di Sante De Angelis
Il Conclave 2025 si avvicina e con esso l’attenzione del mondo cattolico si concentra sui cardinali elettori, gli uomini chiamati a scegliere il prossimo Pontefice. Sono porporati provenienti da ogni continente, con storie personali, sensibilità teologiche e incarichi ecclesiali profondamente diversi. Alcuni guidano importanti diocesi metropolitane, altri ricoprono ruoli chiave nella Curia romana; altri ancora sono voci radicate nei luoghi di conflitto o di nuova evangelizzazione.
In tutto i cardinali sono 252. Tra questi, solo 136 hanno diritto di partecipare all’elezione del papa: coloro che hanno più di 80 anni sono infatti esclusi dal voto. A causa di problemi di salute, a Roma non ci saranno però due arcivescovi. Oltre a loro mancherà anche il cardinale Giovanni Angelo Becciu che a causa di una condanna a 5 anni per peculato e abuso d’ufficio, come deciso da Papa Francesco prima della sua morte, non potrà partecipare.
Tra tutti i cardinali, ben 110 sono stati nominati da Bergoglio. Non tutti sono però vicini alle idee innovatrici di Papa Francesco. All’interno del Collegio cardinalizio, stando al Times ci sono infatti cinque correnti: progressisti, progressisti morbidi, moderati, conservatori morbidi e conservatori. Il blocco più grande è composto da quello dei progressisti e progressisti morbidi. Nessuna fazione detiene però una chiara maggioranza e sarà quindi necessario costruire un largo consenso per eleggere il nuovo Papa.
Di questi ben 12 i cardinali “Bonifaciani” ad entrare in Conclave per eleggere il 267° successore di San Pietro, che nel corso degli anni si sono alternati a ritirare il Premio Internazionale Bonifacio VIII, conferito dall’Accademia Bonifaciana, con il titolo di Senatore Accademico.
Altri 22, invece sono gli ultraottantenni che stanno partecipando e parteciperanno alle Congregazioni generali prima dell’inizio del Conclave, previsto per il 7 maggio, dove i “Principi” di Santa Romana Chiesa eleggeranno colui che la dovrà reggere, dopo i dodici anni di pontificato di Papa Francesco, mentre i rimanenti 18 porporati venuti ad Anagni su invito della Bonifaciana, sono passati al miglior vita nel corso di questi anni.
“Dal 2003 al 2024 sono stati ben 52 i cardinali che grazie al Premio Internazionale Bonifacio VIII, hanno avuto la possibilità grazie con l’Accademia Bonifaciana che lo ha istituito, di visitare e soggiornare ad Anagni. Ce ne sono per tutti i gusti, dai più conservatori, ai tradizionalisti o centristi per passare poi ai più progressisti – ci dice con soddisfazione il Rettore Presidente e Interlocutore Referente presso la Pontificia Accademia di Teologia Sante De Angelis – i primi due porporati ad essere insigniti, nel 2003, dopo che fu premiato Papa Giovanni Paolo II, furono il cardinale José Saraiva Martins, oggi 93 anni, che detiene ancora con piacere la carica di Presidente Onorario e Patrono Spirituale della Bonifaciana e l’argentino e grande amico sia di Wojtyla, che di Bergoglio, il cardinale Jorge María Mejía (1923 – 2014), mentre l’ultimo lo scorso anno, l’82enne cardinale Gianfranco Ravasi”.
Ma chi sono questi 12 “grandi elettori Bonifaciani”?
Nel corso degli anni, come nel 2023, ecco che viene ad Anagni il 7 maggio, il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, 67 anni, che fa parte del cosiddetto gruppo dei “progressisti mordibi”, soprannominato il “Francesco asiatico” per la sua vicinanza ideologica a Bergoglio. È considerato uno dei candidati favoriti nella corsa al papato anche per il fatto che la Chiesa Cattolica ormai da anni punta molto sull’Asia.
Poi il 2 dicembre successivo fu la volta del cardinale argentino Victor Manuel Fernandez, 62 anni, Prefetto del Dicastero della Fede, il promotore delle benedizioni non liturgiche delle coppie dello stesso sesso da parte dei sacerdoti e ha limitato le messe latine tradizionali tre anni prima che Papa Francesco rendesse universale la soppressione.
Nella stessa data, anche il Cardinale Mauro Gambetti, 59 anni, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano – Presidente uscente della Fabbrica di San Pietro e Arciprete della medesima basilica papale.
Nel 2022, il 23 aprile, è la volta del cardinale Gerhard Ludwig Muller, 77 anni, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. L’alto prelato ha sottolineato l’importanza che il prossimo papa lavori per mantenere coesa la comunità cattolica, avvertendo di possibili divisioni se prevalessero posizioni ideologiche. Ha evidenziato come la presenza di ideologie all’interno della Chiesa possa mettere in pericolo la sua unità. Secondo lui, la Chiesa deve restare ancorata al Vangelo di Gesù Cristo, che rappresenta il collante principale fra i fedeli. Quando si introducono idee esterne o divisioni basate su correnti ideologiche, il rischio di scissioni aumenta sensibilmente. Il riferimento esplicito riguarda l’intrusione di gruppi che cercano di influenzare la chiesa con posizioni spesso in conflitto con la dottrina tradizionale.
Il 2021, nonostante la “pandemia del Covid”, Anagni, ospita ben sei porporati, tra cui tre attualmente non elettori, il cardinale Angelo Bagnasco (15 maggio) 82 anni, il cardinale Giuseppe Versaldi (10 luglio) 81 anni e il cardinale Silvano Maria Tomasi (6 novembre) 84 anni.
