Venerdì prossimo 27 ottobre – a partire dalle ore 20.00 – il Velvet Pub di Roma, nel cuore del popolare quartiere di San Lorenzo, ospiterà la proiezione del film “We love everywhere” diretto dal giovane regista palianese Valerio Cecconi con protagonista Henoc Mboyo, anche lui di Paliano.
“Il 5 luglio del 2022 – raccontano Valerio e Henoc – siamo andati a Trastevere con l’intento di girare un film senza alcuna sceneggiatura, chiedendo a dei passanti di girare una scena al momento. Appena arrivati sul posto, ci siamo resi conto che non potevamo essere padroni di tutta quella vitalità: sarebbe stato impossibile per chiunque. Così abbiamo cominciato a osservare le strade, parlare con le persone, mangiare qualcosa: a fare quello che fanno i buoni antropologhi. Il caos regnava sovrano, non ci restava che accettarlo o tornare a casa. Siamo rimasti facendoci affascinare dalla strada; le parole sovrapposte della gente, i mille odori e le diverse etnie che popolavano le strade: ci fecero prendere coscienza che le nostre idee dovevano andare a pari passo con ciò che circondava. Ecco quindi l’abbandono della razionalità e l’indagine verso le zone più oscure della nostra mente. Una volta constatato questo, non ci restava che agire”.
“Agire – proseguono i due giovani – voleva dire camminare per le strade di Trastevere ed osservare ciò che ci circondava. La prima sera, dopo aver vagato per un paio di ore, abbiamo visto che c’era una mostra: una piccola stanza con alcuni quadri all’interno. Dopo aver letto “entrata gratis”, abbiamo agito; siamo entrati.
Mentre osservavamo un quadro, una signora sulla sessantina si è avvicinata a noi: stavamo guardando il suo dipinto. Abbiamo fatto due chiacchiere riguardanti il suo dipinto: un mare sullo sfondo, degli scogli in basso dove era presente un Super Santos che attivava l’attenzione per il suo colore rosso. Poi le abbiamo chiesto se potessimo girare una scena. La gentile signora è andata a dirlo al suo insegnante che si trovava sul posto, l’insegnante ci ha dato l’ok. Dopotutto, la mostra era formata dai dipinti dei suoi allievi. All’interno di quella piccola stanza, formata da molti dipinti e sculture, è iniziato il film“.
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“Da lì in poi, abbiamo girato molte altre scene, in diversi posti con molte altre persone: e la dinamica è stata sempre la stessa. Camminavamo per molto tempo e ci fermavamo solo quando entrambi eravamo maledettamente colpiti da qualcuno, poi cercavamo di girare la scena. Ci rendevamo conto che si trattava un atto di presunzione bello e buono, ma ormai avevamo le nostre certezze, sapevamo cosa stavamo facendo: scena dopo scena, la strada ci suggeriva dove dovevamo girare e con chi. Quindi non ci ponevamo nessuno domanda che potesse frenare il flusso che ci stava permettendo di realizzare il nostro primo lungometraggio”.
“Scrivere per mesi una sceneggiatura è comodo, certo; io – spiega Valerio – l’ho fatto e anche Henoc ha scritto storie e romanzi, e l’abbiamo sempre fatto in una scrivania. Ma scrivere per strada, anche quello ha i suoi vantaggi. Puoi vedere il volto di un uomo o di una donna che ti colpisce, fatti ispirare, scrivere in pochi instanti e poi chiedere a colui che ti ha inspirato di girare: è un’emozione davvero forte. La paura di avere pochi ciak (poiché non potevamo occupare locali per un’ora) ci dava la carica, e usavamo quella paura nelle scene; Henoc lo ha fatto più di una volta”.
“Dopotutto, essere degli esordienti ha i suoi svantaggi, non hai esperienza, non hai molto conoscenza sul campo e molte altre cose ancora. Quello che ti rimane, è la voglia di rischiare, di reinventare. Poiché solo un giovane artista può reinventare, all’esperto non resta che migliorarsi. Ecco il motore delle scene, quello che ci dava la carica, oltre chiaramente, l’energia che ci donava il posto. Proprio con il grande appoggio del posto, abbiamo potuto finalmente esprimerci, tirare fuori le nostre idee. Inoltre, abbiamo girato grazie a ciò che abbiamo appreso dai nostri insegnanti e dai film che abbiamo sempre amato. Una delle tecniche che abbiamo fatto gran uso: è stata quella di usare le nostre vite. La storia che stava vivendo il nostro personaggio: era figlia delle nostre vite personali“.
“Ecco quindi che il personaggio prende vita dalle nostre psicosi, dalle cose belle che abbiamo vissuto, dai rapporti che abbiamo con il mondo e molte altre cose ancora. Qualsiasi cosa potessimo usare, la usavamo. USED, come diceva il buon Stanlyhasky. Ecco quindi che abbiamo scavato a fondo nei nostri drammi. Senza mai fermarci, senza porci limiti a tal riguardo. Quello che ne venuto fuori, è il cinema che abbiamo sempre desiderato di fare. E non parlo perché abbiamo sfornato il nuovo Padrino; parlo di un cinema dove abbiamo osato e dove ci siamo immersi totalmente con la storia, un cinema dove la paura era nostra amica: si, magari uscirà una pessima scena, ma ci stiamo veramente divertendo, viviamo l’occasione e a dopo tutto il resto. Alla fine ne è venuto fuori un film sporco, dolce, presuntuoso e umile, il quale lascia spazio allo spettatore e allo stesso tempo pretende da lui partecipazione attiva durante la visione. Infine, il film vuole spronare i giovani affinché osino e sfruttino le tecnologie per poter fare il cinema che gli piace. Adattarsi è bello, ma farlo senz’anima ti riduce uno straccio“.
John Cassavetes: “Il prossimo film che faremo sarà qualcosa di molto personale. Non so se qualcuno lo finanzierà. Fortunatamente ora ho un po’ di soldi”.
“Cassavetes – concludono i due ragazzi – si è ipotecato più volte la propria abitazione per realizzare dei film che nessuno voleva produrre. Spesso ci ha rimesso molti soldi, e spesso ha imbrogliato i produttori dicendo che i suoi film avrebbero incassato, sapendo che non c’era speranza in tal senso. La nostra unica ambizione nel cinema è quella di essere John Cassavetes, anche solo per un’instate, esserlo per un ciak o due, sarebbe il massimo”.