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    Home » “Flamen sume samentum”: il segreto della Porta degli idoli ad Anagni
    Anagni

    “Flamen sume samentum”: il segreto della Porta degli idoli ad Anagni

    18 Giugno 20257 Mins Read
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    di Guglielmo Viti

    FLAMEN
    SUME SAMENTUM

    QUESTA FRASE RIPORTATA DALL’IMPERATORE MARCO AURELIO RACCHIUDE UN ALTRO DEI
    TANTI MISTERI DI ANAGNI. RIPORTO GIÀ TRADOTTO IN ITALIANO IL TESTO DELLA
    LETTERA CHE L’IMPERATORE MARCO AURELIO SCRISSE AL SUO AMICO-PRECETTORE
    FRONTONE IN OCCASIONE DI UNA SUA VISITA AD ANAGNI. PREMETTO CHE
    L’IMPERATORE ERA DIRETTO A VILLAMAGNA (1) DOVE ESISTEVA UNA GRANDIOSA
    VILLA DI PROPRIETÀ DEL DEMANIO IMPERIALE, IN CUI L’IMPERATORE, I SUOI
    PREDECESSORI ED I SUOI SUCCESSORI AMAVANO SOGGIORNARE, SCRIVE MARCO
    AURELIO : ” POSTQUAM VEHICULUM INSCENDI, POSTQUAM TE SALUTAVI, ITER NON
    ADEO INCOMODUM FECIMUS, SED PAULULUM PLUVIAE ASPERSI SUMUS. SED
    PRIUSQUAM AD VILLAM VENIMUS, ANAGNIAM DEVERTIMUS MILLE FERE PASSUS A
    VIA. DEINDE ID OPPIDUM ANTICUM VIDIMUS; MINUTULUM QUIDEM SED MULTAS RES
    IN SE ANTIQUAS HABET, AEDES SANCTASQUE CAERIMONIAS SUPRA MODUM. NULLUS
    ANGULUS FUIT, UBI DELUBRUM AUT FANUM AUT TEMPLUM NON SIT. Praeterea
    multi libri lintei quod ad sacra adtinet. Deinde in porta cum eximus,
    ibi scriptum erat bifariam sic: FLAMEN SUME SAMENTUM. Rogavi aliquem ex
    popularibus quid illud verbum esset? Ait lingua hernica pelliculam de
    hostia quam in apicem suum Flamen cum in urbem introeat imponit.””Salito
    che fui in cocchio, dopo averti salutato, non facemmo viaggio troppo
    incomodo, bensì ci bagnò alcun poco la pioggia. Ma prima di giungere in
    villa, divergemmo ad Anagni quasi un miglio dalla via. Quindi visitammo
    quest’antica città, piccoletta invero, ma piena di molte cose antiche e
    di sacri edifizi e religiosi riti. Non v’era angolo che non avesse o un
    santuario, o una cappella, o un tempio. V’erano anche molti libri di
    lino trattanti di cose sacre. Quindi all’uscir dalla porta vi vedemmo
    scritto d’ambedue le facce: Sacerdote imponiti il Samento ( FLAMEN SUME
    SAMENTUM). Domandai a taluno di quella gente cosa significasse quella
    parola; mi disse che in lingua ernica significava un piccolo brano della
    pelle della vittima solito a porsi in capo al Sacerdote nell’entrare in
    città” (Trad. R.Ambrosi de Magistris). Questo testo è un magnifico
    quadro di quella che doveva apparire nel 144-145 a.c. Anagni in tutta la
    sua monumentalità e sacralità tanto da meravigliare uno dei più grandi
    imperatori romani., ma voglio attirare l’attenzione su una parola
    precisa in cui è nascosto un mistero di cui voglio proporre una
    soluzione : Marco Aurelio scrive che l’iscrizione era posta “bifariam”
    ovvero “su ambedue le facce”, e questo perché ? Perché il sacerdote si
    doveva ricordare di indossare il Samentum sia in entrata che in uscita
    dalla porta? Perché, se abbiamo sempre letto che questa “vestizione”
    serviva per entrare in città e compiere i riti sacri? Prima, però, di
    addentrarci nel cercare di capire questo mistero domandiamoci di quale
    porta stiamo parlando. L’Ambrosi de Magistris, confermato dallo
    Zappasodi, ritiene si tratti di Porta Cerere (2) ma, francamente non
    sono d’accordo. L’imperatore racconta che mentre era diretto alla sua
    dimora di Villamagna decide di deviare e salire ad Anagni. La via che da
    Villamagna conduceva direttamente ad Anagni incrociando la via Latina
    nel Compitum anagninum, oggi Osteria della Fontana, era la via Magna,
    fatta poi lastricare da Settimio Severo, che, però, arriva a Porta
    Cerere. Quindi L’imperatore entra in città passando da Porta Cerere ed
    anche la cronologia del suo racconto lo conferma : prima “molte cose
    antiche, poi edifici sacri, santuari, cappelle…e molti libri sacri in
    telo di lino ( la biblioteca ?). Dalla topografia antica di Anagni
    questa progressione sembra coincidere con la salita da Porta Cerere
    lungo il decumano, oggi Corso Vittorio Emanuele, fino alla Porta degli
    Idoli, oggi Porta Santa Maria(3). Nel racconto si indica in modo preciso
    che la scritta “Flamen sume Samentum” viene letta in uscita dalla città
    “Deinde in porta, quom exiimus”, per cui ritengo si tratti della Porta
    degli Idoli. Mi corre l’obbligo di porre l’attenzione anche sull’uso del
    termine Flamen per indicare il sacerdote, questo termine è antichissimo
    e la cui istituzione viene fatta risalire addirittura al secondo re di