Gli altri tre elettori sono il cardinale Fernando Filoni (9 luglio), 79 anni, attuale Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme¸ l’eroe della diplomazia nella Seconda Guerra del Golfo. Mentre tutti i dignitari occidentali nel 2003 abbandonavano una Bagdad trafitta dalle bombe statunitensi, il nunzio apostolico in Iraq dispensava fiducia ai suoi immediati collaboratori, terrorizzati dal frastuono degli ordigni. “Tranquilli – ripeteva –, finché sentiamo le esplosioni vuol dire che siamo vivi”. Ha servito gli ultimi tre Pontefici in ruoli diversi della diplomazia d’Oltretevere. Può servire alla Chiesa qualora le fumate nere in Conclave si susseguano l’una dopo l’altra senza soluzione di continuità. Né destra, né sinistra, Filoni – che fu premiato con il Bonifacio VIII internazionale, insieme al Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli – è l’uomo del compromesso, se non storico, almeno diplomatico. Gli anni non sono pochi. Il suo pontificato si presenterebbe come di transizione.
Il 5 novembre fu la volta del cardinale Augusto Paolo Lojudice, 60 anni, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza (Italia) e unione in persona Episcopi delle Sedi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e Montepulciano-Chiusi-Pienza. Il 2 giugno 2023 il Santo Padre lo ha nominato Giudice della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano, ed è Membro del Dicastero per i Vescovi. Il prelato si è concentrato sull’aiutare gli immigrati e le comunità emarginate (le comunità rom, i poveri e le persone colpite dalla criminalità organizzata), guadagnandosi il soprannome di “sacerdote di strada”. Non si conoscono le sue posizioni su altre tematiche etice più forti (aborto, ecc.).
Il 6 novembre, il cardinale José Tolentino de Mendonca, 59 anni, portoghese, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione dal 2022 e cardinale dal 2019. Teologo, poeta e saggista, è una delle voci più raffinate e dialoganti della Chiesa contemporanea, capace di coniugare fede, cultura e letteratura. Ordinato sacerdote nel 1990, ha compiuto studi biblici presso il Pontificio Istituto Biblico a Roma e ha conseguito il dottorato in teologia biblica alla Universidade Católica Portuguesa, dove è stato anche docente, vicerettore e direttore di riviste e centri culturali. Ha svolto incarichi pastorali e accademici sia in Portogallo che in Libano, Brasile e Stati Uniti. Autore di numerose opere poetiche e teologiche, è noto per il suo stile contemplativo e il profondo legame con la spiritualità evangelica.
Nel 2020, a poche settimane dallo scoppio del “Covid”, arriva nella città dei Papi il Cardinale protodiacono Dominique Francoise Joseph Mamberti,73 anni, il porporato che, dopo la fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina, annuncerà al mondo l’elezione del successore di Francesco, pronunciando la celebre formula Habemus Papam! Vale a dire, colui che nel Collegio cardinalizio, tra le altre funzioni assegnate, ha il compito di comunicare la storica notizia. Fu premiato nella sessione in cui venne insignito anche l’ex Presidente della Commissione Europea e del Consiglio dei Ministri, On. Romano Prodi.
Mamberti (se non sarà eletto Papa) sarà il secondo “annunciatore” consecutivo di nazionalità francese a dare al mondo la grande notizia, dopo che, nel 2013, ad annunciare l’elezione di Jorge Mario Bergoglio era stato Jean-Louis Tauran (anche lui cardinale “Bonifaciano” dall’11 febbraio 2005, estinto nel 2018); così come lo fu nel 2005, invece, per l’elezione di Joseph Ratzinger, a scandire l’ “Habemus Papam” – con una formula di saluto, aggiornata e arricchita di alcune lingue – il cileno Jorge Medina Estevez (“Bonifaciano” dal 2006, deceduto nel 2021).
Per arrivare ad un altro elettore e candidato forte, dell’imminente Conclave, arriviamo al 2018 – il 21 settembre – con il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, 60 anni, attuale Patriarca latino di Gerusalemme, che nell’occasione, oltre a tenere la “Lectio” e ricevere il Premio presso la Sala della Ragione, inaugurò con monsignor Franco Croci e il cardinale Prosper Grech, la nuova sede di rappresentanza della Bonifaciana nelle adiacenze della cattedrale.
