di Guglielmo Viti
La scrittrice, pittrice, archeologa Marianna Candidi Dionigi ai primi dell’ottocento descrive il monumento degli Arcazzi di Anagni riferendo che gli anagnini chiamavano questo posto “il teatro”. Anche l’avvocato Giuseppe Marocco, nella sua monumentale opera “ Monumenti della Stato Pontificio: e relazione topogtafica di ogni paese “cita la Candidi Dionigi riportando la stessa denominazione : “Esiste una contrada in vocabolo piscina, che la Dionigi asserì essere denominata dagli anagnini il teatro”. Però sia la Dionigi sia il Marocco sono scettici su questo uso del monumento ritenendolo, giustamente, più un acquedotto a servizio delle terme ernico/romane da cui la denominazione di “piscina” alla zona. Ricostruiamo la storia di questo monumento. Anagni, come è noto, ha un’imponente cerchia muraria che dall’epoca serviana in poi è stata più volte ampliata e restaurata. Un tratto che non sembra aver subito alcuna modifica dalla costruzione si trova in località Piscina e mostra una struttura particolare detta “gli Arcazzi”. Questo monumento è formato da una serie di pilastri alti circa 16 ml e distanti tra loro circa 4 ml su cui poggiano tre grandi archi alle cui spalle c’è un tratto di mura semicircolare. Tutto questo complesso è architettonicamente affascinante e strutturalmente ammirevole. Una volta formata da blocchi aggettanti collega gli archi alla sommità del muro. Ciò che mi ha sempre incuriosito è il fatto che tutta questa grandiosa costruzione (aggetto e pilastri) sarebbe servita a sostenere un aggetto di soli 3.80 ml; non mi ha mai convinto questa funzione tenuto conto della mentalità antica, soprattutto romana e preromana, per cui era difficile immaginare un così notevole impegno di capacità tecnica, di maestranze e finanziario per un’esigenza così semplice. Anche la funzione di sostegno del muro retrostante, sostenuta da alcuni, non sembra credibile; basta un minimo di conoscenza della funzione di un muro di sostegno per sapere cha la maggiore spinta non avviene alla sommità ma ad un terzo dell’altezza. In passato storici come De Magistris o Zappasodi ritenevano l’ipotesi plausibile pensando ad una funzione “monumentale” a sevizio di un tempio, d’un Foro o di un’area di servizio delle mura. Recentemente anche la Mazzolani sembra convalidare questa ipotesi. Personalmente credo che, invece, ci troviamo di fronte ad un acquedotto , stessa ipotesi formulata prima di me dalla Candidi Dionigi, Marocco, Terrinoni ecc.., anzi, più precisamente un tratto a cielo aperto di un acquedotto. La forma semicircolare delle mura si deve senza ombra di dubbio alla necessità di sostenere un terreno in parte franoso ed in parte terrapieno, realizzato per sopportare il peso dei grandi edifici termali che Fabio Valente,forse, prima, Tito Flavio Vitale ed Evodio e Marcia, dopo, recuperarono e restaurarono. Esistono due iscrizioni che stavano alla base di statue commemorative , oggi conservate nel lapidario della Cattedrale e trovate durante i lavori di restauro del convento di Santa Chiara (vedremo come anche questo luogo faceva parte di tutto il maestoso complesso monumentale) che ricordano proprio Evodio M.Aurelio Sabiniano e sua figlia Marcia Aurelia Cetonia che agli inizi del II sec.d.c. restaurarono a proprie spese gli edifici termali “Longa incuria neglectas” da molto tempo abbandonati. Anche nell’anno 165 d.c., prima di Evodio e Marcia erano stati eseguiti lavori di restauro alle terme “perché quasi del tutto cadute” da Tito Flavio Vitale, anche questo evento viene ricordato in una lapide. Ė importante far notare come si parli sempre di restauri di edifici già da molto tempo abbandonati, il che indica una datazione della costruzione iniziale molto più antica, che io riporto, anche in base a vari elementi che vedremo, al IV sec. a.c. in contemporanea con la costruzione delle mura. In verità già alla fine dell’ottocento il Terrinoni nella sua opera “I Sommi Pontefici della Campania romana con notizie storiche intorno alle città e luoghi più importanti della medesima provincia” (1888/1889) scriveva : A settentrione poi s’innalzano alcuni archi colossali, detti di Piscina probabilmente perché portavano l’acqua ad un avanzo di fabbrica semicircolare …Alcuni tubi quivi trovati farebbero testimonianza che vi fossero le terme di Valente…”. Non so perché lo storico Ambrosi de Magistris con troppa leggerezza e senza fornire spiegazioni bolla questa affermazione come assurda “ Gli archi di Piscina che portavano acqua! È troppo!”