Il Vescovo di Anagni-Alatri Monsignor Lorenzo Loppa, fra qualche giorno, compirà 75 anni, essendo nato, appunto, nella vicina Segni il 14 luglio 1947. Il diritto canonico prevede che i vescovi presentino le dimissioni al Papa per raggiunti limiti di età.
Monsignor Loppa ci ha rivelato, in questa intervista esclusiva che ci ha concesso, che ha già spedito in anticipo la lettera di dimissioni a Papa Francesco e al Nunzio Apostolico in Italia Monsignor Emil Paul Tscherrig.
“Così ho voluto dare più tempo perché venga scelto con assoluta tranquillità il successore quanto prima”, spiega con un sorriso. Papa Francesco potrebbe anche chiedergli di rimanere, però il desiderio di Loppa è quello di togliersi il peso delle responsabilità che, per quanto riguarda la diocesi di Anagni-Alatri, porta da vent’anni, dato che il suo servizio pastorale è iniziato nel 2002.
“Certo con serenità e riconoscenza, ma anche con un po’ di dispiacere ho fatto la lettera al Santo Padre, perché venti anni di servizio qui ad Anagni sono stati tanti, non ho fatto venti settimane o venti mesi, bensì venti lunghi anni. Mi viene in mente l’esempio di Simeone, che ha esclamato: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza“, queste parole non sono per noi Vescovi, ma per qualunque persona che lascia il suo servizio. Il congedo dal servizio deve essere sereno, proprio perché servizio che inizia e finisce, non è un regime assoluto”.
Eccellenza, sono passati 20 anni da quel 28 giugno 2002, quando Giovanni Paolo II la nominò Vescovo di Anagni-Alatri; cosa provò, quale fu il suo primo sentimento?
“Il mio primo sentimento fu di sorpresa, perché le voci sono una cosa, però poi la decisione del Santo Padre è un’altra. Mi stupii, ma nello stesso tempo ringraziai subito il Signore perché significava che avevo una chiamata diversa, una chiamata a servire una Chiesa a cui ero già affezionato. La conoscevo bene la Chiesa di Anagni-Alatri, poi, Anagni specialmente! Noi preti, siamo diventati tutti grandi al Leoniano… maturi in tutti i sensi! Quindi, provai sorpresa, riconoscenza ed entusiasmo perché le strade di Dio sono davvero infinite e misteriose. Le voci sulla mia nomina correvano sicuramente, ma ciò che ha dato una svolta a tutto quanto il discorso è stato quando è arrivata la disposizione di Papa Giovanni Paolo II, poi Santo. Devo dire, che accettai volentieri di guidare questa Comunità cristiana”.
La carriera ecclesiastica
Monsignor Loppa, lo ricordiamo, viene ordinato sacerdote il 17 luglio 1971 per la diocesi di Segni dal vescovo Luigi Maria Carli. Nel 1972 viene nominato vicerettore del seminario minore di Segni e vicario coadiutore della parrocchia di Santa Maria degli Angeli, della quale diventa parroco nel 1987. Perfeziona gli studi teologici presso la Pontificia Università Lateranense, conseguendo il dottorato con una tesi dal titolo “In persona Christi – Nomine Ecclesiae: linee per una teologia del ministero nel Vaticano II e nel Magistero Post conciliare”.
Dal 1983 al 1992 è assistente ordinario alla Cattedra di Teologia Sacramentaria con il Prof. Francesco Marinelli, insegnando teologia sacramentaria e liturgia in molti istituti e seminari, tra cui l’Ecclesia Mater, il Caymari, il Camillianum di Roma, oltre che a Latina, Formia, Velletri, Colleferro, e al Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Nel 1989 diventa vicario episcopale per la pastorale della sede suburbicaria di Velletri-Segni.
