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    Niente ZES per Frosinone e Latina: che fare?

    l'editoriale
    31 Ottobre 20235 Mins Read
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    di Filippo Del Monte

    Le province di Frosinone e Latina, con le rispettive aree industriali, resteranno fuori dalla Zona economica speciale unica del Mezzogiorno. Ormai questo è certificato dall’approvazione alla Camera del Decreto Sud, sul quale il governo aveva posto la questione di fiducia.

    La notizia non arriva come un fulmine a ciel sereno. Anagnia lo aveva già detto: estendere la Zes al Lazio meridionale è tecnicamente impossibile. E Frosinone e Latina non sono state escluse per dispetto, ma perché è l’impianto stesso del meccanismo inserito nel Decreto Sud ad imporlo.

    La battaglia per ampliare il perimetro della Zes era persa in partenza e non erano stati proposti modelli alternativi a quella che si sapeva essere una strada non percorribile per il territorio. Occorre, però, tutelare aree come quelle industriali di Frosinone, Latina, Civitavecchia, Rieti e Tiburtina Valley, perché esse, confinando con la Zes unica del Sud, rischiano di subire i contraccolpi propri di una allocazione di risorse che va a tutto svantaggio di zone certamente sviluppate ma, di pari passo, che hanno comunque subito le ricadute della crisi economica ed industriale degli anni precedenti.

    Il presidente di Unindustria, Angelo Camilli, a “La Repubblica” ha spiegato che le province di Frosinone, Latina e Rieti confinano con zone ad alta vocazione industriale, dall’Aquila a Napoli e Caserta che, inserite nella Zes, godranno di una posizione concorrenziale vantaggiosa rispetto a Ciociaria e Sud Pontino.

    Senza l’attuazione di misure compensative per le zone ad alta vocazione industriale escluse dai contributi finanziari, dalla velocizzazione delle procedure amministrative e dai benefìci fiscali e occupazionali della Zes, lo Stato rischia di trasformarsi in un inefficiente allocatore di risorse: pensare che sostenere aree economicamente depresse senza apportare benefici alle aree sviluppate confinanti possa funzionare non è credibile. Anzi, si rischia di trasformare in aree depresse quelle che sono considerate “virtuose”.

    Questo pericolo era già stato denunciato dal deputato di Fratelli d’Italia, Massimo Ruspandini, il quale, proprio ad Anagnia, aveva spiegato che restando fuori dalla ZES, Frosinone e Latina rischierebbero non solo di non essere più attrattive per i nuovi investitori, ma anche di subire contraccolpi negativi sui piani d’investimento già stanziati sul territorio.

    L’eventuale istituzione di una “zona cuscinetto” Zls (Zona logistica semplificata) potrebbe essere un palliativo, ma non andrebbe a risolvere quella che si preannuncia essere una misura squilibrata. Le Zls sono, infatti, equiparabili a Zes “depotenziate”, con le stesse procedure di sburocratizzazione ma senza gli stessi incentivi finanziari e benefici fiscali.

    Del disegno di legge n. 732 del 2018, proposto dall’allora senatore di Fratelli d’Italia ed attuale ministro del Made in Italy e delle Imprese, Adolfo Urso, che chiedeva l’estensione dei benefici fiscali delle Zes alle Zls, è rimasta, purtroppo, lettera morta. Anche perché sarebbe stato un passo importante verso l’unificazione delle normative sui “regimi speciali” delle aree produttive principali del Paese.

    Le inevitabili differenze concorrenziali dovrebbero indurre politica e mondo delle imprese a ragionare, invece, sull’estensione al livello nazionale di semplificazione burocratica e benefici economici delle Zes. Se, infatti, un modello di sviluppo economico funziona su un dato territorio proprio perché svincolato dall’elefantiaca burocrazia e dall’elevata tassazione del Paese, non si comprende perché questo stesso modello non debba essere strutturato su base nazionale.

    Sotto questo aspetto, come già ricordato in un precedente articolo, la Polonia è un esempio da seguire. Nelle aree Zes polacche era possibile usufruire di vantaggi fiscali e di adeguate infrastrutture, con il chiaro obiettivo di creare nuovi posti di lavoro. Queste Zes erano individuate anche secondo una vocazione produttiva, come ad esempio le Zes di Katowice e di Cracovia specializzate nell’automotive.

    La Polonia ha istituito recentemente un regime Zes che interessa tutto il territorio nazionale. Nel corso degli anni le Zes polacche hanno attratto una importante mole di investimenti esteri (compresi quelli italiani), che restano tutt’ora la componente più dinamica dell’economia polacca e sono in costante crescita proprio grazie alla presenza di Zone economiche speciali, con una legislazione economica differente e agevolata.

    Le Zes polacche e cinesi (nate con la politica della “porta aperta” negli anni ’70, volta ad attrarre investimenti esteri nella chiusa economia socialista cinese dell’epoca) sono tra quelle che hanno avuto più successo e che sono diventate oggetto di studi.

    In Polonia tutte le Zes saranno attive sino al 31 dicembre 2026 e l’obiettivo primario di queste zone è quello di accelerare lo sviluppo economico del territorio, soprattutto attraverso l’insediamento di specifici comparti di attività economica, l’adozione di nuove soluzioni tecniche e tecnologiche, la promozione e lo sviluppo dell’export, il miglioramento della competitività, ma soprattutto la creazione di nuovi posti di lavoro.

    Accanto alle Zes esiste poi il concetto dei Parchi industriali e tecnologici (Itp), costituiti da un’area dotata di infrastrutture dove sorgono edifici tra loro separati, ambiscono a diventare catalizzatori di know-how tecnologico al fine di trasferirlo a istituzioni scientifiche e imprese (Parchi tecnologici) o che si avvalgono di infrastrutture che in passato erano utilizzate da imprese poi soggette a ristrutturazione o fallite, con l’obiettivo di attrarre investimenti e favorire la creazione di nuovi posti di lavoro, assicurando condizioni preferenziali e mettendo a disposizione spazi adeguati ad aziende economicamente solide che impieghino nuove tecnologie (Parchi tecnologico-industriali).

    Dunque, Varsavia – che è tra le economie europee che stanno crescendo maggiormente ed a ritmi notevoli – ha intuito chiaramente che le aree depresse ed anche quelle sviluppate necessitino tanto di una politica infrastrutturale e d’aggregazione, quanto di una politica d’agevolazione fiscale e sburocratizzazione che si adattino alle diverse esigenze e regioni del Paese.

    Più che insistere su battaglie di stampo campanilistico, quel che servirebbe è avere una visione d’insieme del sistema industriale italiano, che riconosca alle varie zone della Penisola le specificità produttive e ne favorisca lo sviluppo.

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