. Ė troppo non prendere atto dei ritrovamenti, delle testimonianze storiche, dei fatti e della struttura del monumento! Probabilmente quell’avanzo di fabbrica circolare a cui fa riferimento il Terrinoni e che fu disegnata dalla Dionigi, erano le mura . Inoltre i tubi di piombo che erano stati rinvenuti in loco e conservati dal canonico Perticoni ad Anagni furono pubblicati da Rodolfo Lanciani nel suo libro sugli acquedotti romani e riportavano il marchio di fabbrica : Claudius Felix, lo stesso di condutture trovate sulla Nomentana. Proprio nella necessità di provvedere alla fornitura di acqua si costruì un’acquedotto sotterraneo dalla Acropoli, oggi la Cattedrale, fino a dove la pendenza e la consistenza del terreno lo consentiva realizzando, poi, con gli “Arcazzi” il passaggio sopra il vallone o “Val Fredda“ sottostante le mura. Ha ragione la Mazzolani quando afferma che l’altezza non doveva essere in origine molto diversa dall’attuale e, credo che proprio al di sopra si possa ancora notare il piano su cui poggiava il canale di scorrimento dell’acqua. Avendo fornito alcune cisterne (citate dal Terrinoni), ancor oggi esistenti al di sotto di moderni palazzi e che in un passato non lontano servirono anche per l’uso del quartiere ebraico, per le Terme, dagli “Arcazzi”, poi, l’acqua procedeva in canali interrati fino ad un bacino di distribuzione con tubi di piombo a servizio della città ma anche delle campagne ( “Vasca Magnaporci’?). I semipilastri che appaiono sopra le grandi arcate servivano a sorreggere una cornice di coronamento così come appare in altri acquedotti romani. Oltre a questa importantissima funzione l’acquedotto rappresentava anche un’eccezionale “quinta” per chi, attraverso la porta o porterula, come sostiene la Mazzolani, entrava alle terme. Credo che l’esistenza di vasche in marmo di cui restano tracce alla base degli Arcazzi, possa far pensare alla presenza di una fontana in cui l’acqua in eccesso vi si gettava partendo dall’alto forse proprio dalle vasche o cisterne quelle stesse ancora esistenti al di sopra e ricoperte dai palazzi. Il complesso termale doveva avere una estensione importante e monumentale se ancora alla fine dell’ottocento dove dopo fu costruito Palazzo Bacchetti esistevano delle strutture, archi, che R.Ambrosi De Magistris riporta in un disegno.
Partendo dall’esistenza di questa struttura possiamo ricostruire il complesso termale così come doveva apparire nei primi secoli dell’era cristiana. Da vecchie fotografie della zona di “Piscina” databili ai primi del novecento vediamo come il terreno non era formato da gradoni ma aveva una pendenza pressocchè unica anche se i fabbricati che lo contornavano erano costruiti su livelli diversi. Come spesso è accaduto per i monumenti antichi, come il Colosseo o i Foro romani, o lo stesso Tempio di Palestrina, il tempo faceva si che venissero ricoperti di terra, vegetazione o fabbricati e, così come nei Fori pascolavano le pecore così nel parco di Piscina , sopra le terme, c’erano orti e frutteti. La struttura con gli archi demolita per la costruzione di Palazzo Bacchetti stava, infatti, ad oltre 2 ml sotto l’attuale piano della strada. Ritengo che tutta la zona fosse terrazzata, sappiamo che Anagni in epoca imperiale era famosa per questi numerosi terrapieni su cui sorgevano numerosissimi templi e santuari ed ancora ne abbiamo testimonianze. Penso quindi che la zona di Piscina fosse formata da vari livelli delimitati e sorretti da muri con arcate che formavano locali, botteghe od altro. Un esempio che possiamo prendere per ricostruire il nostro complesso è il Tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina. Partendo dal livello superiore, quello che aveva i locali riportati dal De Magistris, che avevano degli spiazzi lastricati sul davanti, scendiamo ai livelli inferiori dove altri archi e muri sostenevano il terrapieno. Sopra questi terrazzi esistevano gli edifici : le Terme, i Templi, le botteghe. Credo lecito immaginare dei muri di sostegno che , così come a Palestrina o in altri siti romani, fossero realizzati con la stessa tecnica delle Sostruzioni Sillane di Anagni o gli archi inglobati nel convento delle Clarisse sempre ad Anagni. L’acquedotto degli “Arcazzi” riforniva pertanto tutto il complesso monumentale di proporzioni grandiose che doveva esistere dove oggi c’è il Parco di Piscina. L’ingresso al complesso era formato da due rampe monumentali, oggi ancora ben individuabili, di cui una è quella con gli Arcazzi mentre l’altra, probabilmente solo pedonale, aveva una elegante decorazione muraria a opus reticolatum lungo i muri di delimitazione. Questa seconda rampa era anche “protetta” dalla finestra ad arco monumentale. Dopo l’ ingresso di cui ho già parlato, quello con gli Arcazzi, che era formato da una “cascata” prima, che partiva proprio dall’acquedotto e cadeva in una vasca di marmo di cui restano tracce, dal bassorilievo del fallo bene augurante poi, si entrava attraverso un duplice arco direttamente in un complesso di edifici posti su vari livelli ed aventi molteplici funzioni. Purtroppo le demolizioni, gli scavi, le costruzioni, i capovolgimenti di tutta la zona in cui erano stati interrati i tubi per l’adduzione dell’acqua agli Arcazzi (forse i tubi in piombo di cui parla il Terrinoni) hanno irrimediabilmente cancellato questi reperti. Esiste, murato