Eletto vescovo di Anagni-Alatri il 28 giugno 2002, riceve l’ordinazione episcopale il 22 settembre dello stesso anno dal cardinale Camillo Ruini, coconsacranti l’arcivescovo Paolo Romeo, il vescovo Francesco Lambiasi (predecessore alla guida della diocesi), ed il vescovo Andrea Maria Erba. Sin dall’inizio del suo servizio episcopale in diocesi prende atto che “dopo l’unione delle due ex diocesi di Alatri e di Anagni” manca “uno spazio per accogliere – secondo la stessa normativa della CEI – i molteplici uffici e servizi diocesani che nel frattempo erano stati creati” e “un riferimento oggettivo e funzionale in grado di fungere da collante e da animazione della vita pastorale diocesana”. Promuove così la costruzione di una nuova curia diocesana a Fiuggi, facendo della cittadina termale “accogliente e conosciuta, una sorta di passaggio intermedio tra [le] due precedenti realtà ecclesiali”. Da ricordare, sotto il suo episcopato, la storica visita pastorale di Benedetto XVI a Carpineto Romano il 5 settembre 2010 in occasione del bicentenario della nascita di Papa Gioacchino Pecci.
Lei, attualmente, oltre a Vescovo della diocesi anagnina è Presidente della Commissione Regionale della Conferenza Episcopale Laziale per l’Educazione Cattolica, la Scuola e l’Università. Cosa si sente di dire agli studenti e agli operatori scolastici?
«La scuola è uno scrigno di umanità e di vita, custodisce le relazioni e la possibilità di far crescere le persone a tutti i livelli». Poi, rivolgendosi agli studenti, riconosce: «so che voi frequentate la scuola con la speranza di trovare un lavoro e un posto nella società, di costruirvi una famiglia e percorrere una strada che per i credenti coincide con il progetto di Dio su ognuno».
E invita i ragazzi a «far crescere insieme, come afferma Papa Francesco, il linguaggio della mente, per pensare in grande; il linguaggio del cuore, per amare di più; il linguaggio delle mani, per operare il bene», esortandoli ad «amare la scuola: la pandemia, oltre alla frattura economica e umana, ha provocato una profonda frattura educativa: tanti cammini si sono interrotti e ringrazio il Signore perché ora la scuola ricomincia in tutta Italia».
L’auspicio è poi alla «responsabilità di coloro che guidano il cammino di bambini, ragazzi, adolescenti e giovani: possano riconoscere adulti significativi, che offrano loro uno sguardo positivo sulla vita e siano felici di affiancarli nella crescita».
Un cinquantennio di sacerdozio ed un ventennio di episcopato, rappresenta di certo una ricorrenza molto particolare, perché riguarda il bilancio di una scelta che è di per sé così diversa dalle altre: dedicare la vita a Dio in un rapporto diretto e individuale, senza dare origine a un nucleo famigliare e dovendo anche sfidare la solitudine che si sostanzia in ogni scelta, pur all’interno delle comunità, delle parrocchie. Noi abbiamo proposto a monsignor Lorenzo Loppa di tracciare un breve bilancio, ponendogli anche domande un po’ delicate, alle quale non si è certamente negato, anzi ha risposto con slancio.
Se dovesse esprimere un giudizio su questi cinquant’anni di prete e venti di vescovo, quale sentimento sentirebbe prioritario?
«Un sentimento di gratitudine. Erano ancora gli anni tumultuosi del ’68 e, nell’anno in cui sono stato ordinato, il 1971, il movimento di “contestazione” era molto attivo e il fermento sociale notevole. I miei padri spirituali e superiori del tempo, mi hanno fatto sperimentare la presenza del Signore come l’irruzione nella nostra vita della trascendenza, di qualcosa di più grande: l’amore di Dio che diventa concreto in Gesù Cristo, nella sua presenza e la centralità del Mistero nella nostra vita, nella mia vita. Poi il Seminario mi ha dato il “metodo” della fede. Devo dire che al Leoniano avevo avuto dei grandi maestri, che stimavo molto, persone di primo piano nella teologia, dei grandi professori che offrivano una presentazione più attualizzata del Concilio Vaticano II, dell’influenza della fede nella società, con l’apertura al dialogo ecumenico, il ruolo della Chiesa nella società, l’apertura ai poveri, alla realtà del mondo, indicandoci il “metodo” cioè: il modo in cui la grandezza del cristianesimo poteva essere vissuta, vale a dire in un rapporto personale compiuto nell’esperienza della comunità. Con una caratteristica precisa: la fede si gioca nella realtà, nulla è estraneo all’esperienza di fede, tutto avviene in relazione del rapporto con Cristo, da qui la sua bellezza. Tutto per me si è giocato nell’esperienza della fede, fin da quando ero studente di teologia e desideravo realmente qualcosa di grande al di là degli schemi e delle strutture. Ed è venuta l’irruzione del rapporto col Signore, una cosa sconvolgente».
