Anagni è considerata anche città multiculturale. Ad oggi su 21135 abitanti se ne contano 742 provenienti da ogni parte del mondo. La multiculturalità per molti ha effetti positivi, per altri negativi. Tra i primi troviamo chi sostiene che la multiculturalità ci aiuti a crescere, permettendoci di vedere il mondo da un’altra prospettiva, trovare soluzioni a questioni che personalmente non avremmo mai risolto da soli o comunque che avremmo trovato solo dopo tanto tempo. Poi ancora aiuta a superare la convinzione che la propria cultura sia superiore alle altre, mettendoci di fronte a tante tradizioni e vedendo come ciascuna abbia la propria ragion d’esserci. Ciascun popolo tramanda le proprie tradizioni, che sono bellissime e che mettono in evidenza la cultura di un’etnia. La sua capacità di dare risposte ai mutamenti. L’ambiente cambia, le persone cambiano e i popoli di tutto il mondo cambiano fronteggiando le problematiche in modo differente e sempre nuovo. “Le tradizioni sono, dunque, le nostre radici. Sono i valori spirituali, morali e culturali depositati saldamente nella mente e nel cuore di un popolo. Siamo noi, il nostro sangue, la nostra cultura, la nostra identità, il nostro mondo. Un popolo senza tradizioni è un popolo privo di anima” (fonti prese dal web). Esse si formano gradualmente, col passare dei secoli, quasi in modo impercettibile. Per altre persone invece ci sono dei lati negativi nella multiculturalità, si pensa che l’esposizione ad altre culture possa provocare una perdita della personalità e unicità della propria cultura, ma ciò che non viene preso in considerazione è che il cambiamento avviene comunque, e che le proprie radici e la propria personalità permangono e ad esse si aggiunge sempre qualcosa di nuovo. Delle fonti ce lo descrivono così: il termine multiculturalismo, entrato nell’uso comune verso la fine degli anni ottanta, identifica una società in cui più culture, anche molto differenti l’una dall’altra, convivono mantenendo ognuna la propria identità. Pur potendo avere interscambi, conservano le peculiarità del proprio gruppo sociale. Le minoranze, in particolare, mantengono il loro diritto ad esistere, senza omologarsi o fondersi ad una cultura predominante, e senza dunque diluire o perdere la propria identità. La paura di perdere la propria personalità o anche la lontananza dei valori di un popolo rispetto ad un altro può generare conflitti. Da questi pensieri, errati, ha origine l’intolleranza, sviluppata su livelli diversi in tutti i paesi del mondo, che si tratti di guerre o discriminazione ed emarginazione. Anagni è una città in cui più culture differenti interagiscono in spazi pubblici e luoghi comuni, dove si scambiano idee, pensieri, e instaurano rapporti di amicizia. Si parte dal principio secondo cui l’interscambio è un bene per crescere, migliorarsi e aprire gli occhi alle diversità che vanno accettate anche se non condivise, per una convivenza pacifica. Una convivenza pacifica si instaura quando due popolazioni convivono rispettando le diverse opinioni (e usanze) degli altri, senza però ignorarli. Il consiglio, in particolare degli antropologi che studiano le differenze culturali da molti anni, è quello di accettare le diversità anche se non le si condivide: non per forza dobbiamo condividere nel senso di “fare le stesse cose che fanno loro”, si può non essere d’accordo su alcuni usi e costumi e va bene così, ma bisogna accettare che ci siano, senza imporre il proprio punto di vista delle cose. Anche perché non è detto che un modo di fare (ad esempio il nostro) sia giusto e un altro no. Questo è alla base di un concetto importante definito con il termine tolleranza. Chi ci dice cosa è giusto o sbagliato? La cultura, e ogni cultura ha delle particolarità che possono andar bene in un determinato contesto, ma non è detto che le stesse possano andar bene in un altro. Ciascun popolo ha diverse tradizioni sviluppatesi nel corso di secoli e che continuano a maturare. Nasce dalle esperienze che un popolo ha dovuto affrontare. Ogni differenza culturale si è sviluppata a seguito di circostanze, da parte dell’ambiente e ogni popolo della Terra ha cercato di adattarsi a queste circostanze, dandovi risposte, quindi adottando dei comportamenti che poi si sono rivelati efficaci. Ad esempio in India le mucche sono considerate sacre perché in tempi di povertà erano molto utili per il loro latte, poi inserito tra i propri dogmi religiosi.