Ci sono uomini come Pizzaballa, che hanno imparato i “segreti del potere ecclesiastico” non nelle anticamere romane, ma camminando sui sentieri polverosi della Terra Santa, dove la religione non è teoria ma sangue, pietra e conflitto quotidiano. Non è un teorico da scrivania, né un oratore da aula magna, ma un frate abituato a camminare in luoghi dove la teologia segue le rigide linee geografiche che separano fedi spesso in conflitto. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori nel 1984, ordinato sacerdote nel 1990, si è trasferito in Terra Santa ad appena 25 anni. Un battesimo di fuoco, per un giovane prete che avrebbe finito per trascorrere oltre trent’anni in quella regione travagliata. Imparò l’ebraico moderno – cosa che non piacque alla Curia – e studiò le tradizioni ebraiche all’Università di Gerusalemme, si immerse nella complessità di quella società plurale e lacerata. Dal 2004 al 2016 ha servito come Custode di Terra Santa, il guardiano dei luoghi santi per conto della Chiesa cattolica. Ma il vero salto avvenne nel 2016, quando Papa Francesco lo nominò Amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, promuovendolo poi a Patriarca nel 2020 e infine creandolo cardinale nel Concistoro del 30 settembre 2023. Un’ascesa rapida per un uomo che si è formato lontano dalle reti d’influenza tradizionali. Quella nomina confermò che Bergoglio si fidava di lui per la gestione uno scacchiere cruciale e incandescente. Ma Pizzaballa non è solo un diplomatico abile, è anche un pastore che ha dovuto affrontare questioni spinose in un contesto dove ogni parola può scatenare una tempesta. È un uomo che conosce la complessità. Ha scritto: “Non basta preservare il carattere storico della città attraverso le sue pietre, ma è anche necessario preservare l’intreccio unico di relazioni di fedi, popoli e culture, senza esclusivismo. La natura di Gerusalemme è includere, non escludere”. Durante la sua prima Messa Pontificale al Santo Sepolcro nel 2020, ha affermato: “Siamo la Chiesa del Cenacolo, ma non del Cenacolo con le porte sbarrate e persone paralizzate dalla paura. […] La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai”. Sulla questione del dialogo interreligioso, Pizzaballa ha osservato: “Il dialogo interreligioso ha prodotto documenti molto belli sulla fraternità umana […] eppure, nell’attuale contesto di guerra, tutto questo in Terra Santa sembra oggi essere lettera morta”. Riguardo al conflitto in Palestina, ha dichiarato: “Finché da parte di tutti non vi sarà una purificazione della comune memoria […] le ferite del passato continueranno ad essere un bagaglio da portare sulle proprie spalle”. Dopo l’attacco di Hamas del 6 ottobre, condannò severamente l’azione terroristica, ma ebbe il coraggio di dire l’attacco “non è avvenuto nel vuoto”. Questa affermazione gli valse le critiche del governo di Netanyahu(che ancora oggi osteggia la sua candidatura al papato). Appena pochi giorni dopo, il 16 ottobre 2024, si è offerto in cambio dei bambini in ostaggio di Hamas guadagnandosi il consenso dei familiari delle vittime e degli ostaggi. Pizzaballa dà l’impressione di una forza non sta nelle posizioni dottrinali, ma nella capacità di gestire situazioni impossibili. La sua giornata tipo a Gerusalemme significa mediare tra comunità che a stento si parlano, gestire crisi umanitarie, trovare risorse per ospedali e scuole, e mantenere aperto il dialogo con tutte le parti. In un’intervista a Vatican News, ha dichiarato: “La questione di Gerusalemme non è chiusa e attende una soluzione che tenga conto delle varie sensibilità non solo politiche ma soprattutto religiose, dove cristiani, ebrei e musulmani abbiano uguale cittadinanza”. Il cardinale della Terra Santa non è un rivoluzionario, ma un riformista prudente. Non ama i gesti eclatanti, preferisce il lavoro paziente del tessitore. Se dovesse salire al soglio pontificio, porterebbe con sé l’esperienza concreta di chi ha vissuto in prima linea i drammi e le speranze del nostro tempo. Un uomo che ha imparato a parlare molte lingue, non solo nel senso letterale, ma nel senso più profondo di saper dialogare con mondi diversi. Un pontefice che conosce il prezzo della pace perché ha visto da vicino, troppo da vicino, il costo della guerra. E oggi, per la Chiesa, potrebbe non essere poco.
Nel 2016 è la volta del cardinale Kurt Koch (3 dicembre), 75 anni, Prefetto per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, svizzero, porta al Conclave 2025 la voce dell’ecumenismo e del dialogo con le altre confessioni cristiane. Con una profonda competenza teologica, esperienza di governo pastorale e legami consolidati con il mondo accademico e ortodosso, rappresenta una figura di equilibrio tra dottrina e apertura al dialogo. Già elettore al conclave del 2013, Koch è oggi una delle voci più ascoltate sul tema dell’unità della Chiesa e del significato del concilio Vaticano II per la Chiesa del terzo millennio.
Penultimo “grande elettore bonifaciano” è il Cardinale Vinko Puljić (venuto ad Anagni il 23 novembre 2012), 79 anni, ora Arcivescovo metropolita emerito di Vrhbosna, Sarajevo, e cardinale dal 1994. Dodicesimo di tredici figli in una famiglia umile ma fortemente radicata nella fede cattolica, ha respirato fin da piccolo un profondo spirito di preghiera familiare, cresciuto all’ombra del monastero trappista di Marija Zvijezda. Formatosi nei seminari di Zagabria e Đakovo, è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1970. Dopo gli anni da parroco e padre spirituale in Croazia e Bosnia, è stato nominato arcivescovo di Sarajevo nel 1990, ricevendo l’ordinazione episcopale da Giovanni Paolo II nella Basilica Vaticana il 6 gennaio 1991. Durante il conflitto in Bosnia ed Erzegovina, l’arcivescovo Puljić si è distinto per l’instancabile attività a favore dei profughi e della pace, lanciando appelli per il rispetto dei diritti umani, l’unità del Paese e il dialogo tra le fedi. Ha incontrato capi politici e religiosi – cristiani, ortodossi, musulmani ed ebrei – divenendo simbolo di speranza e di coesione in uno dei periodi più drammatici della storia recente dei Balcani. Ha rischiato più volte la vita per visitare le parrocchie assediate, venendo persino imprigionato per alcune ore a Ilidža durante una visita pastorale. La sua voce, rispettata da cattolici, musulmani e credenti di altre religioni, ha contribuito a costruire ponti tra le comunità e a consolidare il ruolo della Chiesa come forza di mediazione e pace.
