di Silvia Scarselletta
Ci sono amori che accolgono, che nutrono, che fanno crescere; poi ci sono amori che consumano lentamente, che svuotano, che annientano senza lasciare segni visibili, ma ferite profonde e silenziose. Illegittima difesa, il nuovo romanzo di Claudia Maniccia, ci accompagna nel cuore di una relazione tossica, dove l’amore si confonde con il controllo, la paura, la manipolazione. Una storia che non offre consolazioni, ma una verità urgente: quella di chi ogni giorno lotta per sopravvivere a un amore che amore non è più — o forse non lo è mai stato. Dopo aver letto questo libro mi sono tornate in mente le iconiche parole ritratte da Dmitrij Vrubel sulla East Side Gallery del Muro di Berlino:“Mein Gott, hilf mir, diese tödliche Liebe zu überleben” (“Dio, salvami da quest’amore mortale”); benché originariamente legate a un simbolo di oppressione ideologica e fisica, oggi sembrano risuonare con una forza nuova, forse ancora più straziante: quella delle dinamiche emotive distruttive e della violenza invisibile, ed è proprio questo principio che Claudia Maniccia riesce a far emergere con intensità e lucidità nel suo romanzo Illegittima difesa, da qualche settimana disponibile su Amazon.
La storia ruota attorno a due figure principali: Renato, un uomo inizialmente affascinante, ironico, accattivante, e Carla, una donna fragile, sola, segnata da un senso profondo di insicurezza e frustrazione. Quella che sembra essere una relazione come tante si trasforma presto in una prigione emotiva; la loro è una situazione comune e questo fa paura. All’inizio, sembra solo un rapporto complicato; poi diventa una prigione; poi un inferno. Le aggressioni di Renato non sono solo fisiche: sono parole che feriscono, sguardi che umiliano, silenzi che isolano. I segnali c’erano fin dall’inizio? Sì, ma Carla non li ha visti – o ha scelto di ignorarli, come accade a tante donne, spesso intrappolate in relazioni che logorano lentamente l’autostima. Renato non nasce mostro, lo diventa – o meglio, lo diventa in parte. Il male, ci dice la Maniccia, non arriva mai da solo. Ha radici profonde, che affondano spesso nella famiglia. Ma il romanzo evita la trappola della giustificazione. Mostra, piuttosto, la catena di dolore che si trasmette da una generazione all’altra. E lo fa con uno stile asciutto, diretto, che non cerca l’effetto melodrammatico ma punta alla verità dei gesti, delle omissioni, dei silenzi. Il finale spiazza, ma solleva domande: è giusto il modo in cui Carla sceglie di liberarsi? È legittima, appunto, la sua difesa? Forse non esiste una risposta univoca, dipende dagli occhi di chi legge. Per una donna abusata, il gesto di Carla potrebbe rappresentare un atto di estremo coraggio, un grido di riscatto; per chi invece perpetra la violenza – spesso minimizzandola, giustificandola, negandola – quella stessa scelta potrebbe apparire come una provocazione intollerabile, una minaccia da zittire con altra violenza. Questo interrogativo rappresenta il cuore pulsante del romanzo, lanciato fin dalle prime righe del prologo, dove si porta il lettore a riflettere sul tema ancor prima di sapere la trama del libro:
[…] “uno striscione, ne abbiamo preparato uno ma grande, bello lungo per farci entrare il nostro slogan NON UNA DI MENO.”
“E tu, Carla, cos’hai deciso? Verrai con noi domani?”
“Certo che vengo! Voglio manifestare anch’io al grido di Sì UNO DI MENO!”.
Tutte si zittirono all’istante. E Carla: “Perché mi guardate? Cos’ho det… Va bene, via. Si è trattato di un lapsus!”
Claudia Maniccia non concede scorciatoie morali, non costruisce eroi né vittime perfette: ci invita piuttosto a riflettere, a porci domande scomode, a interrogarci su ciò che riteniamo giusto o sbagliato, e su quanto il contesto – culturale, personale, sociale – condizioni questa percezione.
Illegittima difesa non è solo un romanzo. È un urlo soffocato che finalmente prende voce. È uno specchio crudo in cui molte donne possono riconoscersi. Ma è anche – e soprattutto – un invito a non voltarsi dall’altra parte. È un libro scomodo, un ossimoro, una provocazione, un paradosso. La legge riconosce la difesa legittima quando c’è proporzione, immediatezza, necessità. Ma chi vive anni di paura, di isolamento, di dolore quotidiano, ha davvero bisogno di un coltello puntato alla gola per giustificare un atto?
C’è un momento, nella vita di chi subisce violenza, in cui si smette di attendere. Si smette di giustificare, di perdonare, di sperare. È un punto silenzioso, quasi invisibile da fuori, ma dentro è un’esplosione. Illegittima difesa ci porta esattamente lì: nel cuore oscuro di una relazione tossica, nel silenzio interiore di una donna che, per salvarsi, deve prima riconoscere di essere in pericolo e varcare la soglia del limite. In un tempo in cui la violenza di genere continua a essere raccontata con toni sensazionalistici, Illegittima difesa sceglie un’altra via, perché ci ricorda che il male non ha sempre la faccia del mostro. A volte ha la voce di chi dice che ci ama.
Alla fine della lettura, restano domande. Tante. La scelta di Carla è giustificabile? È morale? È legale? È inevitabile? La Maniccia non offre risposte. Non giudica. Non giustifica. Ma costringe a pensare. E questo, in fondo, è il compito più nobile della letteratura. Il colpo di scena finale – sottile, ironico, quasi beffardo – lascia il lettore con un sorriso, con la consapevolezza che il ciclo potrebbe ricominciare. Un altro volto. Un’altra storia. Stessa dinamica. E forse, come Carla, ci ritroveremo a pensare: e così sia!
Biografia dell’autrice
Claudia Maniccia è nata nel 1971 a Roma, dove vive. Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza dopo la maturità scientifica. Sposata e mamma di una ragazza di diciannove anni, da sempre è amante della lettura e del teatro. Ha già pubblicato altre due opere: “L’insostenibile pesantezza delle chiacchiere”, Manni Editori (2019) e “L’amore che ti fa conoscere”, Pathos Edizioni (2023).