CURIOSITA’
Facciamo alcuni esempi pubblicati da “Il lato positivo”: nei paesi occidentali una linea dritta di denti è considerata la definizione di un sorriso perfetto, mentre in Giappone il top dell’attraenza sta nell’avere denti storti, spesso si ricorre ad un dentista per avere questo trattamento. In Nuova Guinea è attraente avere cicatrici su tutto il corpo, procurandosi dei tagli appositamente, ed è considerato segno di grande bellezza. In Corea del Sud tutti vorrebbero avere un viso a forma di cuore, pertanto si sottopongono a operazioni chirurgiche per modificare le mascelle. In Mauritania le donne devono avere rotoli per essere belle. In Cina il pallore della pelle è considerato il massimo standard di bellezza. In qualche tribù dell’ Africa si cerca in ogni modo di far apparire la fronte più alta, un’usanza simile la troviamo nell’Europa medioevale. In Birmania avere il collo lungo è massima espressione di bellezza, per questo ogni due anni le persone aggiungono degli anelli per allungare il collo. In Etiopia si usa allungare il labbro inferiore con dei dischi, più è grande il disco e più si appartiene ad elevati status sociali. In Tajikistan avere il monociglio è sinonimo di estrema bellezza. Il gesto che noi utilizziamo per dire “ok”, nella cultura giapponese significa “soldi”, in Francia significa “zero”, mentre in Brasile è considerato un insulto. Poi ancora: in Danimarca si usa fare dei picnick al cimitero, mentre da noi è molto inusuale e considerato macabro o non accettabile, mentre soprattutto Copenaghen può vantare uno dei parchi verdi più grandi del paese, il cimitero si è trasformato in un luogo di ritrovo dove si organizzano feste e concerti. In Thailandia non è permesso toccare qualcuno sulla testa perché è considerata la parte più importante del corpo, dove risiede l’anima, solo i parenti molto stretti possono farlo, e la stessa cosa vale anche per le statue; barbieri e parrucchieri si scusano in anticipo prima di svolgere il proprio lavoro, non si possono passare oggetti sopra la testa e così via, mentre in molti paesi dare delle piccole pacche sulla testa è considerato un gesto affettuoso e carino. Poi ancora in molti paesi musulmani la mano sinistra, considerata impura, non può essere ad esempio utilizzata per mangiare, o per salutare le persone, viene invece utilizzata per pulirsi in bagno. In Norvegia invece non si usa fare direttamente i complimenti a qualcuno per non metterlo in imbarazzo al centro della scena. In Malesia si usa il pollice per indicare le persone, in segno di rispetto, e l’indice per indicare gli animali stessa usanza anche nelle Filippine e in Indonesia. In alcune zone della Corea non si usa il colore rosso per scrivere i nomi di persona se sono ancora vivi, significherebbe augurargli cattiva sorte. In Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Scozia e Paesi Bassi non ci si siede sul sedile posteriore nei taxi, perché è da arroganti, mentre da noi verrebbe considerato strano. In Tibet ci si saluta facendosi la linguaccia, questa usanza è molto antica, i tibetani credono nella reincarnazione e siccome un tiranno aveva la lingua nera allora vogliono accertarsi che non si sia reincarnato in qualcuno di loro; ad oggi questa usanza è utilizzata da poche persone, soprattutto anziani. In Cina si festeggia il compleanno usando un calendario lunare. In Vietnam non si incrociano le dita, è un gesto offensivo. In India si ringrazia solo in certi contesti e per ragioni molto importanti. I Masai (Kenya e Tanzania) si sputano addosso in segno di rispetto, si sputano sul palmo della mano per stringerla a vicenda, si sputa sui neonati e sugli sposi per benedirli. In India le donne possono sposarsi con gli alberi, chi nasce sotto l’ascendente di Marte si pensa che non avrà un matrimonio felice, per questo esistono dei siti di incontri dedicati esclusivamente a queste persone che mettendosi insieme possono togliere il problema, anche se il marito non godrebbe di ottima salute, per questo le donne prima si sposano con un albero in modo da togliere la maledizione, l’albero viene tagliato e poi la donna può sposarsi con chi desidera. Ancora in Australia si può ricevere la multa se non si va a votare. In Indonesia è tradizione utilizzare le foglie di banano al posto dei piatti, dalla stessa foglia possono mangiare persone di qualsiasi status sociale, serve a tenere unito il popolo e il cibo si mangia con le mani. In Cina una stazione della metropolitana è costruita all’interno di un condominio, all’interno del sesto piano., mentre in Giappone una ferrovia passa per un complesso di uffici. In Egitto si guida senza regole stradali. In alcuni paesi viene tutt’ora utilizzata la circoncisione maschile e la mutilazione genitale femminile. Alcuni popoli sono matriarcali, altri patriarcali. E così via. Dunque per ciascuna di queste pratiche e convinzioni c’è una spiegazione alla base molto adeguata al contesto in cui si vive o di cui si ha avuto esperienza in passato. In tutti i popoli c’è un filo comune, ovvero i riti di passaggio e le emozioni (con le proprie espressioni facciali studiate dal famosissimo psicologo Paul Ekman) ma anche il DNA. Ad oggi sappiamo che l’effettiva differenza (che si può vedere nella carnagione, nel colore degli occhi, dei capelli ecc.) equivale allo 0, 1%, ovvero che il restante 99,9% del DNA è lo stesso per tutti gli esseri umani.
