di Silvia Scarselletta
In un’epoca in cui l’arte sembra frammentarsi tra tradizione e modernità, Alessio Pistilli costruisce un ponte audace e poetico tra passato e futuro, tracciando un sentiero personale che unisce pittura, musica, scultura e tecnologia. Pistilli è un artista che vive la creatività come necessità di vita e gesto quotidiano. La redazione di anagnia.com, oggi, vi guiderà in un viaggio introspettivo nel suo universo artistico.
Alessio, ci racconti qualcosa di Lei…
Mi chiamo Alessio Pistilli, mi definiscono un artista eclettico per via di ciò che faccio: pittura, scultura, musica… ho realizzato mostre e dischi musicali negli anni avendo la fortuna di costruire attorno a queste espressioni artistiche una realtà ben definita e identitaria.
Fin dalla tenera età mi esprimevo con giochi creativi legati soprattutto al disegno e alla modellazione del pongo attirato dalla semplice curiosità. Il mio percorso si è fatto chiaro nelle scuole statali dove ho sperimentato i primi lavori artistici di gruppo, tra mostre scolastiche e qualche premio vinto, per poi intensificarsi attraverso il Liceo Artistico Statale di Latina e una laurea in Scienze Storico-Artistiche presso “La Sapienza” di Roma. Studi che mi hanno portato a puntare tutto sulla mia espressione e ad aprire un piccolo studio con piccola libreria annessa, dove lavoro quotidianamente ai miei progetti che ruotano ancora intorno ai miei stati d’animo e alle mie emozioni.
Riguardo la musica, invece, il percorso è stato principalmente da autodidatta, trovando negli anni una crescita legata a concorsi, scuole e gavetta nei locali d’Italia e oltre.
Ad oggi, la mia espressione artistica la si può constatare nelle mostre e concorsi d’arte a cui partecipo, mentre la musica nei Live, negli album e nelle composizioni sinfoniche che realizzo; ma non è tutto: nel tempo si sono aggiunti altri campi sempre in relazione all’ambito artistico: la ginnastica artistica, sport che continuo a praticare dall’età di 6 anni e attualmente ad insegnare, dove ho vissuto tantissimi momenti emozionanti ed educativi che mi hanno portato all’interno di scenari agonistici nazionali e internazionali; gli sbandieratori dei Rioni di Cori, che mi hanno catapultato in ambiti mondiali dello spettacolo folklorico vivendo esperienze uniche nel loro genere; ultimo, ma non meno importante, il tatuaggio come ampliamento lavorativo dello spetto artistico.
La mia intenzione, adesso, è quella di confluire tutte queste “muse” nella mia idea di Bottega dell’Arte 2.0 dove attualmente porto avanti i tre progetti principali: iRenaissance; le altalene panoramiche/giganti; “La storia siamo noi”, un progetto che vede la realizzazione di dieci statue a grandezza naturale in plastica riciclata da installare nel centro storico del mio paese.
Nel suo percorso artistico si intrecciano pittura, scultura, musica e tecnologia. Qual è il punto di partenza di ogni sua opera?
In verità non c’è un preciso punto di partenza per le mie opere. Questa correlazione tra arte, musica e tecnologia non è costruita o forzata, ma naturale e leggera. Come ho detto in altre interviste, non c’è opera d’arte che nasca senza l’ascolto della musica, come non c’è canzone o – nel caso di “iRenaissance” – composizione musicale, che nasca attraverso le immagini. Non è qualcosa che decido, si tratta solo di sentire e dare seguito alle emozioni del momento attraverso un percorso mentale e fisico del tutto spontaneo e naturale. Per esempio, se sto dipingendo e mi viene un’idea musicale (una parte melodica o armonica), poso il pennello, prendo il cellulare e registro (o con la sola voce, o con voce e chitarra) quella che potremmo chiamare un canovaccio su cui sviluppare successivamente l’idea. E così vale anche per l’arte: ci sono momenti in cui mentre compongo o scrivo canzoni l’immagine di un’opera prende forma fermandola subito su un foglio di carta attraverso uno o più bozzetti. Il lavoro certosino di arrangiamento musicale, pittura o scultura, arriva solo dopo quando quelle primordiali idee hanno passato diversi esami con l’ausilio di una buona dose di autocritica e un serrato studio. Altre volte accade che una Musa ispiri l’altra e viceversa! Un esempio tangibile è una mia tela dal titolo “L’indecisione” da cui successivamente è nata una canzone (che fa parte del mio primo album) dal titolo “L’indeciso”.
Insomma, non ci si annoia mai!
Come nasce il progetto “iRenaissance” e quale messaggio intende trasmettere con questa fusione tra Rinascimento e contemporaneità?
“iRenaissance” ha l’intento di valorizzare ed esaltare il concetto di Bellezza portandoci a riflettere sulle potenzialità che la tecnologia ha e può avere nella nostra vita, se utilizzata con un certo criterio. Se oggi abbiamo bisogno di “Bellezza”, allora bisogna forse guardare all’epoca che più di tutte ha cercato di concretizzare questo concetto in ogni forma espressiva dell’uomo. Come diceva Giorgio Gaber, “abbiamo bisogno di un nuovo rinascimento…”, e allora perché non ripartire da lì contestualizzando quei valori, ampliandoli e arricchendoli per la nostra vita contemporanea?