Il Suo ministero Le ha posto davanti una serie di scelte. Come le ha vissute?
«Sempre con lo stesso senso di gratitudine, a cominciare dalla chiamata a vivere l’insegnamento nella scuola. Per me è stato importantissimo insegnare in modo particolare nelle scuole superiori, il contatto coi giovani, la possibilità di dare loro una speranza. Ho vissuto una grande esperienza sacerdotale molto intensa e bella nella parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Segni. E poi la provocazione costante della realtà, la sfida dei grandi problemi sociali, che non sono mai mancati… Quindi, è venuta la nomina e l’ordinazione episcopale…. Venti anni, tanti volti, tanti confratelli, laici, giovani e anziani, uomini, donne…. Continuiamo con questa disposizione d’animo nelle possibilità che abbiamo, nelle difficoltà che dobbiamo superare, nel sostenere la prova della pandemia ancora in atto e per lottare per una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina, non moltiplicando gli armamenti, che è un disastro che ci porta a paventare la guerra nucleare. Lo dice Papa Francesco: la questione non si risolve aumentando gli armamenti ma si risolve aumentando il dialogo, chiedendo allo Spirito che cambi i cuori. Quindi: un momento positivo in cui la festa del patrono San Magno, il prossimo 19 agosto, è la possibilità di un rilancio di tutta l’esperienza ecclesiale, di tutta la vita di tutta la nostra diocesi e di tutta la nostra società».
Secondo Lei, cosa succederà alla nostra diocesi, dopo che il Santo Padre avrà accettato le sue dimissioni? Si parla insistentemente di fusioni con altre Chiese vicine. Che ne pensa?
«Sarà il Papa, come sempre, a decidere se e quando sostituire i Vescovi che hanno raggiunto i limiti di età prescritti dalle norme canoniche, non è escluso per alcuni possa provvedere a una proroga. Per le successioni, infine, possibile anche che si possa procedere all’unione delle diocesi in persona episcopi per completare il processo di riduzione del numero delle diocesi italiane.
Papa Francesco, fin dal suo arrivo, ha subito pensato di accorpare le diocesi in Italia, perché sono tante. C’è il progetto di accorpamento, però non va bene sempre e dappertutto. Io ho detto a chi di dovere, che la diocesi nostra – premesso che non mi interessa, perché tra due, tre o quattro mesi o quando sarà andrò via – accetterà le decisioni del Santo Padre, però ho fatto notare come la diocesi di Anagni-Alatri sia particolare. In che senso? Per tre motivi fondamentali. Anzitutto viene già da un accorpamento, nel 1986 Anagni e Alatri, il 30 settembre di quell’anno diventano un’unica diocesi, già unita in persona episcopi con Mons. Umberto Florenzani. Poi questa integrazione è stata vissuta in modo pieno con Mons. Luigi Belloli e con Mons. Francesco Lambiasi ed è continuata con me prendendo piede, molto piede, non ci sono state battute di arresto. Siamo riusciti addirittura a far lavorare sacerdoti di Anagni ad Alatri e viceversa, nonostante siano due realtà molto diverse e complesse. Il centro pastorale diocesano di Fiuggi, inaugurato nel 2008, è stato fondamentale per questa integrazione e costruito per il 75% con i soldi dell’8 per mille, situato a metà precisa tra le due sedi. Secondo motivo, il Santuario della Trinità a Vallepietra, polmone che allarga la nostra diocesi, che in sei mesi annui di apertura – covid permettendo – ha oltre 400 mila pellegrini e visitatori. L’altro polmone che estende la diocesi è, indubbiamente, il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, il Seminario Regionale di ben 12 su 17 diocesi del Lazio. Quindi il vescovo che sta ad Anagni, deve lavorare anche per il Leoniano, qualsiasi cosa succede il sottoscritto chiamano. Poi ci sono tanti problemi a partire dai sacerdoti che diminuiscono sempre più e accorpando le diocesi non è che aumentano, anzi!»