Anagnia ha incontrato l’antropologa Rossella Rossi per chiarire alcuni concetti importanti quali: la multiculturalità e la tolleranza; adattandoli al mondo contemporaneo e andando nello specifico al contesto anagnino.
Rossella Rossi, laureata in Antropologia Culturale presso l’Università La Sapienza di Roma, con un progetto di Tesi sperimentale (e ricerca sul campo) intitolato “La Comunità Albanese ad Anagni: una prima prospettiva etnografica”. Cultrice della Materia, ha collaborato con Sportelli al Cittadino nell’ambito del Terzo Settore, con Enti Comunali, Distrettuali e Scolastici, con realtà industriali private, per fornire strumenti e prospettive atte a creare una rete efficiente finalizzata all’integrazione guidata e alla mediazione culturale attiva.
Vediamo cosa ci dice l’esperta riguardo questo argomento attualissimo e molto impegnativo.
Cosa si intende per multiculturalità in antropologia? Un concetto molto vasto e denso di sfumature per essere riassunto in poche righe. Oggi, che viviamo in contesti che amano definirsi “multietnici”, è un momento in cui la dimensione identitaria della propria appartenenza, non solo etnica ma culturale, personale, linguistica, tradizionale e tanto altro, diviene predominante in un sistema che può solo apparire globalizzato. Multiculturalismo e Modernità non vanno affatto di pari passo, se non nella piazza virtuale che sembra definirsi “cosmopolita”. Le sfumature tipiche di ogni etnia si fondano inevitabilmente nella cultura ospitante: ne conseguono mix-up in continua evoluzione. Unico dato certo ed incontaminato: le proprie radici, custodite nelle fonti scritte e nei moderni legami con il proprio contesto di appartenenza. Le nuove generazioni tendono invece a superare questo concetto, soprattutto nei casi in cui nuove nascite avvengono e si formano nel “nuovo” contesto di sopravvivenza, e che resta comunque diverso rispetto a quello di appartenenza. Multiculturalismo oggi: un abisso nell’Oceano….
