di Giorgio Alessandro Pacetti
Era il 2 settembre 1901 quando una violenta alluvione sconvolse la cittadina di Piglio, cuore del territorio del Cesanese Docg. Dallo Scalambra si riversò a valle una massa impressionante di acqua, fango, alberi e detriti che travolse le campagne e raggiunse le zone oggi considerate a rischio idrogeologico.
Gli antichi avevano ben compreso la fragilità di quell’area: per questo decisero di costruire il borgo sulla collina, protetto dal castello medievale e lontano dai corsi d’acqua. Una scelta che la storia si è incaricata di confermare, mostrando quanto la montagna potesse rivelarsi improvvisamente ostile.
Per fare luce sull’evento, il Comune di Piglio incaricò il perito agrimensore Francesco Nardi di redigere una relazione dettagliata. Il documento, conservato nella memoria storica del paese, descrive con chiarezza gli effetti devastanti delle piogge torrenziali che segnarono quell’anno: smottamenti, frane e piene improvvise che trasformarono il torrente Arringo in una furia capace di seminare paura e distruzione.
Scriveva infatti Nardi: «Le condizioni topografiche e altimetriche della regione montuosa, aggravate dal generale disboscamento, non ci salvaguardano dalle alluvioni. Le acque di centinaia di ettari si riuniscono in un solo torrente, l’Arringo, che alimentato da numerosi affluenti diventa spaventoso nel suo percorso, provocando danni ovunque».
Quando la piena giungeva a valle, in località Torretta e Civitella, le sponde meno resistenti non riuscivano a contenere la massa d’acqua. Qui, il torrente rallentava la corsa ma non la sua forza distruttiva, trasformandosi in una minaccia concreta per chi abitava e lavorava nei dintorni.
A distanza di 124 anni, quella tragedia è ancora impressa nella memoria collettiva. Ma soprattutto ricorda quanto sia importante prestare attenzione al territorio, alla cura dei boschi e alla gestione delle acque. Le zone che allora furono sommerse dal fango sono oggi abitate: una realtà che rende attuale il monito lanciato dal passato.