Chiude la “carellata” di porporati elettori, il Cardinale Raymond Leo Burke, 76 anni, che nel 2011, venne ad Anagni il 25 novembre. Riconosciuto tra i massimi esperti di diritto canonico, fu richiamato a Roma dagli Stati Uniti, per la quarta volta nel 2008 da Benedetto XVI, che lo nominò Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, l’equivalente della “corte suprema di Cassazione” della Chiesa Cattolica. Nel 2010 fu creato Cardinale, continuando a lavorare nell’ambito del diritto canonico e in numerosi altri apostolati.Nel 2014, al termine del suo mandato come Prefetto della Segnatura Apostolica, Papa Francesco non lo rinnovò nell’incarico e lo nominò invece Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta. Nel 2017, il Papa lo reintegrò alla Segnatura Apostolica come membro, consentendogli di operare come giudice quando necessario. È noto a livello internazionale per il suo lavoro apostolico, per il suo sostegno alle cause pro vita, per la liturgia tradizionale, per la sua devozione all’Eucaristia, alla Beata Vergine Maria e al Sacro Cuore.
Nella sua esperienza curiale come Prefetto della Segnatura Apostolica e in altri incarichi, ha dimostrato un forte impegno nell’applicare l’insegnamento della Chiesa in accordo con la Tradizione cattolica e il Concilio Vaticano II, evitando però di entrare in dinamiche curiali di potere e mantenendosi fedele alla giustizia e all’equità nell’applicazione del diritto ecclesiastico. Il cardinale Burke è noto per la sua fedeltà alla dottrina rivelata della Chiesa, caratteristica che, a volte, ha suscitato aspre critiche da parte di coloro che non accettano tali insegnamenti. Egli ha sempre risposto con mitezza e preghiera, rimanendo saldo nelle sue convinzioni, portando molti fedeli a vedere in lui un punto di riferimento nei momenti di incertezza riguardo la leadership della Chiesa. Coloro che hanno una solida formazione cattolica riconoscono in lui un vescovo autenticamente cattolico, capace di risolvere questioni dottrinali e canoniche. Sebbene sia stato privato di quasi tutti gli incarichi ecclesiastici, pur rimanendo vescovo e cardinale, molti fedeli lo cercano ancora quando visitano Roma, vedendo in lui chiari segni di santità personale e una viva espressione del sensus fidelium. Quando possibile, egli accoglie i visitatori e offre il suo consiglio. Sempre disposto a promuovere il bene delle anime e della società, ha prestato il suo nome a molte associazioni, istituti educativi e iniziative cattoliche. Negli ultimi anni ha utilizzato i media digitali per sostenere il suo ufficio di insegnamento. Il suo rapporto con Papa Francesco è stato spesso teso, poiché Burke non ha esitato a criticare apertamente il suo pontificato, quando lo ha ritenuto necessario. Questo ha raggiunto il culmine nel 2023, quando Francesco gli ha revocato lo stipendio, la pensione e l’assistenza sanitaria vaticana, tentando addirittura di sfrattarlo dal suo appartamento in Vaticano, accusandolo di “lavorare contro la Chiesa e contro il papato” e di aver seminato “disunità” nella Chiesa. Burke, da parte sua, rivendica il proprio ruolo di sostegno al Papa e ritiene suo dovere, come Cardinale, offrire critiche costruttive basate sulla Fede, sulla ragione e sulla tradizione apostolica. Considerato un baluardo dell’ortodossia e della pietà cattolica tradizionale, è un riferimento per i fedeli che cercano una voce di chiarezza e coerenza con la Tradizione apostolica di fronte alle sfide attuali della Chiesa.
Il principale, grande nodo, sia dei “nostri dodici elettori, facenti parte dell’Accademia Bonifaciana – conclude il Rettore Presidente professor Sante De Angelis – che gli altri colleghi cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco”.
I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro.
Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice.
Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
“Senza contare – continua – l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 267° Vescovo di Roma e 9° sovrano dello Stato della Città del Vaticano, primate d’Italia, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica”.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli.
Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che l’80 per cento di cardinali, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio.
“L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa. Il prossimo pontefice – chiude il Rettore Presidente e Interlocutore Referente della Pontificia Accademia di Teologia Sante De Angelis – erediterà una Chiesa impegnata nella discussione di temi importanti come la sinodalità, il ruolo delle donne, il dialogo ecumenico e interreligioso e la gestione degli scandali che richiederanno una guida capace di conciliare visioni diverse mantenendo unità e coerenza. Il lavoro di papa Francesco nel modellare il futuro collegio cardinalizio ha seguito lo spirito del Concilio Vaticano II, il quale chiamava la Chiesa a rinnovarsi, restando fedele al Vangelo e aperta alle sfide del mondo moderno. Qualunque sia l’esito, il prossimo conclave sarà composto da un collegio cardinalizio più decentralizzato che mai. Nonostante alcuni analisti ipotizzino un papa africano o asiatico vista la crescente influenza di questi continenti, le dinamiche sono imprevedibili: il gruppo dei cardinali europei, pur ridotto, rimane influente, e la loro scelta potrebbe ricadere su un candidato capace di mediare tra tradizione e innovazione. Un papa saldo nella tradizione della Chiesa romana potrebbe essere difatti il miglior candidato per mantenere l’unità della Chiesa cattolica nella sua tradizione magisteriale e liturgica, delineando con essa i limiti di una possibile apertura alle sfide moderne. Tuttavia, ogni prognostico è mera speculazione, dato che la decisione finale su chi sarà il prossimo papa spetterà ai cardinali elettori che, secondo la fede cattolica, agiranno sotto la guida dello Spirito Santo”.