Ha già deciso dove andrà quando sarà nominato il suo successore? Resterà in diocesi o tornerà nella sua Segni?
«Vorrei ritirarmi a casa mia a Segni, non rimango in diocesi, andrò ad abitare dove vivevano i miei genitori e mia sorella, che ora non ci sono più e magari farò il vice parroco in una parrocchia di Segni dove sono nato e dove ho svolto gran parte del mio ministero sacerdotale, restando a disposizione del parroco per quanto serve, condividendo la fraternità presbiterale con i sacerdoti, incontrando persone, studiando. Esiste un rapporto sponsale tra un vescovo e la sua diocesi, anche dopo le dimissioni, per questo non farò come fece monsignor Luigi Belloli, che decise di non tornare più nel nostro territorio, se non oltre dopo sette anni dal suo termine di servizio ed una sola volta. Io sarò a servizio della Chiesa di Anagni-Alatri, sempre, anche quando il mio successore avrà preso possesso della diocesi, ci tornerò con piacere».
Un suo prete diocesano, monsignor Domenico Pompili, già Vescovo di Rieti, è stato eletto pochi giorni fa Vescovo di Verona. Quali sono stati i suoi sentimenti e cosa ha augurato al nostro don Domenico?
«Ho provato da una parte gioia, da una parte dispiacere. Perché si è allontanato molto da noi. Però Verona è una diocesi di quasi un milione di abitanti, questo significa che il papa ha puntato su Domenico perché ha grande fiducia e stima in lui».
In che modo i nuovi mezzi di comunicazione potranno diventare funzionali ad una pastorale post-pandemia?
«Sono importati e lo abbiamo sperimentato. Certo non sostituiranno mai il rapporto interpersonale. Anche la chiesa è fatta di uomini e donne reali, di corpi. Nulla sostituisce la realtà, ma i mezzi virtuali ci daranno una grossa mano nella linea che ho già detto. Sono stati una fortuna, quindi continuiamo ad utilizzarli».
Lo scorso giugno ha divulgato una lettera per l’adeguamento liturgico della Cattedrale di Santa Maria Annunziata, in risposta all’ammissione della nostra Diocesi al Bando Nazionale promosso dall’Ufficio competente della CEI nel 2019. Ci può fare un sunto sul suo punto di vista?
«La Cattedrale ha accompagnato la Città di Anagni nelle alterne vicende della sua storia, possiamo dire che sia l’anima, la memoria, la sentinella de “La Città dei Papi”. La presenza della Curia papale ad Anagni tra il XII e il XIII secolo contribuì a renderla testimone di fatti storici importantissimi. È uno scrigno che conserva dei tesori d’arte straordinari come, tra gli altri, la Cripta di San Magno, al di sotto del Presbiterio, conosciuta come la “Cappella Sistina del Medioevo”, con un ciclo di 340 mq di affreschi; l’Oratorio di San Thomas Becket; il prezioso pavimento cosmatesco, posato tra il 1224 e il 1227. La Cattedrale è la Chiesa principale della Diocesi, dove il vescovo ha la sua sede o “cattedra”. È il punto di riferimento in ordine ad un cammino di fede, di vita e di comunione per tutti i cristiani che fanno parte della Diocesi, che non è la Chiesa intera, ma una Chiesa completa intorno al vescovo, successore degli Apostoli. La Cattedrale di Anagni, nei suoi nove secoli abbondanti di storia, ha subito una continua “evoluzione” per via di interventi che, nel tempo, ne hanno modificato parzialmente la struttura, ne hanno permesso la conservazione e hanno cercato di riportarla al primitivo splendore. L’ultimo, importante intervento di restauro è terminato il 1 ottobre 2006. Al momento attuale, abbiamo una occasione unica per porre mano all’adeguamento liturgico della Chiesa Madre della Diocesi per l’ammissione al Bando Nazionale CEI del 2019. Il Concilio ecumenico Vaticano II ci ha voluto comunicare un sogno di Chiesa che è il popolo di Dio, un popolo sacerdotale, chiamato dalla tenebre alla luce del Vangelo e ad annunciare, celebrare e vivere la Pasqua sulle strade della vita. L’adeguamento liturgico cui stiamo ponendo