di Guglielmo Viti
FLAMEN
SUME SAMENTUM
QUESTA FRASE RIPORTATA DALL’IMPERATORE MARCO AURELIO RACCHIUDE UN ALTRO DEI
TANTI MISTERI DI ANAGNI. RIPORTO GIÀ TRADOTTO IN ITALIANO IL TESTO DELLA
LETTERA CHE L’IMPERATORE MARCO AURELIO SCRISSE AL SUO AMICO-PRECETTORE
FRONTONE IN OCCASIONE DI UNA SUA VISITA AD ANAGNI. PREMETTO CHE
L’IMPERATORE ERA DIRETTO A VILLAMAGNA (1) DOVE ESISTEVA UNA GRANDIOSA
VILLA DI PROPRIETÀ DEL DEMANIO IMPERIALE, IN CUI L’IMPERATORE, I SUOI
PREDECESSORI ED I SUOI SUCCESSORI AMAVANO SOGGIORNARE, SCRIVE MARCO
AURELIO : ” POSTQUAM VEHICULUM INSCENDI, POSTQUAM TE SALUTAVI, ITER NON
ADEO INCOMODUM FECIMUS, SED PAULULUM PLUVIAE ASPERSI SUMUS. SED
PRIUSQUAM AD VILLAM VENIMUS, ANAGNIAM DEVERTIMUS MILLE FERE PASSUS A
VIA. DEINDE ID OPPIDUM ANTICUM VIDIMUS; MINUTULUM QUIDEM SED MULTAS RES
IN SE ANTIQUAS HABET, AEDES SANCTASQUE CAERIMONIAS SUPRA MODUM. NULLUS
ANGULUS FUIT, UBI DELUBRUM AUT FANUM AUT TEMPLUM NON SIT. Praeterea
multi libri lintei quod ad sacra adtinet. Deinde in porta cum eximus,
ibi scriptum erat bifariam sic: FLAMEN SUME SAMENTUM. Rogavi aliquem ex
popularibus quid illud verbum esset? Ait lingua hernica pelliculam de
hostia quam in apicem suum Flamen cum in urbem introeat imponit.””Salito
che fui in cocchio, dopo averti salutato, non facemmo viaggio troppo
incomodo, bensì ci bagnò alcun poco la pioggia. Ma prima di giungere in
villa, divergemmo ad Anagni quasi un miglio dalla via. Quindi visitammo
quest’antica città, piccoletta invero, ma piena di molte cose antiche e
di sacri edifizi e religiosi riti. Non v’era angolo che non avesse o un
santuario, o una cappella, o un tempio. V’erano anche molti libri di
lino trattanti di cose sacre. Quindi all’uscir dalla porta vi vedemmo
scritto d’ambedue le facce: Sacerdote imponiti il Samento ( FLAMEN SUME
SAMENTUM). Domandai a taluno di quella gente cosa significasse quella
parola; mi disse che in lingua ernica significava un piccolo brano della
pelle della vittima solito a porsi in capo al Sacerdote nell’entrare in
città” (Trad. R.Ambrosi de Magistris). Questo testo è un magnifico
quadro di quella che doveva apparire nel 144-145 a.c. Anagni in tutta la
sua monumentalità e sacralità tanto da meravigliare uno dei più grandi
imperatori romani., ma voglio attirare l’attenzione su una parola
precisa in cui è nascosto un mistero di cui voglio proporre una
soluzione : Marco Aurelio scrive che l’iscrizione era posta “bifariam”
ovvero “su ambedue le facce”, e questo perché ? Perché il sacerdote si
doveva ricordare di indossare il Samentum sia in entrata che in uscita
dalla porta? Perché, se abbiamo sempre letto che questa “vestizione”
serviva per entrare in città e compiere i riti sacri? Prima, però, di
addentrarci nel cercare di capire questo mistero domandiamoci di quale
porta stiamo parlando. L’Ambrosi de Magistris, confermato dallo
Zappasodi, ritiene si tratti di Porta Cerere (2) ma, francamente non
sono d’accordo. L’imperatore racconta che mentre era diretto alla sua
dimora di Villamagna decide di deviare e salire ad Anagni. La via che da
Villamagna conduceva direttamente ad Anagni incrociando la via Latina
nel Compitum anagninum, oggi Osteria della Fontana, era la via Magna,
fatta poi lastricare da Settimio Severo, che, però, arriva a Porta
Cerere. Quindi L’imperatore entra in città passando da Porta Cerere ed
anche la cronologia del suo racconto lo conferma : prima “molte cose
antiche, poi edifici sacri, santuari, cappelle…e molti libri sacri in
telo di lino ( la biblioteca ?). Dalla topografia antica di Anagni
questa progressione sembra coincidere con la salita da Porta Cerere
lungo il decumano, oggi Corso Vittorio Emanuele, fino alla Porta degli
Idoli, oggi Porta Santa Maria(3). Nel racconto si indica in modo preciso
che la scritta “Flamen sume Samentum” viene letta in uscita dalla città
“Deinde in porta, quom exiimus”, per cui ritengo si tratti della Porta
degli Idoli. Mi corre l’obbligo di porre l’attenzione anche sull’uso del
termine Flamen per indicare il sacerdote, questo termine è antichissimo
e la cui istituzione viene fatta risalire addirittura al secondo re di
Roma, il re sabino Numa Pompilio e , forse, apparteneva ad una
tradizione italica a cui gli Ernici diedero certamente un contributo
