Mentre il mondo celebra il 17 agosto come giornata internazionale del gatto nero e il 17 novembre come ricorrenza nazionale, da qualche anno l’intero mese di ottobre è diventato il periodo dedicato alla sensibilizzazione su questi felini dalle caratteristiche uniche, ancora vittime di antichi pregiudizi.
Le credenze popolari e la superstizione che vogliono i gatti neri portatori di sfortuna o legati alla stregoneria hanno creato un fenomeno preoccupante: questi animali sono sistematicamente gli ultimi a essere adottati nelle cucciolate e nei rifugi per animali. Una discriminazione silenziosa ma persistente che affonda le radici in un passato lontano.
Ma perché nel 2025 molte persone continuano a nutrire timori irrazionali verso questi felini dal mantello scuro? La risposta ci riporta indietro di otto secoli, proprio ad Anagni, la città dei papi. Nel XIII secolo, Papa Gregorio IX – uno dei quattro pontefici legati alla storia della città ciociara – emanò la bolla papale “Vox in Rama”, un documento che condannava la stregoneria e che, in alcune interpretazioni, affermava che i gatti fossero l’incarnazione del demonio stesso.
Che si trattasse di traduzioni errate dal latino o di distorsioni dovute alla diffusione orale del testo, da quella bolla papale in poi i gatti furono marchiati come creature malefiche. Con il tempo, questa associazione si cristallizzò in un’equazione semplicistica e devastante: gatto nero uguale male. Una falsità che da Anagni si diffuse in tutta Europa e poi nel mondo.
Nel Medioevo circolavano diverse spiegazioni per giustificare questa superstizione. Si credeva che le streghe potessero trasformarsi in gatti neri, motivo per cui nessuno desiderava incrociarne uno per strada. Un’altra teoria, più pragmatica, riguardava i viaggi notturni a cavallo: in assenza di illuminazione, un gatto nero che attraversava improvvisamente la strada poteva spaventare il cavallo, facendolo imbizzarrire e disarcionare il cavaliere. Da qui nacque la falsa credenza che l’incontro con un gatto nero portasse sfortuna.
Ma c’è anche un motivo genetico per cui i gatti neri sono così numerosi. Lo spiega il dottor Fernando Fioramonti, veterinario ad Anagni: “Nei gatti il gene nero è dominante, quindi ci saranno statisticamente più gatti neri. Questo colore del mantello permette loro di mimetizzarsi meglio per cacciare le prede senza essere visti, soprattutto di notte. Inoltre, i peli neri del gatto si notano meno sui vestiti rispetto a quelli di un gatto rosso o bianco”.
Il dottor Fioramonti è categorico nel smontare i pregiudizi: “I gatti neri non sono diversi da qualsiasi altro gatto. Solo i falsi miti inducono le persone a pensare che lo siano”.
Ottobre diventa così il mese cruciale per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa ingiustificata discriminazione. I gatti neri meritano un posto nelle nostre case e nei nostri cuori esattamente come qualsiasi altro felino, senza il peso di superstizioni medievali che non hanno alcun fondamento scientifico o razionale.
La prossima volta che vedrete un gatto nero in un rifugio o per strada, ricordate: non è un simbolo di sfortuna, ma solo una vittima di pregiudizi vecchi di otto secoli, nati proprio qui, tra le mura storiche di Anagni.




