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    Home » Trasfusione fatale a Colleferro: ASL Roma 5 condannata a maxi risarcimento
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    Trasfusione fatale a Colleferro: ASL Roma 5 condannata a maxi risarcimento

    l'errore medico costa 1,6 milioni di euro: donna muore dopo trasfusione destinata alla compagna di stanza
    22 Settembre 20253 Mins Read
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    Una tragica concatenazione di errori sanitari si è trasformata in una delle più pesanti condanne per malasanità nel Lazio. La ASL Roma 5 dovrà versare un risarcimento di 1,6 milioni di euro agli eredi di una donna di 77 anni di Artena, morta nel 2011 a seguito di una trasfusione di sangue destinata alla sua compagna di stanza all’ospedale di Colleferro.

    La vicenda, che ha tenuto banco nei tribunali per otto anni, si è conclusa con una sentenza definitiva della Corte d’Appello di Roma dello scorso 10 settembre, contro cui l’azienda sanitaria ha deciso di non presentare ricorso.

    Il dramma si consumò durante un ricovero durato 28 giorni. All’anziana venne somministrata per errore una trasfusione di sangue destinata alla paziente nel letto accanto, con un gruppo sanguigno incompatibile rispetto al suo A Rh+. L’errore, commesso da un infermiere, provocò devastanti conseguenze al sistema immunitario della donna, compromettendo irrimediabilmente le sue condizioni di salute.

    Ma il caso presenta aspetti ancora più inquietanti. Nonostante l’infermiere avesse redatto il giorno successivo una relazione scritta ammettendo l’errore – documento che sarebbe stato noto ai medici del primario e della direzione sanitaria – questa informazione cruciale non venne mai inserita nella cartella clinica della paziente.

    Il secondo errore fatale riguarda i tempi della diagnosi. Alla 77enne venne diagnosticata la sindrome di Guillain-Barré, una grave malattia autoimmune che colpisce il sistema nervoso, solo dopo 27 giorni di ricovero. Un ritardo che si rivelò decisivo per l’esito tragico della vicenda.

    Quando le condizioni della donna peggiorarono drasticamente, venne trasferita d’urgenza al policlinico Umberto I di Roma, dove morì poco dopo. La famiglia non fu nemmeno avvisata del trasferimento: i parenti si presentarono per la visita e trovarono il letto “già riassettato”.

    La causa civile iniziò nel 2015, promossa dai nove eredi della vittima: sette figli e due nipoti che erano stati cresciuti dalla 77enne dopo la morte della loro madre biologica. Nel 2020 arrivò la prima condanna, contro cui la ASL Roma 5 presentò ricorso in appello.

    A difendere le ragioni della famiglia è stato lo studio legale dell’avvocato Renato Mattarelli, specializzato in danni da trasfusioni. “Quello trasfusionale è un atto medico e invece quell’operazione fu fatta da un infermiere”, spiega il legale. “La relazione sull’errore esisteva già il giorno successivo, quindi il primario e la direzione sanitaria erano presumibilmente a conoscenza dell’episodio. Invece fu omesso dalla cartella clinica e i medici dell’Umberto I non ne sapevano nulla”.

    L’errore sulla trasfusione era stato scoperto casualmente da una figlia della donna defunta, che aveva poi coinvolto lo studio legale. Le indagini successive hanno portato alla luce la dichiarazione interna dell’infermiere che ammetteva la responsabilità dell’accaduto.

    Ora i nove eredi si divideranno il maxi risarcimento di circa 1,6 milioni di euro, che dovrà essere versato entro 30 giorni dalla sentenza definitiva. Una somma che, pur non potendo restituire la vita alla 77enne, rappresenta il riconoscimento di una responsabilità sanitaria che ha segnato per sempre una famiglia.

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