Quali sono le dinamiche correnti? Cosa sta succedendo in questo periodo storico, ed in particolare nel contesto specifico della nostra città: Anagni? / In che modo il contesto storico in cui viviamo può condizionare la tolleranza? Oggi…è sinonimo, in questo caso, di anni dedicati allo studio dei flussi migratori, di tentativi di adeguamento a normative in continua evoluzione: il fenomeno globalizzazione e la conseguente apertura delle frontiere ha determinato un flusso non strutturato, spesso non controllato. La conseguenza immediata ha scaturito un agguerrito dibattito politico senza precedenti, attualmente irrisolto. Il periodo storico non aiuta: in un momento pandemico di tale gravità si evidenziano non poche criticità. Il processo di accoglienza va strutturato con modalità e strumenti necessari che spaziano da iniziali screening sanitari, a censimenti identitari, a strutture di accoglienza idonee e percorsi di integrazione sostenuti da Team di professionisti in grado di mediare: da una parte vi è la comunità ospitante, che deve essere pronta ad “accogliere” e non a vivere la “presenza” delle microcomunità come un’imposizione. Dall’altra ci sono “persone/microgruppi” decontestualizzati dal proprio “mondo culturale”, spesso per scelta personale (i migranti sono alla ricerca di “un posto migliore”) che guardano con diffidenza e percepiscono la diffidenza nella nuova dimensione. Vi è una linea di demarcazione molto rigida da affinare e perfezionare: non può esservi immediata integrazione dove mancano i canali di mediazione, dove mancano sistemi di supporto, strumenti integrativi. Quello di Anagni è un dato significativo: sono presenti microgruppi provenienti da diversi contesti. Abbiamo comunità ormai radicate nel contesto cittadino perché negli anni il processo di integrazione/fusione è avvenuto in maniera quasi naturale (non senza difficoltà ma il tempo e la gradualità hanno notevolmente contribuito). Oggi è un po’ diverso: i centri di accoglienza rispondono a dinamiche “quasi” imposte e repentine; si bypassano i processi iniziali di inclusione per mancanza di strumenti e per le tempistiche accelerate. E così si determina, nel terrore del contagio da Covid-19, un processo inverso: xenofobia, paura dell’Altro inteso come diverso da Sé, il dubbio delle condizioni igienico-sanitarie, l’impossibilità di censire e comprendere il sistema di accoglienza, i limiti degli Enti preposti al controllo e al supporto. Non è affatto semplice sintetizzare quante siano le criticità che ne derivano…
Cosa bisognerebbe fare per incitare le persone ad essere più tolleranti nei confronti della diversità? Cosa si può fare nelle scuole o cosa si sta già facendo? Strutturare. È il termine chiave. La diversità esiste (non chiaramente nel colore della pelle) ma nelle radici profonde che identificano l’appartenenza culturale ed identitaria di un gruppo, sia esso ospitante che ospitato. Strutturare un sistema di inclusione prevede numerosi step di mediazione, attraverso la conoscenza, la consapevolezza, l’approfondimento culturale, ma anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento delle Istituzioni, delle Strutture Sanitarie, delle Associazioni di Settore e, ripeto, di Team dedicati e pronti a sostenere un flusso così complesso: nessuno deve “azzerare” la propria diversità culturale, che va assolutamente preservata ed alimentata. Ma è opportuno farlo in maniera bidirezionale. Le scuole offrono ottimi spunti volti a favorire l’integrazione: i giovani sono maggiormente flessibili perché predisposti a recepire la formazione. Gli strumenti didattici aiutano, così come i progetti mirati che scelgono come Focus spunti riflessivi sulla diversità, sulla tolleranza, sull’inclusione. Ma il sistema Scuola non può, da solo, fornire gli strumenti idonei per procedere in un percorso efficace di integrazione, soprattutto perché dietro ogni bambino vi sono i contesti familiari, dietro i contesti familiari vi è la società, dietro la società vi è il Sistema… Ed è come tornare al punto di partenza: un sistema che non prevede un flusso strutturale e strutturato di accoglienza e integrazione determina effetti devastanti sull’approccio antropologico/sociologico al Multiculturalismo.
E’ un bene rimarcare le differenze e sottolineare questa problematica o può alimentare l’effetto Streisand? L’effetto Streisand è incontenibile. Si autoalimenta. Non possiamo far finta di nulla e sminuire la problematica che di fatto esiste e come tale viene vissuta. È bene, invece, argomentare, proporre, sostenere la fattibilità di progetti mirati e finalizzati al processo di inclusione ed integrazione, preservando, nello stesso modo, la dimensione identitaria del gruppo e delle minoranze etniche in maniera scientifica e scevra da pregiudizi: così come è strutturato il sistema non consente di “gestire” in maniera consolidata e professionale un qualsiasi flusso migratorio. Quella di Anagni, per tornare alla nostra riflessione iniziale, ha dimostrato di essere una Comunità molto generosa, accogliente… ma non può autogestirsi, non è corretto. In più oggi vi è un ulteriore mondo in cui definire nuovi approcci: il mondo virtuale. Del resto, come fece notare l’editorialista del New York Times, Evgenij Morozov, “…un approccio pre-tecnologico meglio avrebbe fatto ad «approcciare» e non a «fronteggiare» la comunità online, refrattaria alle imposizioni”.
