di Guglielmo Viti
Anagni ha una storia antica importante; ma non tutti sappiamo quanto antica ed importante. Moltissimi partono addirittura dal 7 settembre 1303 il giorno del famoso schiaffo a Papa Bonifacio VIII ed ignorano completamente la precedente gloriosa storia legata al popolo degli Ernici che prima di Roma aveva fondato città ed aveva influenzato con la sua civiltà tutti i popoli del Lazio meridionale.
Gli Ernici furono un grande popolo che collaborava in uno scambio reciproco di cultura con gli Etruschi, la più importante popolazione dell’Italia antica insieme ai Greci, “In tuscorum iure paene Italia fuerat” dice Catone citato da Servio, “quasi tutta l’Italia era sotto il dominio degli Etruschi”. Gli Ernici furono il popolo più antico del Lazio, scrive Sandra Gatti, ma ancor prima degli Ernici, molto prima, in età preistorica (quarto, terzo millennio a.C.) tutta la zona era abitata da altre genti, genti venute dall’Anatolia, come suggeriscono recentissimi studi sul DNA delle ossa ritrovate.
Straordinariamente anche questi gruppi umani si distinguono dal resto dei raggruppamenti stanziatisi nel Lazio per diverse ragioni. Intanto dobbiamo considerare quanto gli archeologi ci dicono sui ritrovamenti fatti ovvero che nella campagna di Anagni, nella valle del Sacco coesistevano due tipi di facies culturali: la facies di Rinaldone e quella del Gaudo. Questa convivenza rappresenta, come scrive Italo Bitittu “un unicum“. Stiamo intorno al 3500-3000 a.C. ed i nostri progenitori conoscevano e praticavano l’agricoltura ed abitavano in semplici capanne o grotte e lavoravano il rame e la pietra.
Fra questi due gruppi “culturali” non c’erano molte differenze ma ciò che emerge dai ritrovamenti che può determinare i caratteri peculiari di una facies culturale rispetto all’altra riguarda essenzialmente se non esclusivamente (abbiamo pochi elementi per essere certi) i riti funerari. La facies di Rinaldone caratterizza l’alto Lazio e la bassa Toscana (prende il nome da una località vicino Viterbo) e presenta un tipo di sepoltura semplice, dove l’individuo viene sepolto in una buca o in una grotticella naturale con il corredo formato dai classici vasi a fiasco di impasto con breve collo a tromba. La facies del Gaudo invece è presente nella bassa Campania, nella zona di Salerno e di Paestum e si caratterizza per un tipo di sepoltura un po’ più complessa formata da fosse multiple collegate fra loro.
Da un vano che funge da ingresso si diramano vari altri ambienti destinati ai cadaveri. Il corredo è identico a quello della facies di Rinaldone e non presenta caratteri distintivi importanti. Intanto recentissime analisi hanno rivelato che i vasi a fiasco erano utilizzati per la fermentazione del miele in acqua.
“Allo stato attuale delle ricerche, il rinvenimento di residui organici relativi a idromele all’interno di vasi a collo (fiaschi, brocche, askoi) ma anche in vasi per bere riferibili alle facies di Rinaldone e del Gaudo, costituisce una scoperta eccezionale che permette di chiarire quali fossero le bevande utilizzate durante particolari cerimonie legate al rituale funerario e quali fossero le procedure e i vincoli legati alla produzione di bevande alcoliche e
all’uso di determinati vasi.”(G. Carboni e altri).
Già prima della introduzione della coltivazione della vite nelle campagne tra Osteria della Fontana, San Bartolomeo e altro i nostri antenati producevano bevande alcoliche e la forma caratteristica del collo a tromba dei nostri vasi a fiasco serviva in modo perfetto durante la fermentazione a tenere legato un pezzo di tela o di pelle che fungeva da tappo.
Allora ecco la differenza importante emergere fra le due culture citate: nella cultura di Rinaldone la bevanda alcolica viene utilizzata solo per le cerimonie funebri, come offerta ai defunti. Nella facies del Gaudo, invece, la bevanda alcolica prodotta, l’idromele, veniva utilizzata tutti i giorni, quotidianamente e poi messo anche come offerta nelle tombe proprio nel primo vano di ingresso. Questa, evidentemente, rappresenta una differenza importante, un modo diverso e significativo di approccio con il mondo dell’aldilà dove c’è chi ritiene che un cero tipo di prodotto deve essere ad esclusivo uso dei morti mentre c’è chi pensa ad un maggiore coinvolgimento del mondo dei vivi con quello dei morti.
La cosa straordinaria che appare nel territorio di Anagni è che questi due modi di vivere il sacro convivono generando “l’unicum” suddetto. Credo che questa comunione nasca dalla particolare conformazione geologica del territorio che è sempre stato un territorio di passaggio fra il nord ed il sud e fra il centro est e l’ovest, fra i monti ed il mare, un territorio di scambio fra innumerevoli culture. L’altro fatto che ha incentivato lo stanziamento di questi gruppi umani è la natura fertile del territorio e la sua formazione vulcanica. L’evoluzione geologica caratterizzata dalla forte presenza di vulcani ha creato una serie di banchi di travertino con la formazione di grotticelle che si sono rivelate utilissime per gli uomini del Rinaldone.
Anche la fertilità e la presenza abbondante di acqua hanno fatto da sempre una zona ricca, “dives”, come scrive Virgilio pensando ai tempi in cui viveva ma riferendo un episodio molto più antico contemporaneo all’arrivo di Enea nel Lazio ancor prima della nascita di Anagni, e che evidentemente era una caratteristica che si tramandava da secoli. Molti siti sono stati sconvolti dalla realizzazione di cave e da costruzioni di vario tipo oltre al fatto che pochissimi sono stati i saggi di scavo archeologico, fondamentalmente solo due, nel suolo.
Oggi 5 giugno 2024, mentre sto scrivendo è in corso la realizzazione di un enorme insediamento per la logistica che andrà a sconvolgere un territorio che, pur non avendo avuto ancora campagne di scavo sistematiche ed importanti, ha consegnato semplicemente a chi passeggiava e passeggia numerosissimi reperti preistorici come punte di frecce molto ben acuminate, caratteristiche della facies di Rinaldone.
Queste popolazioni preistoriche che saranno dominate e poi assorbite dagli Ernici intorno al X sec. a.c. non scomparvero ma consegnarono la
loro cultura ai nuovi arrivati. Tanto avevano raggiunto un grado di civiltà, per esempio nell’agricoltura, che le loro invenzioni e metodologie saranno usati per secoli e daranno agli Ernici la capacità di prevalere sugli altri popoli.
Anagni ha questo passato tutto da studiare e da raccontare e parte del suo DNA lungo migliana d’anni di scambi culturali, incroci di civiltà, capacità tecniche e culturali che ne faranno sempre “un unicum” che aspetta solo di essere rimesso in luce e mostrato.