considerevole. Il Re Numa fa coincidere la creazione di questo sacerdote
con il culto di Giano “Per questo motivo fece costruire a piedi
dell’Argileto un tempio in onore di Giano….istituire dei rituali sacri
particolarmente graditi agli dei, nonché a proporre a ciascuno di essi
certi officianti specifici…Quindi designò un Flamine…”(Tito Livio, Ab
Urbe Condita I,XIX). Ora cerchiamo di risolvere il mistero e per questo
cito Giovanna Rocca che nel suo bell’articolo su Flamen sume Samentum
scrive : “La centralità fattuale e rituale delle porte è un datum sia
nell’Italia antica che a Roma in cui Ianus (ianua) si identifica come il
dio della porta o la personificazione della Porta e Portunus ( a Roma
esiste il Flamen Portunalis) ha come corrispondente umbro Purtupite “il
signore della porta”. Ma , credo che nell’Anagni ernica questo dio si
debba identificare più con il dio etrusco Vertumnus per la vicinanza
culturale dei due popoli ma la sostanza del nostro racconto non cambia .
Una religiosità antichissima vede nella Porta l’incarnazione stessa
della divinità, Giano bifronte vuole indicare i due lati, il dentro ed
il fuori, il varco, la soglia sono luoghi sacri, talmente sacri da
obbligare il sacerdote ad indossare un indumento caratteristico della
religione ernica, una sorta di mantella da mettere sul capo realizzata
con un pezzo “pelliculam”di una vittima sacrificata. Il Flamen non
indossa il Samentum per entrare in Anagni e compiere riti sacri, il
sacerdote si copre il capo per varcare un luogo sacro, forse il più
sacro, della città : la Porta degli Idoli. La targa con l’iscrizione
rammenta al sacerdote di indossare il Samentum quando entra e , posta
anche sull’altro lato, quando esce. Questa ricostruzione ci da modo per
spiegare un altro fatto curioso, la destinazione di quelle straordinarie
nicchie realizzate in concomitanza con le mura che si trovano prima e
dopo la Porta degli Idoli. Scrive l’Ambrosi dei Magistris quando si
riferisce alla “nicchie”nelle mura di Alatri:” Lo stesso può dirsi di
queste di Anagni: pure non è arduo indovinare la destinazione, perché
dovendosi assolutamente escludere che possa riferirsi alla
fortificazione della cinta , non resta che riferirla al CULTO; molto
probabilmente dunque la nostra nicchia non era che un sacellum
consacrato ad una divinità tutelare del luogo.” Molte “nicchie” in mura
antica preromane e romane erano destinate al culto di divinità e
ospitavano statue o idoli delle stesse. Allora perché non collegare
questi sacelli, queste nicchie all’iscrizione che stava sui due lati
della porta? La tradizione ci ha tramandato il nome di questa porta come
“degli idoli” e questo avrà pur un significato. Abbiamo alcuni elementi
importanti da collegare insieme : il Flamen indossa il Samentum prima di
entrare, ma quale luogo sarebbe più adatto alla conservazione di un
oggetto così importante se non un luogo sacro dove si venera una
divinità (Giano?) e di cui tutti hanno il rispetto dovuto?. La nicchia
(4) situata dopo l’ingresso da Porta Santa Maria è ancora conservata in
modo eccezionale a parte la fontanella al posto di un idolo ed io credo
che si possa senza dubbio immaginare che li dentro ai piedi di una
statua il Flamen lasciasse il suo copricapo sacro dopo aver adempiuto al
rito del passaggio, e, sempre là lo ritrovasse quando, una volta
compiute “sanctasque caeriminias” in città ne usciva per poi depositarlo
in un altro sacello, oggi trasformato in deposito, sempre sotto la
protezione di un dio, per riprenderlo quando avesse dovuto rientrare
“introeat”. Ho raccontato un possibile svolgimento di una cerimonia
cultuale dalle origini remote propria solo del popolo ernico che non
poteva essere conosciuta da Marco Aurelio il quale, così, apprende pure
un termine appartenente alla lingua ernica e ce ne ha lasciato memoria
in modo che, con un altro termine “Buttuti” ovvero il canto funebre
delle donne erniche, abbiamo almeno due termini della lingua degli
Ernici, ma, soprattutto abbiamo il quadro ancora vivo di un” oppidum
antiquum vidimus, minutulum quidem sed multas res in se antiquas habens
et aedes sanctas caerimonias supra modum”. Anagni e i suoi misteri
ancora tutti da svelare e, forse, uno lo abbiamo raccontato.