Alleghiamo il comunicato stampa emanato dalla regione Lazio il giorno 10 novembre 2020: REGIONE LAZIO, PUGLIESE: RIPARTE PROGETTO PER LE SCUOLE “IO NON ODIO” Riparte il progetto speciale rivolto alle ragazze e ai ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado promosso dalla Regione Lazio – Assessorato al Turismo e Pari Opportunità con l’Assessorato al Lavoro e nuovi diritti, Formazione, Scuola e Diritto allo Studio universitario. A dare la notizia è l’Assessora Giovanna Pugliese, che oggi pomeriggio ha salutato i docenti coinvolti nel progetto ed illustrato nel dettaglio le azioni previste. “Io non odio – dichiara l’Assessora al Turismo e Pari Opportunità, Giovanna Pugliese – è un progetto fortemente voluto dal Presidente Nicola Zingaretti ed è rivolto alle studentesse e agli studenti di Roma e del Lazio nato con l’obiettivo di sensibilizzare i più giovani sui temi della violenza legata agli stereotipi di genere, alla misoginia, all’omofobia, al razzismo, al bullismo ed in particolare al contrasto della violenza maschile contro le donne. La scuola – continua Giovanna Pugliese – non è solo il luogo in cui si apprendono nozioni, ma è anche quello in cui si cresce e ci si forma come cittadine e cittadini e per questo ha tra le sue responsabilità quella di educare alla cultura del rispetto”. Il progetto ‘Io non odio’, giunto alla sua seconda edizione, prevede percorsi di condivisione culturale per le scuole attraverso diverse attività da declinare nell’ambito della programmazione scolastica, nel rispetto delle misure di contenimento anti Covid-19. Già 26 scuole hanno dato la loro adesione. Oltre 2.700 gli studenti coinvolti. Incontri di approfondimento rivolti ai docenti, 4 masterclass col coinvolgimento di artisti e personalità del mondo della Cultura e dello Spettacolo per approfondire insieme alle studentesse e agli studenti il tema dell’odio nelle sue diverse sfaccettature, incontri laboratoriali nelle scuole in streaming e in presenza, momenti di approfondimento e sensibilizzazione su temi specifici, un concorso ad hoc rivolto alle scuole aderenti e un grande appuntamento in plenaria con testimonial contro l’odio noti e amati dai destinatari del progetto. “La novità di questo 2020 – annuncia Giovanna Pugliese – sarà la nostra ‘carovana contro l’odio’, un viaggio, idealmente in pullman o in treno, se le condizioni lo permetteranno, o su una piattaforma web dedicata, oltre i confini dell’intolleranza e della violenza. Un viaggio attraverso storie ed esperienze vissute, ma anche un viaggio fisico, nei luoghi del Lazio, che vedrà protagonisti attivi i nostri studenti e le nostre studentesse. Una carovana che quest’anno coinvolgerà anche i bambini e le bambine della scuole primarie delle province di Rieti, Frosinone, Latina e Viterbo. Un viaggio per arrivare insieme alla meta, per individuare le ‘parole d’odio’ e costruire, al contrario, un alfabeto contro la violenza e l’intolleranza”. Il progetto “Io non odio” ha ricevuto l’adesione da parte della Federazione Nazionale Stampa Italiana e di Articolo 21.
Anagnia ha incontrato anche Silvia Compagno, laureata in Relazioni Internazionali, ha collaborato con la rete Caritas in Italia, Grecia (durante l’emergenza migranti del 2015-2016) e Kosovo (nell’ambito di un progetto di riconciliazione intercomunitaria). Dal 2018 fa parte dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Anagni-Alatri, dove svolge attività di promozione dell’interculturalità, networking e progettazione sociale. Collabora con diverse Ong italiane ed estere e attualmente lavora a Bruxelles presso la Commissione Europea, nel settore della Cooperazione allo Sviluppo.
“Dobbiamo incominciare – dice Silvia – ad utilizzare una narrativa positiva verso la migrazione in generale. E dobbiamo ricordare che l’umanità intera è migrante, anche noi ci siamo spostati verso condizioni di vita migliori” da sempre. Ricordiamo infatti che l’homo erectus è stato il primo ominide migrante, o durante il 1800 con la famosa “corsa all’oro” in America, o basti pensare allo spostamento dal Sud Italia al Nord Italia durante la Rivoluzione Industriale, o ancora oggi la “fuga di cervelli” o semplicemente una fuga di italiani all’estero in cerca di lavoro. Cosa ci rende diversi dunque? Video pubblicato dall’OIM (Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo):
CONCLUSIONE
Ogni fatto sociale, ovvero qualsiasi fatto che riguarda l’uomo, ha dei pro e dei contro che andrebbero gestiti trovando un equilibrio, per questo ad oggi abbiamo bisogno di professionisti che si occupano di tutto ciò, per una sana convivenza. Siamo tutti ” cittadini del mondo” – cit. Seneca
Alla domanda: come sta affrontando, l’Ufficio Migranti, la questione della multiculturalità?
