di Monia Lauroni
Domani, domenica 21 gennaio, alle 17.30 nella chiesa di San Martino, durante la cerimonia eucaristica, avverrà l’usanza antica della benedizione degli animali.
In realtà solo a partire dal 1778 la tradizionale usanza della benedizione degli animali iniziò ad essere praticata nella chiesa di San Martino. A Veroli vi era, situata presso Porta Oscura, una chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, oggi divenuta abitazione privata. Non si hanno molte notizie a riguardo. Si presuppone che sia stata edificata tra gli ultimi anni del 1200 ed i primi del 1300. Da un atto redatto per la visita apostolica compiuta da Monsignor Annibale de Gasperis nel 1581 è possibile ricavare una descrizione dello stato materiale della chiesa. Da questo atto si evince che “una vecchissima immagine di S. Antonio è collocata al lato dell’altare, sotto una finestra con inferriata”.
Fino al XVIII secolo nella chiesa vi ebbero sede le corporazioni dei fabbri, dei falegnami, dei mulattieri, dei cavallari e degli asinari ed era amministrata dall’Ordine degli Antoniani. Questi, nell’anno 1775 decise di sciogliersi ed i religiosi superstiti confluirono nell’ordine di Malta.
L’antica chiesa verolana dipendeva dal priorato di Roma che conferì tutti i beni appartenenti agli Antoniani alla Accademia dei Nobili Ecclesiastici. Per vigilare sulle disposizioni pontificie del caso, venne incaricato da Roma Mons. Giuseppe Gavotti, il quale propose la collocazione in posizione onorifica dell’antichissima statua lignea di Sant’Antonio Abate, presso altra chiesa della città. L’invito a prendersi cura dell’antica statua venne entusiasticamente raccolto dai Minori Osservanti del convento di San Martino.
E fu così che nell’estate del 1777, il simulacro fu traslocato e collocato entro una “nicchia contornata da sontuosa cornice di stucchi policromi”, fatta costruire appositamente a sinistra del presbiterio, dove l’immagine sacra ha tutt’oggi sede. Un devoto e solenne corteo accompagnò in processione l’immagine del santo ed i frati Minori assunsero l’obbligo di celebrare messa nella cappella a lui dedicata nei giorni festivi. Venne stabilito (in realtà già era concessa da Innocenzo XI per ogni chiesa o cappella dedicata a Sant’Antonio) che chi visitasse la chiesa nel giorno della festa del santo, il 17 gennaio, potesse godere dell’indulgenza plenaria e venne inibito a chiunque, tranne ai Minori Osservanti, di arrogarsi la facoltà di benedire gli animali.
Partiti da Veroli i Minori Osservanti, era l’anno 1875, a mantenere viva la venerazione per Sant’Antonio furono i frati Cappuccini, ai quali venne affidata l’officiatura della chiesa fino a metà degli anni sessanta. Dal momento del trasferimento della statua nella chiesa di San Martino, accrebbe la devozione popolare verso il ‘Santo dello Foco’, forse anche in relazione alla protezione accordata a tutti gli animali da cortile e da lavoro.
Anticamente la sera del 17 gennaio, nelle campagne verolane si accendevano dei falò che simboleggiavano la volontà di abbandonare tutto ciò che apparteneva ai mesi passati e di rinnovarsi a partire dal primo mese del nuovo anno. Questo genere di riti in onore di Sant’Antonio, si sono persi definitivamente con il passare degli anni, come è scomparsa la superstizione che la stessa notte gli animali avessero facoltà di parola. In passato, durante la notte degli animali parlanti, i contadini del territorio verolano si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio.
Simpatica e diffusissima era una canzoncina popolare in dialetto verolano “ Le tentazioni di Sant’Antonio” dal leggero tono irriverente ispirata alle tentazioni demoniache subite dal santo anacoreta. “…Sant’Antogno allu deserto rappezzeva a filu e ago e lu diavolo pe’ dispetto ce spezzeva filo e ago. Sant’Antogno forbiciono locco locco lo fece cappono”.
Le immagini vere, delle piccole cose lontane, per ritrovare più di quanto è andato perduto.