di Iacopo Scascitelli
Tutto nella mia vita è cambiato in un giorno, all’improvviso, il 26 marzo. Durante una semplice visita gastroenterologica, quel piccolo bozzo sullo stomaco che mi aveva insospettito è diventato, agli occhi del medico, un campanello d’allarme. Mi prescrive subito un’ecografia. In pochi minuti, lo schermo si riempie di ombre preoccupanti: linfonodi sospetti e molto ingranditi, uno di 14 cm in zona antro-gastrica e un altro di 12 cm vicino al pancreas. Le analisi del sangue confermano il peggio: LDH a 2500, completamente fuori scala. Mi consigliano di andare urgentemente al Policlinico Gemelli.

Due giorni dopo finisco al Pronto Soccorso: vomitavo continuamente, il corpo si ribellava a ogni tentativo di normalità. Resto lì quattro giorni, poi vengo trasferito in Oncologia. Una cascata di esami, visite, accertamenti. Le notti erano infinite: non chiudevo occhio, schiacciato dai pensieri e dalla paura.
Per una settimana non riuscivo né a mangiare né a bere: la flebo era l’unico filo che mi teneva in piedi.










Dopo altri giorni mi trasferiscono in Ematologia: si sospetta un linfoma. Passa poco tempo prima che la diagnosi prenda forma e peso: Linfoma Non Hodgkin. Inizia la chemioterapia.
Rimango ricoverato 45 giorni consecutivi. Vengo dimesso solo cinque giorni, poi rientro per il secondo ciclo. E così via, avanti e indietro: dieci ricoveri, otto cicli di chemio, due trasfusioni di sangue e due di piastrine.
Fino ad arrivare a oggi, 13 novembre.
È stato un viaggio nel buio. Ci sono stati pianti, momenti di disperazione, dolore fisico, isolamento. A volte mi sembrava di camminare in un tunnel senza fine, dove il tempo scorreva lento e ogni passo pesava come se avessi macigni sulle spalle.

Eppure, dentro di me, anche quando tutto sembrava crollare, c’era una scintilla che non si spegneva: la voglia di guarire. La voglia di tornare a fare ciò che amo più di ogni cosa: il clown di corsia, portare un sorriso a chi soffre, essere un raggio di leggerezza nelle stanze d’ospedale.
La mia storia non è finita, ma oggi posso guardarmi indietro e vedere non solo la malattia, ma anche il coraggio, la resistenza, la forza che non sapevo di avere. Perché anche quando il corpo vacilla, il cuore può diventare la nostra armatura più solida.