Le parole di Silvia:
“Il primo Ufficio Migranti della Diocesi di Anagni – Alatri è stato istituito a giugno 2018 per volere del Vescovo Lorenzo Loppa ed è nato dall’esigenza di trovare, anche all’interno della Chiesa locale, un punto di riferimento per le sfide poste dai cambiamenti sociali e demografici del territorio.
L’Ufficio può contare sulla guida di Sabrina Atturo, il supporto di volontari, nonché sulla collaborazione e sinergia con altri Uffici ed iniziative diocesane, tra cui Caritas, progetto Policoro, Pastorale Sociale e Osservatorio territoriale diocesano.
L’intento che l’Ufficio si pone, è aggiungere un tassello nel processo di sviluppo di comunità solidali, pronte ad accogliere, fare rete e stringersi intorno a coloro che rischiano di rimanere ai margini, affiancando le varie comunità presenti sul territorio a vivere occasioni di incontro e accompagnandole verso processi di autentica promozione umana.
L’Ufficio lavora per favorire occasioni di scambio e scoperta reciproci; collabora con la società civile facendo rete con le realtà associative, imprenditoriali e istituzionali del territorio; si adopera per cercare in maniera sinergica risposte alle situazioni di disagio e marginalizzazione riscontrate.
Inoltre, dal momento della sua istituzione, l’Ufficio ha svolto diverse attività volte innanzitutto a conoscere (e far conoscere) le “realtà migranti” che caratterizzano il nostro territorio:
- È stata condotta una prima analisi sociologica del fenomeno migratorio all’interno del territorio diocesano, in collaborazione con l’Osservatorio Diocesano, per avere una prima fotografia delle diverse comunità presenti.
- L’ufficio ha iniziato ad incontrare i membri di queste comunità, a conoscere e raccontare le loro storie di migrazione attraverso la rubrica “Incontri” del mensile diocesano Anagni-Alatri Uno e anche tramite la collaborazione con Anagnia. L’intento è favorire una narrazione positiva e costruttiva del fenomeno migratorio, nell’idea che le storie di migrazione rappresentino storie di un’umanità da sempre in cammino.
- A giugno 2019 è stata organizzata la prima Festa dei Popoli diocesana presso gli spazi interni ed esterni del Palazzo comunale di Anagni, inaugurata con un convegno e conclusasi con un momento di festa in piazza. L’evento ha costituito un’occasione per valorizzare ed entrare in contatto con le diverse culture che abitano il nostro territorio. Nel convegno si sono alternate le varie voci dal territorio, ognuna delle quali ha raccontato la propria personale esperienza di incontro e scoperta dell’altro: a partire da un giovane studente pigliese, che ha presentato un lavoro svolto a scuola sul tema della globalizzazione e sfida della complessità, fino alle testimonianze di cittadini originari dell’Africa, Sudamerica. La giornata è proseguita tra balli, musiche popolari dalle suggestioni africane, italiane, est europee e sudamericane, esposizione di prodotti di artigianato e assaggi di cibi dal mondo.
- Presentazione e approvazione di un progetto CEI dal titolo “Narra-Azioni di umanità” volto a promuovere un’informazione critica ed una maggiore consapevolezza sui fenomeni migratori, attraverso attività di sensibilizzazione nelle scuole e nelle parrocchie.
Attualmente, a causa del Covid19 tutte le nostre attività sono purtroppo sospese. L’Ufficio continua comunque ad essere attivo per rispondere alle urgenze segnalate dai vari operatori sociali (in particolare farmaci e vestiti) per i ragazzi che vivono in comunità, cercando di fare rete con il territorio e attivando risorse locali, donatori, persone di buona volontà.
Per info e curiosità: migrantes@diocesianagnialatri.it
articolo a cura di Chiara Tarquini