in un palazzo al di sopra delle mura un “orologio ad acqua”e nei sotterranei si possono ancora vedere le antiche vasche. Anche la presenza del fallo scolpito a rilievo nel pilastro medio augura al visitatore delle Terme buona fortuna, così posto all’ingresso, come similmente falli scolpiti su una porta di Alatri avevano la stessa funzione. Esiste un altro acquedotto assolutamente simile agli Arcazzi, si trova in Algeria presso la città di Bejaia, stesse dimensioni, stessa struttura ma, soprattutto, stesso simbolo fallico nello stesso posto ! Sull’epoca di costruzione ci sono varie ipotesi, personalmente credo che la presenza di una volta con blocchi aggettanti, la cui funzione mi pare più legata a una passerella di servizio, fa pensare ad una datazione remota, ad un’ epoca in cui Ernici ed Etruschi avevano ancora contatti diretti e molto profondi , IV sec. a.c. così come le mura. Le vasche di Piscina resistettero all’uso per molti secoli diventando un servizio esclusivo della comunità ebraica, vista la vicinanza al ghetto, mentre per i cristiani era riservata la vasca di “Bagno”. Purtroppo ancora oggi esiste il pericolo che la zona venga ancora irrimediabilmente sconvolta da lavori e si perdano tutte quelle testimonianze ancora interrate del complesso monumentale della Terme romane di Anagni. “ Il sottosuolo di tutta la contrada Piscina e quello della contrada la Valle dovrebbero essere accuratamente esplorati, perché qui vi sorgevano le terme, il foro, ed altri pubblici edifici´ ed ancora “Essi (gli Arcazzi) servivano a delimitare con una linea retta un’area attigua alle mura urbane, sia d’un tempio, sia d’un foro, dacchè senza escavazioni è qui impossibile di decider nulla….” Così scriveva lo storico R.Ambrosi De Magistris già nel 1889 !
A conferma della possibile analogia di costruzione del complesso degli Arcazzi con il Tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina , curiosamente ed in modo del tutto casuale, viene in aiutoun disegno del Barone Alberto Barnekow. Alberto Barnekow progettò per la nuova Roma repubblicana una serie di monumenti con una nuova sistemazione urbanistica ispirata ai canoni architettonici napoleonici, inserendoli nei luoghi più importanti e centrali della città. Una serie di questi progetti sono in mostra a casa Barnekow ad Anagni, ed uno in particolare merita la nostra attenzione, l’unico ambientato ad Anagni. Il barone progettò per la nostra città una ricostruzione monumentale delle terme di Piscina con l’inserimento degli Arcazzi. Il riferimento agli Arcazzi è più che evidente: le mura a semicerchio con i blocchi che si alternano in file parallele e trasversali, i tre grandi pilastri con la loro specifica forma e la fondazione su tre livelli diversi, le mensole e, addirittura, il barone inserisce anche i due monumenti dedicati a Marcia ed Evodio, le cui iscrizioni dedicatorie sono conservate nel lapidario della cattedrale (20).Tutti i riferimenti indicati ci portano a credere che Barnekow avesse una profonda conoscenza del sito, della sua storia e dei ritrovamenti fatti. Ma ciò che è più straordinario è che nella ricostruzione il barone inserisce elementi che sono assolutamente compatibili con una attendibile ricostruzione storica che vede nel modello del Tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina la sua ispirazione (o viceversa) . Forse il barone aveva dati a noi ignoti o è stata una folgorante ispirazione? Barnekow intuisce con la costruzione del grande fabbricato a semicerchio sopra le mura ed i vari gradoni sottostanti con due scalinate monumentali di accesso che tutto il complesso era formato da varie terrazze con accessi monumentali ed alla sommità doveva sorgere, come a Palestrina, un grande edificio a esedra. Così come il ritrovamento dei resti di porticato fatto durante la realizzazione di palazzo Bacchetti ci ricordano una serie di ambienti con volte a “botte” dovevano essere destinati a vari usi: commerciali, sacri, termali ecc… così Barnekow ricostruisce un edificio con strutture simili. Un altro elemento attira la nostra attenzione : quella specie di grande piattaforma con scale che ricorda molto un palcoscenico. Diverse testimonianze, come già accennato in precedenza , raccontano di una piattaforma in marmo alla base degli Arcazzi, oggi sepolta e, quindi, sarebbe un altro tassello a favore della fedeltà della ricostruzione di Barnekow che richiama anche la denominazione di “teatro” da cui siamo partiti. Non credo che vi sia mai stato un teatro ma, evidentemente, tutta l’architettura del complesso doveva richiamarlo ed il nostro barone ha avuto la capacità di ricostruirlo e solo con indagini approfondite riusciremo a saperne di più.Il valore maggiore che dobbiamo dare a questo progetto del barone è che come a Roma inserisce i suoi monumenti nei luoghi più importanti della città così ad Anagni trova negli Arcazzi il nostro monumento più rappresentativo.