Dodici Cardinali elettori “Bonifaciani”, in Conclave per eleggere il nuovo Papa
Dal 2003 al 2024 sono stati ben 52 i Cardinali, che hanno raggiunto Anagni, per ricevere il Premio Internazionale Bonifacio VIII, voluto dall’Accademia Bonifaciana, di cui 12 sono elettori, tra questi anche il Cardinale protodiacono che, dopo la fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina, annuncerà al mondo l’elezione del successore di Francesco, pronunciando la celebre formula “Habemus Papam!”. Altri22 porporati sono ormai oltraottantenni e 18 sono passati “a miglior vita”.
Il Conclave 2025 si avvicina e con esso l’attenzione del mondo cattolico si concentra sui cardinali elettori, gli uomini chiamati a scegliere il prossimo Pontefice. Sono porporati provenienti da ogni continente, con storie personali, sensibilità teologiche e incarichi ecclesiali profondamente diversi. Alcuni guidano importanti diocesi metropolitane, altri ricoprono ruoli chiave nella Curia romana; altri ancora sono voci radicate nei luoghi di conflitto o di nuova evangelizzazione.
In tutto i cardinali sono 252. Tra questi, solo 136 hanno diritto di partecipare all’elezione del papa: coloro che hanno più di 80 anni sono infatti esclusi dal voto. A causa di problemi di salute, a Roma non ci saranno però due arcivescovi. Oltre a loro mancherà anche il cardinale Giovanni Angelo Becciu che a causa di una condanna a 5 anni per peculato e abuso d’ufficio, come deciso da Papa Francesco prima della sua morte, non potrà partecipare.
Tra tutti i cardinali, ben 110 sono stati nominati da Bergoglio. Non tutti sono però vicini alle idee innovatrici di Papa Francesco. All’interno del Collegio cardinalizio, stando al Times ci sono infatti cinque correnti: progressisti, progressisti morbidi, moderati, conservatori morbidi e conservatori. Il blocco più grande è composto da quello dei progressisti e progressisti morbidi. Nessuna fazione detiene però una chiara maggioranza e sarà quindi necessario costruire un largo consenso per eleggere il nuovo Papa.
Di questi ben 12 i cardinali “Bonifaciani” ad entrare in Conclave per eleggere il 267° successore di San Pietro, che nel corso degli anni si sono alternati a ritirare il Premio Internazionale Bonifacio VIII, conferito dall’Accademia Bonifaciana, con il titolo di Senatore Accademico.
Altri 22, invece sono gli ultraottantenni che stanno partecipando e parteciperanno alle Congregazioni generali prima dell’inizio del Conclave, previsto per il 7 maggio, dove i “Principi” di Santa Romana Chiesa eleggeranno colui che la dovrà reggere, dopo i dodici anni di pontificato di Papa Francesco, mentre i rimanenti 18 porporati venuti ad Anagni su invito della Bonifaciana, sono passati al miglior vita nel corso di questi anni.
“Dal 2003 al 2024 sono stati ben 52 i cardinali che grazie al Premio Internazionale Bonifacio VIII, hanno avuto la possibilità grazie con l’Accademia Bonifaciana che lo ha istituito, di visitare e soggiornare ad Anagni. Ce ne sono per tutti i gusti, dai più conservatori, ai tradizionalisti o centristi per passare poi ai più progressisti – ci dice con soddisfazione il Rettore Presidente e Interlocutore Referente presso la Pontificia Accademia di Teologia Sante De Angelis – i primi due porporati ad essere insigniti, nel 2003, dopo che fu premiato Papa Giovanni Paolo II, furono il cardinale José Saraiva Martins, oggi 93 anni, che detiene ancora con piacere la carica di Presidente Onorario e Patrono Spirituale della Bonifaciana e l’argentino e grande amico sia di Wojtyla, che di Bergoglio, il cardinale Jorge María Mejía (1923 – 2014), mentre l’ultimo lo scorso anno, l’82enne cardinale Gianfranco Ravasi”.
Ma chi sono questi 12 “grandi elettori Bonifaciani”?
Nel corso degli anni, come nel 2023, ecco che viene ad Anagni il 7 maggio, il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, 67 anni, che fa parte del cosiddetto gruppo dei “progressisti mordibi”, soprannominato il “Francesco asiatico” per la sua vicinanza ideologica a Bergoglio. È considerato uno dei candidati favoriti nella corsa al papato anche per il fatto che la Chiesa Cattolica ormai da anni punta molto sull’Asia.
Poi il 2 dicembre successivo fu la volta del cardinale argentino Victor Manuel Fernandez, 62 anni, Prefetto del Dicastero della Fede, il promotore delle benedizioni non liturgiche delle coppie dello stesso sesso da parte dei sacerdoti e ha limitato le messe latine tradizionali tre anni prima che Papa Francesco rendesse universale la soppressione.
Nella stessa data, anche il Cardinale Mauro Gambetti, 59 anni, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano – Presidente uscente della Fabbrica di San Pietro e Arciprete della medesima basilica papale.
Nel 2022, il 23 aprile, è la volta del cardinale Gerhard Ludwig Muller, 77 anni, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. L’alto prelato ha sottolineato l’importanza che il prossimo papa lavori per mantenere coesa la comunità cattolica, avvertendo di possibili divisioni se prevalessero posizioni ideologiche. Ha evidenziato come la presenza di ideologie all’interno della Chiesa possa mettere in pericolo la sua unità. Secondo lui, la Chiesa deve restare ancorata al Vangelo di Gesù Cristo, che rappresenta il collante principale fra i fedeli. Quando si introducono idee esterne o divisioni basate su correnti ideologiche, il rischio di scissioni aumenta sensibilmente. Il riferimento esplicito riguarda l’intrusione di gruppi che cercano di influenzare la chiesa con posizioni spesso in conflitto con la dottrina tradizionale.