cuore e attenzione è quello che ci suggerisce il Concilio. E allora dobbiamo far risuonare una domanda dentro di noi: chi entrerà nella nostra Cattedrale tra 100/200 anni per celebrare i misteri della fede o visitarla potrà riconoscere dal suo assetto interno la nostra fedeltà al Concilio? Potrà dire di noi che siamo stati un popolo che ha raccolto i suggerimenti dello Spirito Santo in occasione di quella Pentecoste del XX secolo che è stato il Vaticano II? Intanto, prima di rilevare le istanze emerse nel percorso partecipativo che si è disteso dal dicembre 2020 ad oggi, mi piace sottolineare come il coinvolgimento di persone, uffici e organismi diocesani, comunità ecclesiali, istituzioni pubbliche e associazioni abbia delineato un vero e proprio cammino sinodale. Abbiamo avuto un esempio chiaro e concreto di quello che Papa Francesco sta chiedendo a tutta la Chiesa in vista del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2023, che avrà come tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Si tratta del rovesciamento della piramide, cioè del paradigma con cui per tanti secoli si è guardato alla Chiesa: tutto iniziava dai vescovi, dal vertice di una piramide per arrivare “a cascata” su ogni membro della comunità cristiana. Oggi – secondo il dettato del Vaticano II e della visione della Chiesa come popolo di Dio – la prospettiva con cui inquadriamo la Chiesa è la complementarietà, la circolarità, la comunione. I vescovi non sono più all’inizio di ogni processo ecclesiale, ma sono il terminale di un itinerario che coinvolge tante persone, molti organismi e varie istituzioni. Sta facendosi strada la convinzione che ogni cristiano, secondo la sua specifica vocazione, partecipi responsabilmente e attivamente alla vita ecclesiale come battezzato. Il ministero pastorale, in questo caso il vescovo, è titolare della decisione ultima. Ma il processo, che prepara la decisione, è frutto di un cammino che deve favorire l’ascolto, il dialogo e il discernimento da parte di ognuno.
Prima di tutto e soprattutto, a monte di ogni adeguamento a livello materiale, mi sembra molto importante un cambiamento sostanzioso della prospettiva con cui si guarda la Cattedrale in genere. Si tratta di un cambiamento e di una lettura di questo edificio sacro che vuol essere in linea con l’intento di chi ha pensato, progettato, costruito questo straordinario gioiello di architettura sacra. La Cattedrale è stata edificata per essere una casa di preghiera e di incontro di un popolo con Dio e la Sua proposta di salvezza. Siccome però la fede e il suo genio si accompagnano alla cultura, alla vita, all’arte di chi è cittadino di una determinata epoca, i monumenti religiosi diventano pure “oggetti” preziosi e luoghi da visitare e da godere dal punta di vista artistico. Con questo voglio dire che i cambiamenti e gli adeguamenti architettonici, nei prossimi anni, devono essere accompagnati da un impegno pastorale che riporti la Cattedrale, prima che a configurarsi come un luogo appetito e visitato da turisti, ad essere in pieno la casa dell’incontro tra Dio e il Suo Popolo nella preghiera e nelle celebrazioni della Fede.
Il luogo liturgico più importante da creare e valorizzare sarà l’ambone. Il popolo di Dio si nutre del pane della vita sia alla mensa della Parola che alla mensa dell’Eucaristia. Tra l’altare e l’ambone c’è stata una netta asimmetria nel corso degli ultimi secoli. Bisogna ritrovare simmetria ed equilibrio tra altare e ambone. In che modo? Attraverso due possibili soluzioni. O ricavando l’ambone, aggettandolo sulla balaustra, con la riduzione di quest’ultima e con l’impiego di materiali ottenuti da questa riduzione. O costruendo un ambone monumentale, solido, stabile, alla stessa altezza dell’altare, fuori dalla balaustra con la valorizzazione del candelabro per il cero pasquale del Vassalletto del XIII secolo.
