Sono trascorsi due anni. In realtà due anni e quattro giorni.
Ma alla vigilia di una festa, non è permesso morire. Figurarsi l’essere ricordati.
Nell’imminenza delle feste, tutti vogliono sentirsi dire che va tutto bene, che non ci sono malanni, né poveri, né guerre.
Era proprio questo che contraddistingueva Gino Strada e prima di lui la sua creatura.
La vera grandezza è quando riesci a stare sempre un passo indietro a quello che hai creato, senza usarlo come sedia per guardare la polvere degli altri.
E Gino Strada questo era: uno che sapeva benissimo che Emergency era e sarebbe restata grande e immortale e che lui era piccolo ed effimero, il che ha fatto di lui un grandissimo.
Non amava sentirselo dire e sicuramente non lo accetterebbe neanche ora e si infurierebbe anche dal posto dove se n’è andato.
E dobbiamo tener fede a questo suo grimaldello, nel ricordare Gino, perciò nell’andare mesti a cercare le ragioni della sua grandezza bisogna guardare non a lui, ma ad Emergency ed ai volumi galattici di dolore che ha alleviato e sta alleviando in questo cantuccio di galassia.
La regola era ed è: si cura tutti e il primo che mette steccati fra guerre giuste e guerre sbagliate, fra sofferenze “meritate” e sofferenze ingiuste è meglio che vada a selfarsi con un bimbo biafrano in braccio, così quando torna gli fanno l’applauso e gli dicono che ha un cuore grande.
Perché Emergency questo faceva e questo fa: schifa tutte le guerre e tutto quello che tutte le guerre fanno a tutti quelli che nelle guerre ci capitano: per destino, per scelta, per sciagura o per congiunzione astrale poco importa, lì, ad Emergency, si cura tutti.
E succede che quando ti dai una mission così banale e così immensa, poi la tua creatura tiene sempre ferma la barra sulla cura dei corpi ma inizia a diventare anche un totem per le anime.
Ecco, ad Emergency è accaduto questo, dal 1994 ad oggi: è diventata paradigma etico. Perché da rappezzare le pance maciullate dalle mine a dire che le mine assieme alle pance degli uomini maciullano la pancia dell’umanità il passo è breve.
E te ne accorgi solo quando ci metti la tigna che Gino Strada e i suoi ci mettevano. E ci mettono tutt’ora.
Ma Emergency e il dottor Strada nel trappolone della mistica pacifista un tanto al chilo non ci sono mai caduti: andava e va combattuta la guerra e alla guerra solo la guerra puoi fare.
Stroncando per quanto possibile le sue mire, ridando un sorriso in Angola, attaccando una gamba nei Balcani, sistemando una mascella in poltiglia in Libia, ricucendo una palpebra in Ucraina. Tampinando la bestia con la falce con il cannone in ogni angolo del mondo, togliendole il respiro, ammazzando la morte ogni volta che una vita spunta dalle marmaglie di sangue che la pazzia dell’uomo sperde per il pianeta.
Gino Strada ha fatto migliaia di figli, uno per ogni pinza da tenere, tampone da premere, arteria da suturare, baracca da pittare e sudore da spremere bestemmiando nelle polveri e nelle giungle di questo strano posto dove cerchiamo il progresso e ci dimentichiamo della civiltà. Dove ogni cristo deve essere per forza arruolato dalle fazioni che pescano nel suo mare.
E anche in questi giorni tutti i centri Emergency, da Milano a Roma, hanno rispettato il testamento di Gino.
Hanno inviato farmaci ospedalieri in Ucraina, sulla base delle richieste fatte dalle strutture in loco.
Hanno gestito i progetti dedicati a chi è arrivato in Italia, in fuga dalla guerra.
Hanno accolto, hanno offerto servizi di orientamento socio-sanitario e sociale, hanno assicurato assistenza psicologica perché quello che ti lascia in corpo e nella mente la guerra non va in vacanza.
Sono questi i volontari di Emergency, che non riporteranno in vita Gino ma tengono in vita quel che Gino Strada ha fatto.
E quando quel che fai ti sopravvive vuol dire che non sei morto, ma che sei solo andato un attimo a prendere nuove garze.
Le garze che Gino Strada e i suoi mettono sull’anima ferita di un mondo che, ad arruolarlo, proprio non ci è riuscito.
articolo a cura di Monia Lauroni