La continua ricerca di composizioni, ritratti e allegorie che dialogano tra passato e presente, cercano di dare nuovi spunti artistici per un futuro più sensibile ai rapporti umani. Sia i personaggi che i prodotti tecnologici hanno un equilibrio fatto di dipendenze e correlazioni. Come ad esempio con la AI (Intelligenza Artificiale), siamo sempre più propensi a vivere con e attraverso la tecnologia, quest’ultima non può prescindere dalle informazioni, i dati che l’uomo deve inserire per far sì che funzioni. Quindi si crea una duplice dipendenza, o più semplicemente, un reciproco bisogno. L’immagine e il prodotto tecnologico sono messi sullo stesso piano dove, a fare la differenza, resta un contesto storico ormai lontano da noi. Ho semplicemente pensato che attraverso il punto di vista del Rinascimento si potesse aspirare ad un miglioramento della società, soprattutto in termini di rapporti umani.
È una produzione che non si fermerà ai singoli ritratti attualmente in esecuzione, ma che sfocerà nella realizzazione di scene di corte e scene religiose (o comunque scene con più personaggi), sculture dal sapore classico sempre in stretto rapporto con la tecnologia attuale, musiche e video come racconto dell’iter creativo e lavorativo. Insomma, l’intenzione sarà quella di ri-creare la “bottega” del Rinascimento, dove l’arte torna ad essere il centro del mondo generando, si spera, una nuova sensibilità.
Nei suoi lavori rappresenta personaggi storici con strumenti moderni come iPhone e iPad: è un modo per parlare del nostro presente?
Certamente! Si tratta di una provocazione velata ma che cerca di parlare al cuore e alla mente delle persone. Come a dire: in passato c’è stata un’epoca, ci sono stati personaggi che hanno cercato – anche attraverso difficoltà e contraddizioni – di creare un mondo migliore parlando con il linguaggio della Bellezza. Perché non farlo oggi anche e soprattutto grazie all’innegabile potenza della tecnologia?
Ha parlato di “arte per provocare”. Cosa significa per lei la provocazione nell’arte oggi?
È “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (parafrasando Dante), il fulcro che dà moto ad ogni emozione e azione. È tutto per me! Ovviamente tenendo conto non del suo significato etimologico legato all’incitamento o ad un atto violento, ma di un significato del tutto costruttivo e positivo, nel rispetto altrui.
Con “Otium” ha creato un’altalena monumentale sospesa nel vuoto, trasformando un oggetto legato all’infanzia in un’installazione immersa nella natura: perché ha scelto l’altalena come simbolo del riposo e quale significato personale racchiude per lei questo gesto artistico?
“Otium” (dal latino ozio, oziare) è una installazione d’arte contemporanea, una mia opera realizzata da un’acciaieria locale. Rappresenta una grande altalena che nella sua forma riprende l’ovale del logo dell’azienda Marco Carpineti, e credo si tratti di un esempio unico nel suo genere!
Alta più di 7 metri, la sua elegante e leggera monumentalità libera da tiranti, si staglia sull’altopiano del Parco dell’Antoniana, tra i monti di Sermoneta, Bassiano e Sezze, di fronte il labirinto-vigneto più grande del mondo “Limito”.
Sedendosi sulla tavola trasparente in PMMA (dov’è incisa a laser la parola Otium), si ha la sensazione di volare, di essere cullati dai monti circostanti che accolgono il movimento oscillatorio. Guardando, quindi, il meraviglioso skyline del Parco dell’Anoniana mi è venuto in mente il movimento/gioco dell’altalena e la sua interattività con la natura circostante.
“Otium” nasce dall’esigenza di rappresentare in arte uno dei momenti più importanti legati al mondo del lavoro, il “riposo”, qui visto non solo come tempo ludico (giocoso e disimpegnato) o di relax immerso nel paesaggio naturale, ma anche come atto rigenerativo per un energico ri-torno al lavoro.
Ha inoltre una duplice funzione: attraverso essa si può vivere l’esperienza personale legata alla nostra infanzia e, allo stesso tempo, funge da cornice del paesaggio che la circonda. La sua linea ovale racchiude al suo interno un romantico scorcio legato al mondo del vino che nasce dalla visione, dalla passione e dal duro lavoro che l’azienda vinicola Marco Carpineti porta avanti.
Se potesse scegliere un’opera tra le sue che la rappresenta pienamente, quale sarebbe e perché?
Come dico sempre per l’ambito musicale, la mia opera più importante, e quindi rappresentativa, sarà la prossima che realizzerò. Questo perché mi porta a non guardare indietro, a non fermarmi ed accontentarmi. Credo fortemente che la proiezione per una nuova sfida e il rinnovamento delle proprie idee siano la base del mio sentire e, quindi, della mia creatività. Forse, a questo punto, l’atto creativo dietro ogni mia prossima opera corrisponde proprio all’opera che più mi rappresenta.