non volessero distaccarsi da lui tenendolo per sempre accanto a loro. Ma ciò che è indicativo è che questo piccolo avesse solo sei mesi di vita e la causa della morte fosse una forte anemia e carenza vitaminica, quindi in sostanza “denutrizione”.
Questo è in qualche modo un punto di partenza che attraverso uno studio attento ed approfondito potrebbe portare alla conoscenza della qualità della vita di questi nostri antenati ernici, non più popolo libero ma oramai economicamente soggetto al dominio di Roma.
Un’altro ritrovamento sempre accanto all’insediamento descritto, ha messo in luce un pozzo (figure 9 e 10) “di forma circolare per l’approvvigionamento idrico, del diametro di circa m. 0,90. Si tratta di un interessante esempio di manufatto scavato” in un terreno difficile, parte pozzolana e parte travertino. I materiali ritrovati all’interno del pozzo testimoniano il suo uso dal II sec. a.c. al II sec.d.c. , quattrocento anni!
Il numero di questi insediamenti è, presumibilmente, altissimo, ne sono stati trovati anche nei pressi di via Rotabile San Francesco e sotto ed accanto a Casale Pompi. Oggi Casale Pompi non esiste più ed al suo posto sta crescendo una palazzina.
Non so bene, neanche, se i reperti presso la Rotabile San Francesco siano finiti sotto nuovi fabbricati.
Un altro insediamento (figure 1 e 7), forse dello stesso tipo, è stato trovato in tempi recentissimi presso la via Casilina, l’ho segnalato più volte anche da queste pagine, con due pozzi di cui uno in parte interrato ed uno assolutamente intatto.
Facevano parte del sito scoperto anche un fondo di un dolio e la pavimentazione in malta cementizia e laterizi. Purtroppo anche questo ritrovamento, prima di essere studiato in modo approfondito e messo a disposizione della comunità per essere conosciuto ed ammirato, è stato sepolto sotto una soletta di cemento armato per la costruzione di una pensilina. Tabula Pictas, come in epoca romana veniva chiamata Osteria della Fontana non era grande ed importante solo per i suoi monumenti straordinariamente unici, non solo per la sua “sacralità”, non solo per essere una stazione di sosta e di scambio per viaggiatori e commercianti, non solo per essere dimora, con Villa Magna, di Imperatori, non solo per aver contribuito con i prodotti della terra a creare “Anagna Dives” Anagni ricca, ma anche per essere un centro con una tal numero di impianti produttivi da non avere eguali, per l’epoca, nell’ Italia antica. Sarà la riscoperta, la valorizzazione e lo studio di tutta questa realtà storica che faranno di Osteria della Fontana un centro di interesse turistico importante che verrà raccontato (speriamo) in un museo sul posto nel “Rutone”.