Sulla Fase 3 il mondo politico anagnino ha aperto un dibattito importante sul modello di sviluppo che la città dovrebbe sposare per rilanciare la sua economia. Sia la maggioranza che la minoranza stanno tentando di dare una propria chiave di lettura alla crisi economica e sociale che ha investito l’Italia e da cui Anagni non è, purtroppo, immune. Abbiamo intervistato il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Davide Salvati per sapere da lui quale sia la visione di città più adatta per la Fase 3.
La Fase 3 pone la classe politica di fronte ad alcuni importanti interrogativi. Due modelli di sviluppo diversi sono all’ordine del giorno. Qual è quello al quale ti senti più vicino?
Credo che la domanda più giusta sia come coniugare in un unico progetto questi due modelli. L’apertura agli investimenti ed il nuovo sviluppo industriale di cui ha parlato il sindaco Daniele Natalia non si contrappongono allo sviluppo della vocazione turistica di Anagni.
Questa contrapposizione è stata artatamente sviluppata, nulla nega infatti che gli anagnini possano ripensare il proprio modello turistico anche se la città è un centro industriale di primo livello. Tutto sta nel capire come il “marchio” Anagni possa essere meglio sviluppato. Faccio un esempio: è possibile che l’idea di “città dei papi” incentrata sulla storia medievale non basti più a fare di Anagni una città attrattiva. Non abbiamo mai valorizzato la storia ernica e romana, non abbiamo mai pensato che anche la modernità ha visto Anagni essere un centro importante sia in epoca napoleonica che in epoca risorgimentale, per non parlare poi del fatto che abbiamo il Parco della Rimembranza che è un esempio stupendo di architettura novecentista.
Anagni è sempre quella, per riprendere il titolo di un famoso affresco ormai andato perduto e che un tempo campeggiava sui muri della Sala della Ragione, delle “quattro ere”. Pensiamo a questo senza fossilizzarci, le potenzialità ci sono tutte.
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Ci sono fenomeni sociali che hai notato in questo periodo di crisi?
Sicuramente alcuni fenomeni hanno subito un’accelerazione nel corso di questo periodo, influenzati anche dalla necessità di trovare un’occupazione. C’è un radicale “ritorno alla terra” specialmente da parte delle giovani generazioni. L’opzione di rivalutare l’agricoltura come uno dei settori trainanti per lo sviluppo del nostro territorio risponde in toto all’importanza di avere un’economia circolare oggi.
L’imprenditoria agricola necessita di un forte sostegno e dell’indirizzo delle istituzioni, deve potervi vedere un aiuto e non chi frappone ostacoli di tipo burocratico-normativo ormai superati. Questo è fondamentale per ripartire e la sburocratizzazione passa anche per il settore agricolo e non solo per le industrie più o meno grandi che insistono sul nostro territorio.
L’eccellenza si crea così, l’identità contadina della città che tanti sbandierano si difende con politiche attive di sostegno agli imprenditori agricoli e non con iniziative anti-industriali; occorre favorire la nascita di una rete tra agricoltori con il ruolo attivo delle associazioni sindacali e di categoria e delle istituzioni politico-amministrative.
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Dalle tue risposte emerge una critica nemmeno troppo velata nei confronti di un modus operandi e di visione di sviluppo cittadino almeno dal dopoguerra in poi. Perché?
Hai colto nel segno. Infatti la giovane età mi permette di giudicare, possiamo dire di “storicizzare”, i programmi di sviluppo pensati ed attuati ad Anagni nel corso dell’ultimo cinquantennio. Non ho ridotte ideologiche da difendere ma ritengo di avere il compito di pensare al futuro. Questo però deve poggiare su una solida analisi di quel che è stato.
Non possiamo infatti non tenere in considerazione che Anagni l’industrializzazione l’ha subita ma non l’ha governata così come la crisi successiva ce la siamo ritrovata addosso senza possibilità alcuna di influire. Questo perché i capitani d’industria hanno avuto interesse ad investire poiché era lo Stato-imprenditore a garantire la tenuta del sistema così come, una volta terminati i vantaggi, tipici d’una economia coloniale di transizione, ci siamo ritrovati con l’inquinamento della Valle del Sacco e la perdita d’importanza dell’area nord con Anagni che, da città baricentrica, ha visto tagliati i servizi essenziali, basta infatti dire “sanità” per evocare un incubo.
Lo sviluppo “zoppo” di Anagni ci condiziona ancora oggi, ecco perché è sempre più impellente un’analisi storico-politica dell’ultimo cinquantennio; perché è quella la fase in cui è mancata, tra le altre cose, una riflessione seria sulla “cultura del turismo” ma anche sulla difesa dei servizi essenziali.
Oggi, e non lo dico retoricamente, abbiamo come amministratori il dovere di invertire la tendenza. Lo sviluppo immaginato e che dovrà essere favorito e programmato dalla politica riguarda non solo Anagni nella sua totalità, senza discriminare alcun settore produttivo, ma è un “obbiettivo storico” che una classe dirigente consapevole e votata al bene della città deve porsi.