Dal percorso partecipativo è emersa pure la proposta di una espansione del Presbiterio in coerenza con lo sviluppo del pavimento cosmatesco e con la delimitazione “naturale” del gradino che segna trasversalmente l’intera aula. Ciò sarebbe necessario se l’ambone fosse eretto fuori dalla balaustra. Ma questo comporterebbe la perdita di circa trenta posti a sedere per l’assemblea. Personalmente propenderei per la riorganizzazione del Presbiterio attuale, sgravandolo della presenza del Coro che troverebbe collocazione al posto della macchina processionale dei Santi Magno e Pietro con lo spostamento dell’organo sulla navata di destra.
Trovo, inoltre, molto opportuna la proposta di trasferire la custodia eucaristica nella Cappella Cajetani, che diventerebbe la Cappella feriale e per le celebrazioni capitolari. Questa scelta renderebbe molto adatta la Cappella per la “Lectio Divina”, la meditazione personale, l’adorazione e la preghiera.
Mi piace anche l’indicazione di valorizzare il Battistero con una appropriata illuminazione delle vetrate e con una più marcata sottolineatura architettonica dell’ingresso. Felice mi sembra pure la individuazione nella Cappella Lauri come luogo dedicato al sacramento della Riconciliazione.
Infine, non posso non sottolineare e fare mia la proposta di rivedere e progettare l’impianto luminoso dell’intera aula e della Cripta, come pure l’impianto acustico.
La Cattedrale deve essere una casa accogliente e di ospitalità esemplare, quindi un luogo di identificazione filiale e fraterna, luogo di amicizia e di integrazione di persone, comunità, visioni della vita … Deve favorire, come diceva l’indimenticato e indimenticabile vescovo Tonino Bello, “la convivialità delle differenze”. Quindi via vincoli, barriere e sbarramenti per l’offerta di uno spazio che crea ordine, profondità, comunione. La Cattedrale è stata testimone della canonizzazione di tanti Santi – una per tutti Santa Chiara nel 1255 – e come Chiesa Madre può additare i Santi che ha generato, che accoglie e che custodisce come esempio di testimonianza e di vita evangelica per gli uomini e le donne di oggi.
La Cattedrale, infine, può e deve essere il luogo della preghiera personale e comunitaria in un contesto di grande bellezza. La preghiera è il luogo in cui si alleva la speranza per un mondo più consono alle aspettative di Dio e degli uomini e in cui si cresce nella coscienza di essere figli e figlie, fratelli e sorelle».
Eccellenza, per concludere… quali sono stati gli impegni e gli incontri avuti più importanti? Gli atti compiuti?
«L’impressione che mi porto dentro e un caleidoscopio di colori, porto dentro il calore della gente, delle tante persone che ho conosciuto oltre nelle varie sedi canoniche della diocesi: curia, parrocchie, associazioni varie, come pure negli altri intrattenimenti meno ufficiali, cioè nelle scuole di tutti i livelli, dall’asilo alle superiori, negli ospedali, nelle palestre e così via. Un arcobaleno di sensazioni, quindi, mi fa piacere che la gente in questi venti lunghi anni ha percepito la vicinanza del vescovo… Ho avuto poi l’impressione di una ricchezza di proposte dal punto di vista religioso e molto a livello di devozioni popolari, dove la gente tutto sommato continua ad avere un rapporto con il sacro. Ho trovato un presbiterio di persone amiche, dunque, tra me e i miei preti non c’è un rapporto tra vescovo e sacerdote, sotto l’aspetto istituzionale della carica, ma da amici…e questo è bello! Inoltre non posso dimenticare le ricchezze dei movimenti ecclesiali, di tutti nessuno escluso! Penso che il bilancio può essere soddisfacente…
Vado verso questi 75 anni di età, con sentimento di riconoscenza e gratitudine a Dio, al Santo Padre Francesco, ma pure a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI, ai miei confratelli nell’Episcopato, ai presbiteri, ai diaconi che in questi anni sono stati, con voi laici, dei splendidi compagni di viaggio, che ho cercato di servire nella maniera più serena e più feconda possibile. Grazie affido tutti al Signore e chiedo perdono per qualche inadempienza compiuta, a qualche persona che magari per delle scelte ho reso più triste, sperando che abbia capito! Grazie a te per questa intervista!».
intervista e foto a cura del Cav. Sante De Angelis