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    Home » La Verità nascosta nella bugia: l’arte poetica di Carlo De Meo
    Cultura e spettacoli

    La Verità nascosta nella bugia: l’arte poetica di Carlo De Meo

    6 Agosto 20253 Mins Read
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    di Errico Rosa

    Incontrare Carlo De Meo e ascoltarlo parlare della sua arte è un’esperienza che svela immediatamente un artista riflessivo, la cui pacatezza cela una profonda intensità. Durante la visita alla mostra invernale al Museo Civico d’Arte Contemporanea di Gaeta, le sue parole, misurate e talvolta intime, hanno rivelato un coinvolgimento totale nei temi e nei processi del suo lavoro, offrendo una chiave di lettura preziosa per accedere a un universo creativo complesso e avvincente.

    Il punto di partenza di De Meo è un rifiuto radicale della tabula rasa. La sua pittura non nasce mai dal silenzio di una tela bianca, ma da qualcosa che “esiste e persiste nel tempo”. La materia prima è la memoria stessa: stampe dei maestri del Rinascimento, pagine di vecchi libri, oggetti trovati per strada a cui l’artista restituisce un’anima. Con ostinata sensibilità, cerca nelle cose inanimate ogni dettaglio per estrapolare un significato più profondo. Le osserva con la pazienza di chi attende un messaggio nascosto, un concetto che emerga inaspettatamente.  Questi frammenti del passato, carichi di una storia consolidata, non sono semplici supporti, ma diventano un terreno fertile su cui nasce un nuovo dialogo visivo.

    L’intervento di De Meo sull’opera preesistente è un atto di ridefinizione. Non cancella, ma trasfigura, coprendo alcune parti per farne emergere di nuove. La sua non è una finzione creata dal nulla, ma quella che lui stesso definisce una “bugia”: una verità alternativa che, paradossalmente, ha bisogno della realtà originaria per poter esistere. In questo processo, un’immagine classica diventa il palcoscenico per una nuova narrazione, e l’opera si trasforma in un rebus visivo, un anagramma che invita lo spettatore a un’interpretazione attiva, per scoprire il messaggio nascosto oltre la superficie. 

    Nel mondo di De Meo, il linguaggio non è un accessorio, ma un elemento strutturale. Le parole, spesso presenti nei titoli o all’interno delle composizioni, dialogano con l’immagine e vengono a loro volta manipolate. Attraverso una “discriminazione selettiva della lettera”, l’artista crea un cortocircuito concettuale che sovverte il significato originario: “armiamoci”, privato di una lettera, diventa un invito alla pace con “amiamoci”; e la frase “per me, per te, per noi a” scivola nella malinconica riflessione di “per noia”.  La parola viene scomposta per generare un senso nuovo, inaspettato, a volte ironico, a volte struggente.

    Le figure che popolano le sue opere sono corpi sospesi, ambigui, spesso nudi,  abitano uno spazio fluido, con membra allungate che sembrano voler superare i confini del quadro per “esternare il pensiero”. Ma l’opera non si esaurisce nella tela: entra in relazione con lo spazio che la circonda. Le installazioni si piegano agli angoli della stanza, dialogano con pavimenti e pareti, “abbracciano” lo spettatore in allestimenti site-specific che amplificano il senso e l’esperienza del suo mondo.

    Quella di De Meo è un’arte intimista e visionaria, che non cerca di rappresentare, ma di evocare. È un linguaggio lirico e contemplativo, in cui il sogno si fa materia e la bugia si rivela lo strumento per interrogare la realtà.

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