di Monia Lauroni
É l’icona dei paesaggi africani, grande come il mondo, immensa, alta e bianchissima’, scriveva Ernest Hemingway in uno dei più bei libri dedicati all’Africa, “Le nevi del Kilimangiaro“.
Avvolto in un alone mistico, un tempo inviolabile, il tetto d’Africa è il sogno dei folli, ma non tutti quelli che si avventurano riescono in questa impresa.
A Veroli, sabato pomeriggio qualcuno ha avuto la fortuna di ripercorrere quel viaggio attraverso le gambe e le sensazioni di Stefano Gaetani.
Stefano Gaetani, presidente della Compagnia dei Viandanti e guida Aigae abilitata, quella vetta l’ha toccata, l’ha vissuta, tanto profondamente da trasmettere con foto e racconti ogni singola emozione, ogni singola paura di quei cinque giorni che resteranno nella sua memoria più di una vita intera trascorsa a raggiungere cime e stelle.
Con lui, la guida Francesco Ottaviani, compagno di viaggio e di racconto postumo.
Pareva di esserci, di vedere con gli occhi il volto degli escursionisti segnato dall’inquietudine. Perché come hanno spiegato Stefano Gaetani e Francesco Ottaviani, il Kilimangiaro non è impossibile per i più allenati, sono le insidie che si celano dietro ai dislivelli, ai cambi di temperatura, alla paura di misurarti con la tua forza di volontà, superare quegli ostacoli che come demoni ogni minuto ti chiedono di arrenderti e di scendere a valle.
Li senti nella testa, nella gola che chiede acqua, nelle gambe che si fanno pesanti, nei muscoli intorpiditi, nei respiri che pesano e l’aria pare non basti. E in quel maledetto mal di montagna sempre appostato dietro l’angolo.
Ma quei paesaggi che cambiavano volto di ora in ora, come se in pochi minuti si attraversasse dall’Equatore all’Antartide, quei crateri lunari, quella gente d’Africa che sorrideva, accudiva, guidava, portava sacchi di viveri e ballava, valeva da sola la bellezza di vedersi per una volta nella vita la casa di Dio ai propri piedi.
Cinque giorni di sfide e di sacrifici prima di cavalcare la cresta del cratere con il ritmo cardiaco che impazzisce. Pole pole, il mantra che si ripete a sfinimento. Piano piano.
Un ‘piano’ apparente, ci sono regole ed orari da rispettare, il rischio di restare senza acqua e approvvigionamenti è troppo alto.
Stefano Gaetani, verolano e amante spasmodico della natura e della montagna ce l’ha fatta. Il suo racconto è entrato nell’anima di chi lo ha ascoltato. Ora si può dire che la montagna, le vette, l’immenso del mondo in Stefano abitano, sono di casa, stanno.
E resteranno lì come i tramonti e le albe e le tavole su cui ha dormito per realizzare il suo sogno. Un sogno a 5.895 metri, con l’aria rarefatta, la natura mutevole protagonista assoluta, i paesaggi desertici e lunari plasmati dal fuoco, dal ghiaccio e dal vento. La distesa verde della savana, la bellezza sontuosa che annuncia quella sublime che il Kilimangiaro ha in serbo per i più audaci.
E Stefano Gaetani è stato uno tra quei sognatori folli e determinati.
Il racconto è stato possibile grazie all’Università Popolare di Veroli, che ha promosso l’iniziativa.
Ci fermiamo qui, senza tecnicismi, ma con quel nodo di emozione che ci è stata trasmessa e con il desiderio che questa impresa del nostro concittadino possa seguitare a far sognare. Magari trasformandosi in pagine da sfogliare.
Complimenti a Stefano ed ai suoi compagni di avventura.
Un’ immagine che resta: il sole all’orizzonte sale sopra le nubi, illumina il tetto d’Africa e la figura di un uomo in vetta, Stefano Gaetani. Pole pole.