di Monia Lauroni
Il paradosso dell’atto estetico: essere razionale e insieme irrazionale. I luoghi ‘architettonici’ di Massimo Terzini richiamano le fessurazioni delle terre argillose. Sembrano progettate per la prima volta insieme però all’impressione di essere lì da sempre.
Trentuno tele, passate al setaccio cromatico. Le costruzioni pietrose di Terzini non restituiscono la “sofferenza” della materia esposta al processo di essiccamento; sono momenti in luogo che si astengono dal prefigurare la drammaticità del silenzio visivo.
Sono più un’ esigenza di confrontarsi con la pietra, pietra che diventa un tutt’uno con la Terra, nella sua accezione fisica e metafisica. Luoghi di origine, sviluppo e fine di ogni sguardo.
Grafemi di ombre filtrate dalle cromìe che giocano con la ragione. Seducono senza comprenderne il confine tra terra e terra, sono assenza di tempo col dovere d’esistere.
Giri lo sguardo intorno in cerca di una mappa, ma non la trovi. Solo gomitoli di pietre in un circuito vacante.
Sentieri brevi per approdi maestosi, senza vie di collegamento se non nelle percezioni di essere. In questi capolavori te ne stai lì, di fronte, per carpirne la prima pietra, la prima eco ma è solo un tentativo imbarazzante. Loro se ne stanno immobili, ti scrutano di sbieco e non si lasciano decomporre dal tempo e dagli sguardi. Fieri come fossero di seta.
Nessun frammento svela la stanchezza di esistere, nessuna fessura lascia intendere se a invecchiarli sia stata l’acqua o il vento. Vite estinte di chi li abitava improvvisamente tornano nella calma di quelle immagini raccolte, senza particolari intenzioni, né di raccontare né di mostrare le ossa.
Sono ‘solo’ ritratti di Terre senza imprevisti. Storie di fascinazione di paesi che si stringono e proteggono e che un po’ si assomigliano. Storie che finora non abbiamo ascoltato se non nella loro singolarità solitaria e sostanziale.
Qui entra il genio dell’artista, qui queste pietre in coro scaturiscono pulsioni profonde e contagiose. Al di sopra di ogni forza gravitazionale, al di sopra di ogni principio. La spazialità della mente che ordina, scompone, allontana e avvicina, teletrasporta la bellezza tattile ovunque ci siano sguardi attenti a quei dettagli d’immensità.
L’affidabile incertezza di essere stati ovunque, in quei posti che si corteggiano nella sfocatura del coraggio di resistere. La Ciociaria, e qualcuno in più che ci rassomiglia, come una parola onesta. Una sorpresa di forme, liquida come millenni di pioggia. Salda come un segreto.
Ogni luogo sembra parte dello stesso oggetto ma imprescindibilmente separato. Una mostra unica nella sua bellezza e nel suo messaggio. Metafore di visi di terre e pietra impastati di solenne bellezza. E di quella declinazione sottile che è unica di Massimo Terzini.