Papa Giovanni XXIII ha davvero salvato il mondo dalla sua distruzione. E Sante De Angelis, Rettore Presidente dell’Accademia Bonifaciana di Anagni, Postulatore delle Cause dei Santi in Vaticano, Grande Ufficiale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ce lo ricorda con questa interessante, dotta e documentata pubblicazione, che recentemente ha dato alle stampe per conto della casa editrice LBE, di cui lui stesso è il Direttore Editoriale. Un argomento “storico” delicatissimo, scelto dal nostro Autore: la “guerra fredda” fra Stati Uniti e Unione Sovietica, con la famosa “Crisi dei missili a Cuba” vissute sotto il luminoso pontificato Giovanneo. Il 14 ottobre 1962, infatti, un aereo americano U2 in volo di ricognizione aveva scoperto che dei missili russi erano stati installati a Cuba pronti per essere lanciati contro gli Stati Uniti insieme all’arrivo di navi sovietiche con a bordo delle testate nucleari. Cosa sarebbe successo? Un attacco nucleare sugli Stati Uniti avrebbe spinto gli stessi americani ad attaccare l’Unione Sovietica e si sarebbe entrati una terza guerra mondiale dagli effetti devastanti. La tensione politica era destinata a crescere. Dalla fine della seconda guerra mondiale, mai la pace era stata tanto a rischio come in quei drammatici giorni dell’ottobre 1962. Da un momento all’altro poteva scoppiare una nuova guerra di tipologia nucleare con conseguenze inimmaginabili: lo scontro avrebbe trascinato l’umanità intera verso un conflitto mondiale atomico. Per fortuna subentra il Papa – ci sottolinea Sante De Angelis – che di fronte alla drammaticità della situazione, mentre il mondo letteralmente tratteneva il respiro di fronte al possibile scontro tra i due blocchi, Roncalli sentì la necessità di agire per la pace. La situazione era drammatica, e il tempo stringeva. Finché non si fece largo l’idea “di un possibile arbitrato che consisteva nella ricerca di una autorità a livello alto, mondiale, super partes, accetta e gradita da entrambe le parti”. Si concordò che questa autorità non potesse essere che Giovanni XXIII: “Il suo intervento non sarebbe stato sospetto di parzialità politica e avrebbe permesso sia a Kennedy che a Krusciov di salvare la faccia e uscire onorevolmente dalla critica situazione”. Il Papa si mostrò disponibile e “accettò con entusiasmo il ruolo di mediatore”. Nei suoi meno di cinque anni di pontificato, Giovanni XXIII – come ben ci ricorda l’Autore – oltre che per la grande visione riformatrice che determinò la convocazione del Concilio Vaticano II, può essere sicuramente ricordato come “Papa della pace”. E l’esempio, emblematico anche della capacità di un uomo di umili origini di esercitare una grande influenza morale sugli uomini più potenti della terra.
Questo è in sintesi ciò che tratta il volume di ben 377 pagine, corredato anche da un ampia documentazione fotografica, primo della Collana “Archè”, opera del Dott. Sante De Angelis, con l’autorevole presentazione del Card. José Saraiva Martins. «…Quale Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi – scrive il Cardinale nella presentazione del libro di De Angelis – ho avuto il privilegio di seguire passo passo, la sua “causa” per la beatificazione (con inclusa la stessa celebrazione presieduta da Giovanni Paolo II nel 2000, durante il Grande Giubileo) e per la canonizzazione poi (terminata quest’ultima dal mio successore); ho avuto la possibilità di leggere e rileggere appassionatamente la sua intera “Positio”, e mi sono date anche alcune personali definizioni di papa Giovanni: “un galantuomo, un bravo e santo cristiano che ha vissuto fino in fondo la sua vita di sacerdote, di vescovo e di papa in maniera assolutamente normale”, “un papa che ho tanto amato”, “un amico degli uomini e dell’umanità”. Questo è stato ed è per me Giovanni XXIII, terziario francescano pacifico e pacificatore in un mondo diviso in un profondo stato di disordine. Ed ancora: l’uomo dell’incontro tra i popoli in conflitto e mediatore intelligente alla ricerca della pace in un difficile contesto di crisi internazionale. La mente corre all’inizio del suo pontificato –continua