Si sono svolti oggi pomeriggio nella chiesa collegiata di Sant’Andrea in Anagni i funerali Fernando (Nando) Caciolo, che si è serenamente spento, alla veneranda età di 92 anni, nella tarda mattinata di ieri 13 luglio nella sua abitazione in piazza Massimo D’Azeglio, accudito dalla moglie Maria Luisa.
Di Nando definito “l’ultimo aquilotto di Mussolini”, tutti conoscono la sua affascinante storia, ammirato e benvoluto in città sia dai “suoi” di destra, che dagli “avversari” di sinistra, è stato un uomo che da giovanissimo idealista qual era stato educato al suo tempo, ha compiuto una scelta di vita che da subito si è rivelata essere la più difficile, insidiosa e tribolata per il suo avvenire, cosa questa accaduta ai non pochi come lui che compirono lo stesso passo si sarebbe a molti di loro rivelato fatale.
Coerente per tutta la vita con il suo credo, ha dimostrato di non temere il giudizio degli uomini che più volte si è manifestato non imparziale e fautore dell’occultamento di aspetti della storia ritenuti “scomodi” in quanto destabilizzanti di fattori che si ritenevano ormai dati per acquisiti.
L’Accademia Bonifaciana di Anagni, tramite la propria casa editrice LBE, aveva proprio in questa ultima settimana terminato la correzione dell’ultima bozza del volume a lui dedicato “Fermando Caciolo, l’ultimo aquilotto di Mussolini” per mano dello storico della stessa istituzione Cavalier Fabrizio Cacciatori.
Un’agile pubblicazione, che alla luce dei fatti verrà ora presentata agli inizi del mese di settembre alla presenza della nipote di Benito Mussolini, figlia di Romano e sorella di Alessandra, onorevole Rachele Mussolini, Consigliere Comunale di Roma Capitale e membro della Commissione diControllo, Garanzia e Trasparenza, che già aveva dato la sua disponibilità al Rettore Presidente Dottor Sante De Angelis, ad essere presente ad Anagni per presentare l’opera e ricevere un riconoscimento accademico.
Fernando Caciolo, lo ricordiamo, nacque ad Anagni il 17 febbraio 1929, primo di cinque figli, dei quali purtroppo uno morì ad appena un anno di vita, da una famiglia di piccoli ma onesti e laboriosi commercianti di generi alimentari. Il 10 giugno 1940, momento in cui Benito Mussolini annunziava a mondo l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania di Hitler contro Francia ed Inghilterra, anche Fernando si trovava tra la folla esultante della città di Anagni, cosa del resto comune quel giorno in ogni località d’Italia.
D’altro canto, tutti all’epoca si dichiaravano fascisti o almeno si sforzavano di sembrarlo in quanto fu facile esserlo finché gli eventi procedettero bene, meno facile fu continuare ad esserlo quando gli stessi eventi iniziarono ad assumere una piega sfavorevole. Nel frattempo, Fernando Caciolo conobbe ed instaurò un legame di profonda e fraterna amicizia con un altro ragazzo di Anagni di poco maggiore di lui che frequentava le riunioni locali di fascisti ovvero Mariano Renzetti.
Il giorno 11 settembre del 1943, tre giorni dopo l’armistizio, Fernando Caciolo unitamente a Mariano Renzetti raggiunse Roma e si presentò alla caserma di Castro Pretorio dove vi era acquartierato un reparto di paracadutisti tedeschi in attesa di partire per il fronte di Cassino e domandò di essere arruolato ma poiché entrambi erano minorenni in quanto il Renzetti aveva 17 anni ed il Caciolo addirittura solo 14, furono dai germanici rimandati a casa con un loro camion militare diretto a Cassino. A questo punto, dopo un breve periodo, si riaccesero nell’animo dei due ragazzi anagnini le speranze di poter essere arruolati come volontari in qualche unità militare della nascente repubblica sociale italiana e così stavolta avvenne. Fernando Caciolo dichiarò di avere non 14 bensì 16 anni ed insieme a Mariano Renzetti venne inquadrato nel battaglione “Camilluccia” della futura legione d’assalto M “Tagliamento”.