Il 2021, nonostante la “pandemia del Covid”, Anagni, ospita ben sei porporati, tra cui tre attualmente non elettori, il cardinale Angelo Bagnasco (15 maggio) 82 anni, il cardinale Giuseppe Versaldi (10 luglio) 81 anni e il cardinale Silvano Maria Tomasi (6 novembre) 84 anni.
Gli altri tre elettori sono il cardinale Fernando Filoni (9 luglio), 79 anni, attuale Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme¸ l’eroe della diplomazia nella Seconda Guerra del Golfo. Mentre tutti i dignitari occidentali nel 2003 abbandonavano una Bagdad trafitta dalle bombe statunitensi, il nunzio apostolico in Iraq dispensava fiducia ai suoi immediati collaboratori, terrorizzati dal frastuono degli ordigni. “Tranquilli – ripeteva –, finché sentiamo le esplosioni vuol dire che siamo vivi”. Ha servito gli ultimi tre Pontefici in ruoli diversi della diplomazia d’Oltretevere. Può servire alla Chiesa qualora le fumate nere in Conclave si susseguano l’una dopo l’altra senza soluzione di continuità. Né destra, né sinistra, Filoni – che fu premiato con il Bonifacio VIII internazionale, insieme al Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli – è l’uomo del compromesso, se non storico, almeno diplomatico. Gli anni non sono pochi. Il suo pontificato si presenterebbe come di transizione.
Il 5 novembre fu la volta del cardinale Augusto Paolo Lojudice, 60 anni, Vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza (Italia) e unione in persona Episcopi delle Sedi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e Montepulciano-Chiusi-Pienza. Il 2 giugno 2023 il Santo Padre lo ha nominato Giudice della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano, ed è Membro del Dicastero per i Vescovi. Il prelato si è concentrato sull’aiutare gli immigrati e le comunità emarginate (le comunità rom, i poveri e le persone colpite dalla criminalità organizzata), guadagnandosi il soprannome di “sacerdote di strada”. Non si conoscono le sue posizioni su altre tematiche etice più forti (aborto, ecc.).
Il 6 novembre, il cardinale José Tolentino de Mendonca, 59 anni, portoghese, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione dal 2022 e cardinale dal 2019. Teologo, poeta e saggista, è una delle voci più raffinate e dialoganti della Chiesa contemporanea, capace di coniugare fede, cultura e letteratura. Ordinato sacerdote nel 1990, ha compiuto studi biblici presso il Pontificio Istituto Biblico a Roma e ha conseguito il dottorato in teologia biblica alla Universidade Católica Portuguesa, dove è stato anche docente, vicerettore e direttore di riviste e centri culturali. Ha svolto incarichi pastorali e accademici sia in Portogallo che in Libano, Brasile e Stati Uniti. Autore di numerose opere poetiche e teologiche, è noto per il suo stile contemplativo e il profondo legame con la spiritualità evangelica.
Nel 2020, a poche settimane dallo scoppio del “Covid”, arriva nella città dei Papi il Cardinale protodiacono Dominique Francoise Joseph Mamberti,73 anni, il porporato che, dopo la fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina, annuncerà al mondo l’elezione del successore di Francesco, pronunciando la celebre formula Habemus Papam! Vale a dire, colui che nel Collegio cardinalizio, tra le altre funzioni assegnate, ha il compito di comunicare la storica notizia. Fu premiato nella sessione in cui venne insignito anche l’ex Presidente della Commissione Europea e del Consiglio dei Ministri, On. Romano Prodi.
Mamberti (se non sarà eletto Papa) sarà il secondo “annunciatore” consecutivo di nazionalità francese a dare al mondo la grande notizia, dopo che, nel 2013, ad annunciare l’elezione di Jorge Mario Bergoglio era stato Jean-Louis Tauran (anche lui cardinale “Bonifaciano” dall’11 febbraio 2005, estinto nel 2018); così come lo fu nel 2005, invece, per l’elezione di Joseph Ratzinger, a scandire l’ “Habemus Papam” – con una formula di saluto, aggiornata e arricchita di alcune lingue – il cileno Jorge Medina Estevez (“Bonifaciano” dal 2006, deceduto nel 2021).
Per arrivare ad un altro elettore e candidato forte, dell’imminente Conclave, arriviamo al 2018 – il 21 settembre – con il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, 60 anni, attuale Patriarca latino di Gerusalemme, che nell’occasione, oltre a tenere la “Lectio” e ricevere il Premio presso la Sala della Ragione, inaugurò con monsignor Franco Croci e il cardinale Prosper Grech, la nuova sede di rappresentanza della Bonifaciana nelle adiacenze della cattedrale.