Saraiva Martins – erano i tempi della guerra fredda. Il nuovo Papa, appena eletto, come il nostro Sante De Angelis, ci racconta in questo suo libro, scoprì la diplomazia vaticana non sufficientemente attiva nei confronti dell’area europea orientale politicamente comunista. Si temeva che un rapporto diretto della diplomazia vaticana con quei governi avrebbe significato aggirare e tradire la cosiddetta Chiesa del silenzio e stringere la mano ai suoi persecutori. D’altra parte quella vasta porzione di cristianità tagliata fuori da ogni contatto con Roma costituiva l’acuto e struggente tormento di un padre, come papa Giovanni, consapevole di avere una moltitudine di figli privati della libertà di esprimere ed esercitare la propria fede. È da questa grave preoccupazione che Papa Roncalli dette il via alla paziente e progressiva stagione del disgelo nei confronti dell’area comunista. Il primo segnale davvero incoraggiante arrivò nel 1961, tre anni dopo la sua elezione. Era il 25 novembre quando il Segretario del partito comunista dell’Urss, Nikita Krusciov, dal Cremlino fece arrivare in Vaticano, tramite l’ambasciatore sovietico a Roma Kozyrev, un sorprendentemente caloroso messaggio augurale per l’ottantesimo compleanno di Giovanni XXIII. Un fatto assolutamente insolito ed insperato. Il Papa pensò e decise – sottolinea l’eminente porporato portoghese, nella sua presentazione – di scrivere un’enciclica che aprisse l’inizio a un’approfondita riflessione sulla pace nel mondo, al fine di svilupparne la cultura… ».
«La sua dedizione per la pace, infatti, – continua l’Autore – si colloca in un’antitesi profonda alla guerra, da lui considerata come il peggiore dei mali. Egli ha conosciuto la guerra da vicino e ha vissuto in prima persona gli odi nazionalistici nei Balcani e i drammi della Seconda Guerra Mondiale. Riprendendo dai suoi predecessori il tema del disarmo nell’enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII interruppe una tradizione secolare: l’enciclica fu indirizzata a “tutti gli uomini di buona volontà” e non solamente ai cattolici… Per la prima volta nella storia un papa si prefissò l’obiettivo di unire il mondo in una sola grande famiglia di popoli solidali e concordi nel promuovere pacificamente il bene comune e universale. Fino a quel momento la dottrina cattolica, quando parlava di bene comune, intendeva abitualmente il bene comune con specifico riferimento a singole comunità nazionali o a singoli Stati. Con la Pacem in terris il pontefice introdusse una visione più ampia di bene comune, cioè il bene comune universale a cui devono tendere tutte le comunità nazionali e internazionali con gradualità. Intorno a questi argomenti ho cercato – conclude De Angelis – di analizzare la documentazione disponibile e di ricostruire lo sfondo politico, storico e culturale in cui si svolse l’azione di Giovanni XXIII al fine di comprendere l’importanza e l’efficacia della sua condotta. Il ruolo svolto dal papa fu, tuttavia, ignorato dalla storiografia fino al 2000, anno dell’apertura degli archivi sovietici. Grazie a queste nuove testimonianze è possibile affermare che Giovanni XXIII giocò un ruolo determinante nel superamento di uno dei momenti più critici della storia del Novecento. Non possiamo sapere cosa sarebbe potuto succedere in caso contrario, ma abbiamo la certezza che l’azione politica e il coinvolgimento personale di questo grande papa siano serviti per riportare alla luce l’importanza dell’azione diplomatica di un’istituzione che ha una lunga tradizione nella storia delle relazioni internazionali, nella mediazione dei conflitti e che non viene mai adeguatamente tenuta in considerazione».
Viva soddisfazione per il volume “La Pace inaspettata di Giovanni XXIII – Il Papa che impedì l’olocausto nucleare” è stata espressa, tra gli altri, oltre che dal Presidente Onorario dell’Accademia Bonifaciana Card. José Saraiva Martins (che ha curato la presentazione), dal Presidente del Comitato Scientifico Mons. Enrico dal Covolo, dal Presidente Vicario Mons. José Manuel Del Rio Carrasco e dal Vice Presidente dello stesso prof. don Massimo Naro.