Nel prosieguo della loro avventura i due giovanissimi militi anagnini furono trasferiti a Vercelli e si unirono a battaglione Camice Nere “Tagliamento” di ritorno dalla campagna di Russia e facente parte della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) istituito il 24 dicembre 1943 con funzioni di ordine pubblico in sostituzione delle disciolte forze di polizia sia di pubblica sicurezza, sia dei carabinieri. Questi nuovi soldati fascisti convinti di partire per il fronte dei combattenti contro l’invasore anglo-americano, fronte dei combattenti che si teneva su duplice linea sia a Cassino che nella zona di Anzio-Nettuno, ebbero invece l’increscioso compito di presidiare tutta la zona di Vercelli dove agivano numerose formazioni partigiane che con le loro continue incursioni rendevano insicure le retrovie del fronte. La legione “Tagliamento” fu mandata a combattere le formazioni partigiane che operavano in Piemonte. Il 6 aprile 1944 un automezzo con a bordo 25 legionari fu incendiato con un cavo elettrico posto in mezzo alla strada ed i pochi superstiti che non erano morti fulminati all’istante vennero uccisi a raffiche di fucili mitragliatori e lanci di bombe a mano. Si salvarono soltanto 2 militi che si finsero morti e purtroppo cadde anche un legionario di 17 anni e fraterno amico del Caciolo e del Renzetti anch’esso di Anagni e rispondente al nome di Giovanni Stazi.
Fu proprio lo stesso giorno dell’uccisione di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi, il 28 aprile 1945, che avvenne un accadimento analogamente tragico e crudele, ovvero quella strage vile passata alla storia come “l’Eccidio di Rovetta” paese nel quale venne perpetrato un così barbaro misfatto su soldati regolari, con uniformi militari regolari e che si erano arresi dietro la garanzia di avere salva la vita come riconosciuto da tutti gli accordi internazionali che disciplinano le leggi militari tra opposti schieramenti in tempo di guerra. Tale garanzia, una volta ricevuta la resa di quegli sventurati legionari, non venne mantenuta.
Il 26 aprile 1945, ricordò il legionario Fernando Caciolo, scampato miracolosamente alla strage, tutte le guarnigioni rimaste isolate della ormai morente repubblica sociale italiana, dovevano marciare su Bergamo e lì riunirsi per continuare a resistere ad oltranza fino a che non fossero sopraggiunti gli eserciti anglo-americani, dal momento che da questi ultimi erano considerati militari regolari a tutti gli effetti e di conseguenza in caso di cattura o di resa, ritenuti prigionieri di guerra in piena regola e con tutte le garanzie del caso, tra le quali la più importante per ogni nemico
che si arrende, quella di aver salva la vita. Fatto questo del quale si dubitava fortemente qualora si fosse caduti prigionieri delle formazioni partigiane pur con le garanzie proposte dal comitato di liberazione nazionale alta Italia a cui in linea di principio tutti i membri della resistenza dovevano obbedire. La sera dello stesso 26 aprile il reparto di legionari di cui faceva parte lo stesso Fernando
Caciolo sostò nell’abitato di Rovetta dove i locali rappresentanti del C.L.N. ed il parroco del luogo don Giuseppe Bravi, persuasero il sottotenente Roberto Panzanelli che comandava il drappello dei militi ad arrendersi con tutti i suoi soldati. Durante la medesima notte i capi delle formazioni partigiane dopo serrate e concitate discussioni, i consegnarono infine alla volontà di un misterioso individuo conosciuto con il nome di battaglia di “Moicano” che impose l’eliminazione fisica di tutti i soldati custoditi in prigionia.
Fu così che il mattino del 28 aprile 1945 alcuni elementi partigiani, dopo aver sottoposto ad oltraggi, maltrattamenti e ruberie i legionari prigionieri, li condussero nel cimitero di Rovetta per fucilarli. Coloro che in base ai patti di resa, avevano sottoscritto l’impegno di garantire salva la vita ai militi della “Tagliamento”, si astennero dall’opporsi a tale incombente crimine così come non osò intervenire nemmeno don Bravi. 43 legionari su 47 che erano furono uccisi, mentre dei 4 sopravvissuti uno di loro, ovvero Fernando Caciolo, riuscì fortunosamente a fuggire saltando da una piccola finestra del bagno dov’era stato portato per poter soddisfare le proprie necessità fisiologiche appena prima di subire la fucilazione.
Gli altri tre legionari superstiti, ovverosia Chiarotti Cesare, Bricco Sergio ed Ausili Vincenzo, vennero risparmiati perché risultarono essere minorenni e per intercessione del parroco locale don Bravi che assistette spiritualmente i condannati a morte. I corpi dei militi trucidati furono sotterrati in 3 fosse comuni e li rimasero fino alla pietosa riesumazione ad opera delle loro famiglie il 13 novembre 1947. Tutti i responsabili del massacro di Rovetta tentarono di sfuggire alle loro responsabilità addossando ogni colpa all’uomo conosciuto con l’epiteto di “Moicano” ed indicando in lui soltanto il responsabile della strage.