Ci sono uomini come Pizzaballa, che hanno imparato i “segreti del potere ecclesiastico” non nelle anticamere romane, ma camminando sui sentieri polverosi della Terra Santa, dove la religione non è teoria ma sangue, pietra e conflitto quotidiano. Non è un teorico da scrivania, né un oratore da aula magna, ma un frate abituato a camminare in luoghi dove la teologia segue le rigide linee geografiche che separano fedi spesso in conflitto. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori nel 1984, ordinato sacerdote nel 1990, si è trasferito in Terra Santa ad appena 25 anni. Un battesimo di fuoco, per un giovane prete che avrebbe finito per trascorrere oltre trent’anni in quella regione travagliata. Imparò l’ebraico moderno – cosa che non piacque alla Curia – e studiò le tradizioni ebraiche all’Università di Gerusalemme, si immerse nella complessità di quella società plurale e lacerata. Dal 2004 al 2016 ha servito come Custode di Terra Santa, il guardiano dei luoghi santi per conto della Chiesa cattolica. Ma il vero salto avvenne nel 2016, quando Papa Francesco lo nominò Amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, promuovendolo poi a Patriarca nel 2020 e infine creandolo cardinale nel Concistoro del 30 settembre 2023. Un’ascesa rapida per un uomo che si è formato lontano dalle reti d’influenza tradizionali. Quella nomina confermò che Bergoglio si fidava di lui per la gestione uno scacchiere cruciale e incandescente. Ma Pizzaballa non è solo un diplomatico abile, è anche un pastore che ha dovuto affrontare questioni spinose in un contesto dove ogni parola può scatenare una tempesta. È un uomo che conosce la complessità. Ha scritto: “Non basta preservare il carattere storico della città attraverso le sue pietre, ma è anche necessario preservare l’intreccio unico di relazioni di fedi, popoli e culture, senza esclusivismo. La natura di Gerusalemme è includere, non escludere”. Durante la sua prima Messa Pontificale al Santo Sepolcro nel 2020, ha affermato: “Siamo la Chiesa del Cenacolo, ma non del Cenacolo con le porte sbarrate e persone paralizzate dalla paura. […] La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai”. Sulla questione del dialogo interreligioso, Pizzaballa ha osservato: “Il dialogo interreligioso ha prodotto documenti molto belli sulla fraternità umana […] eppure, nell’attuale contesto di guerra, tutto questo in Terra Santa sembra oggi essere lettera morta”. Riguardo al conflitto in Palestina, ha dichiarato: “Finché da parte di tutti non vi sarà una purificazione della comune memoria […] le ferite del passato continueranno ad essere un bagaglio da portare sulle proprie spalle”. Dopo l’attacco di Hamas del 6 ottobre, condannò severamente l’azione terroristica, ma ebbe il coraggio di dire l’attacco “non è avvenuto nel vuoto”. Questa affermazione gli valse le critiche del governo di Netanyahu(che ancora oggi osteggia la sua candidatura al papato). Appena pochi giorni dopo, il 16 ottobre 2024, si è offerto in cambio dei bambini in ostaggio di Hamas guadagnandosi il consenso dei familiari delle vittime e degli ostaggi. Pizzaballa dà l’impressione di una forza non sta nelle posizioni dottrinali, ma nella capacità di gestire situazioni impossibili. La sua giornata tipo a Gerusalemme significa mediare tra comunità che a stento si parlano, gestire crisi umanitarie, trovare risorse per ospedali e scuole, e mantenere aperto il dialogo con tutte le parti. In un’intervista a Vatican News, ha dichiarato: “La questione di Gerusalemme non è chiusa e attende una soluzione che tenga conto delle varie sensibilità non solo politiche ma soprattutto religiose, dove cristiani, ebrei e musulmani abbiano uguale cittadinanza”. Il cardinale della Terra Santa non è un rivoluzionario, ma un riformista prudente. Non ama i gesti eclatanti, preferisce il lavoro paziente del tessitore. Se dovesse salire al soglio pontificio, porterebbe con sé l’esperienza concreta di chi ha vissuto in prima linea i drammi e le speranze del nostro tempo. Un uomo che ha imparato a parlare molte lingue, non solo nel senso letterale, ma nel senso più profondo di saper dialogare con mondi diversi. Un pontefice che conosce il prezzo della pace perché ha visto da vicino, troppo da vicino, il costo della guerra. E oggi, per la Chiesa, potrebbe non essere poco.
Nel 2016 è la volta del cardinale Kurt Koch (3 dicembre), 75 anni, Prefetto per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, svizzero, porta al Conclave 2025 la voce dell’ecumenismo e del dialogo con le altre confessioni cristiane. Con una profonda competenza teologica, esperienza di governo pastorale e legami consolidati con il mondo accademico e ortodosso, rappresenta una figura di equilibrio tra dottrina e apertura al dialogo. Già elettore al conclave del 2013, Koch è oggi una delle voci più ascoltate sul tema dell’unità della Chiesa e del significato del concilio Vaticano II per la Chiesa del terzo millennio.
Penultimo “grande elettore bonifaciano” è il Cardinale Vinko Puljić (venuto ad Anagni il 23 novembre 2012), 79 anni, ora Arcivescovo metropolita emerito di Vrhbosna, Sarajevo, e cardinale dal 1994. Dodicesimo di tredici figli in una famiglia umile ma fortemente radicata nella fede cattolica, ha respirato fin da piccolo un profondo spirito di preghiera familiare, cresciuto all’ombra del monastero trappista di Marija Zvijezda. Formatosi nei seminari di Zagabria e Đakovo, è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1970. Dopo gli anni da parroco e padre spirituale in Croazia e Bosnia, è stato nominato arcivescovo di Sarajevo nel 1990, ricevendo l’ordinazione episcopale da Giovanni Paolo II nella Basilica Vaticana il 6 gennaio 1991. Durante il conflitto in Bosnia ed Erzegovina, l’arcivescovo Puljić si è distinto per l’instancabile attività a favore dei profughi e della pace, lanciando appelli per il rispetto dei diritti umani, l’unità del Paese e il dialogo tra le fedi. Ha incontrato capi politici e religiosi – cristiani, ortodossi, musulmani ed ebrei – divenendo simbolo di speranza e di coesione in uno dei periodi più drammatici della storia recente dei Balcani. Ha rischiato più volte la vita per visitare le parrocchie assediate, venendo persino imprigionato per alcune ore a Ilidža durante una visita pastorale. La sua voce, rispettata da cattolici, musulmani e credenti di altre religioni, ha contribuito a costruire ponti tra le comunità e a consolidare il ruolo della Chiesa come forza di mediazione e pace.