    Roma, il re sabino Numa Pompilio e , forse, apparteneva ad una
    tradizione italica a cui gli Ernici diedero certamente un contributo
    considerevole. Il Re Numa fa coincidere la creazione di questo sacerdote
    con il culto di Giano “Per questo motivo fece costruire a piedi
    dell’Argileto un tempio in onore di Giano….istituire dei rituali sacri
    particolarmente graditi agli dei, nonché a proporre a ciascuno di essi
    certi officianti specifici…Quindi designò un Flamine…”(Tito Livio, Ab
    Urbe Condita I,XIX). Ora cerchiamo di risolvere il mistero e per questo
    cito Giovanna Rocca che nel suo bell’articolo su Flamen sume Samentum
    scrive : “La centralità fattuale e rituale delle porte è un datum sia
    nell’Italia antica che a Roma in cui Ianus (ianua) si identifica come il
    dio della porta o la personificazione della Porta e Portunus ( a Roma
    esiste il Flamen Portunalis) ha come corrispondente umbro Purtupite “il
    signore della porta”. Ma , credo che nell’Anagni ernica questo dio si
    debba identificare più con il dio etrusco Vertumnus per la vicinanza
    culturale dei due popoli ma la sostanza del nostro racconto non cambia .
    Una religiosità antichissima vede nella Porta l’incarnazione stessa
    della divinità, Giano bifronte vuole indicare i due lati, il dentro ed
    il fuori, il varco, la soglia sono luoghi sacri, talmente sacri da
    obbligare il sacerdote ad indossare un indumento caratteristico della
    religione ernica, una sorta di mantella da mettere sul capo realizzata
    con un pezzo “pelliculam”di una vittima sacrificata. Il Flamen non
    indossa il Samentum per entrare in Anagni e compiere riti sacri, il
    sacerdote si copre il capo per varcare un luogo sacro, forse il più
    sacro, della città : la Porta degli Idoli. La targa con l’iscrizione
    rammenta al sacerdote di indossare il Samentum quando entra e , posta
    anche sull’altro lato, quando esce. Questa ricostruzione ci da modo per
    spiegare un altro fatto curioso, la destinazione di quelle straordinarie
    nicchie realizzate in concomitanza con le mura che si trovano prima e
    dopo la Porta degli Idoli. Scrive l’Ambrosi dei Magistris quando si
    riferisce alla “nicchie”nelle mura di Alatri:” Lo stesso può dirsi di
    queste di Anagni: pure non è arduo indovinare la destinazione, perché
    dovendosi assolutamente escludere che possa riferirsi alla
    fortificazione della cinta , non resta che riferirla al CULTO; molto
    probabilmente dunque la nostra nicchia non era che un sacellum
    consacrato ad una divinità tutelare del luogo.” Molte “nicchie” in mura
    antica preromane e romane erano destinate al culto di divinità e
    ospitavano statue o idoli delle stesse. Allora perché non collegare
    questi sacelli, queste nicchie all’iscrizione che stava sui due lati
    della porta? La tradizione ci ha tramandato il nome di questa porta come
    “degli idoli” e questo avrà pur un significato. Abbiamo alcuni elementi
    importanti da collegare insieme : il Flamen indossa il Samentum prima di
    entrare, ma quale luogo sarebbe più adatto alla conservazione di un
    oggetto così importante se non un luogo sacro dove si venera una
    divinità (Giano?) e di cui tutti hanno il rispetto dovuto?. La nicchia
    (4) situata dopo l’ingresso da Porta Santa Maria è ancora conservata in
    modo eccezionale a parte la fontanella al posto di un idolo ed io credo
    che si possa senza dubbio immaginare che li dentro ai piedi di una
    statua il Flamen lasciasse il suo copricapo sacro dopo aver adempiuto al
    rito del passaggio, e, sempre là lo ritrovasse quando, una volta
    compiute “sanctasque caeriminias” in città ne usciva per poi depositarlo
    in un altro sacello, oggi trasformato in deposito, sempre sotto la
    protezione di un dio, per riprenderlo quando avesse dovuto rientrare
    “introeat”. Ho raccontato un possibile svolgimento di una cerimonia
    cultuale dalle origini remote propria solo del popolo ernico che non
    poteva essere conosciuta da Marco Aurelio il quale, così, apprende pure
    un termine appartenente alla lingua ernica e ce ne ha lasciato memoria
    in modo che, con un altro termine “Buttuti” ovvero il canto funebre
    delle donne erniche, abbiamo almeno due termini della lingua degli
    Ernici, ma, soprattutto abbiamo il quadro ancora vivo di un” oppidum
    antiquum vidimus, minutulum quidem sed multas res in se antiquas habens
    et aedes sanctas caerimonias supra modum”. Anagni e i suoi misteri
    ancora tutti da svelare e, forse, uno lo abbiamo raccontato.

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