Chiude la “carellata” di porporati elettori, il Cardinale Raymond Leo Burke, 76 anni, che nel 2011, venne ad Anagni il 25 novembre. Riconosciuto tra i massimi esperti di diritto canonico, fu richiamato a Roma dagli Stati Uniti, per la quarta volta nel 2008 da Benedetto XVI, che lo nominò Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, l’equivalente della “corte suprema di Cassazione” della Chiesa Cattolica. Nel 2010 fu creato Cardinale, continuando a lavorare nell’ambito del diritto canonico e in numerosi altri apostolati.Nel 2014, al termine del suo mandato come Prefetto della Segnatura Apostolica, Papa Francesco non lo rinnovò nell’incarico e lo nominò invece Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta. Nel 2017, il Papa lo reintegrò alla Segnatura Apostolica come membro, consentendogli di operare come giudice quando necessario. È noto a livello internazionale per il suo lavoro apostolico, per il suo sostegno alle cause pro vita, per la liturgia tradizionale, per la sua devozione all’Eucaristia, alla Beata Vergine Maria e al Sacro Cuore.
Nella sua esperienza curiale come Prefetto della Segnatura Apostolica e in altri incarichi, ha dimostrato un forte impegno nell’applicare l’insegnamento della Chiesa in accordo con la Tradizione cattolica e il Concilio Vaticano II, evitando però di entrare in dinamiche curiali di potere e mantenendosi fedele alla giustizia e all’equità nell’applicazione del diritto ecclesiastico. Il cardinale Burke è noto per la sua fedeltà alla dottrina rivelata della Chiesa, caratteristica che, a volte, ha suscitato aspre critiche da parte di coloro che non accettano tali insegnamenti. Egli ha sempre risposto con mitezza e preghiera, rimanendo saldo nelle sue convinzioni, portando molti fedeli a vedere in lui un punto di riferimento nei momenti di incertezza riguardo la leadership della Chiesa. Coloro che hanno una solida formazione cattolica riconoscono in lui un vescovo autenticamente cattolico, capace di risolvere questioni dottrinali e canoniche. Sebbene sia stato privato di quasi tutti gli incarichi ecclesiastici, pur rimanendo vescovo e cardinale, molti fedeli lo cercano ancora quando visitano Roma, vedendo in lui chiari segni di santità personale e una viva espressione del sensus fidelium. Quando possibile, egli accoglie i visitatori e offre il suo consiglio. Sempre disposto a promuovere il bene delle anime e della società, ha prestato il suo nome a molte associazioni, istituti educativi e iniziative cattoliche. Negli ultimi anni ha utilizzato i media digitali per sostenere il suo ufficio di insegnamento. Il suo rapporto con Papa Francesco è stato spesso teso, poiché Burke non ha esitato a criticare apertamente il suo pontificato, quando lo ha ritenuto necessario. Questo ha raggiunto il culmine nel 2023, quando Francesco gli ha revocato lo stipendio, la pensione e l’assistenza sanitaria vaticana, tentando addirittura di sfrattarlo dal suo appartamento in Vaticano, accusandolo di “lavorare contro la Chiesa e contro il papato” e di aver seminato “disunità” nella Chiesa. Burke, da parte sua, rivendica il proprio ruolo di sostegno al Papa e ritiene suo dovere, come Cardinale, offrire critiche costruttive basate sulla Fede, sulla ragione e sulla tradizione apostolica. Considerato un baluardo dell’ortodossia e della pietà cattolica tradizionale, è un riferimento per i fedeli che cercano una voce di chiarezza e coerenza con la Tradizione apostolica di fronte alle sfide attuali della Chiesa.
Il principale, grande nodo, sia dei “nostri dodici elettori, facenti parte dell’Accademia Bonifaciana – conclude il Rettore Presidente professor Sante De Angelis – che gli altri colleghi cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco”.
I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro.
Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice.
Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
“Senza contare – continua – l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 267° Vescovo di Roma e 9° sovrano dello Stato della Città del Vaticano, primate d’Italia, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica”.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli.
Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che l’80 per cento di cardinali, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio.
“L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa. Il prossimo pontefice – chiude il Rettore Presidente e Interlocutore Referente della Pontificia Accademia di Teologia Sante De Angelis – erediterà una Chiesa impegnata nella discussione di temi importanti come la sinodalità, il ruolo delle donne, il dialogo ecumenico e interreligioso e la gestione degli scandali che richiederanno una guida capace di conciliare visioni diverse mantenendo unità e coerenza. Il lavoro di papa Francesco nel modellare il futuro collegio cardinalizio ha seguito lo spirito del Concilio Vaticano II, il quale chiamava la Chiesa a rinnovarsi, restando fedele al Vangelo e aperta alle sfide del mondo moderno. Qualunque sia l’esito, il prossimo conclave sarà composto da un collegio cardinalizio più decentralizzato che mai. Nonostante alcuni analisti ipotizzino un papa africano o asiatico vista la crescente influenza di questi continenti, le dinamiche sono imprevedibili: il gruppo dei cardinali europei, pur ridotto, rimane influente, e la loro scelta potrebbe ricadere su un candidato capace di mediare tra tradizione e innovazione. Un papa saldo nella tradizione della Chiesa romana potrebbe essere difatti il miglior candidato per mantenere l’unità della Chiesa cattolica nella sua tradizione magisteriale e liturgica, delineando con essa i limiti di una possibile apertura alle sfide moderne. Tuttavia, ogni prognostico è mera speculazione, dato che la decisione finale su chi sarà il prossimo papa spetterà ai cardinali elettori che, secondo la fede cattolica, agiranno sotto la guida dello Spirito Santo”.