di Filippo Del Monte
Il 2024 è un anno centrale per la storia dell’associazionismo industriale ed imprenditoriale italiano. Infatti, questo è un “anno elettorale” per Confindustria, che sta rinnovando la sua presidenza nazionale e molte altre cariche periferiche di vertice.
L’attuale presidente, Carlo Bonomi, lascerà la carica al candidato vincente tra quelli che si stanno sfidando: Edoardo Garrone ed Emanuele Orsini. Altri due candidati, Alberto Marenghi e Antonio Gozzi, sono fuori dai giochi; il primo perché ha deciso di ritirarsi, il secondo perché è stato escluso dai saggi, sembra per questioni perlopiù formali.
Eppure, sull’esclusione di Antonio Gozzi ci sarebbe da discutere. L’imprenditore ligure è presidente di Federacciai e patron di Duferco, di fatto l’unico “industriale” strictu sensu presente nella rosa dei candidati per succedere a Bonomi. Anche al livello di rappresentatività, Gozzi aveva ottenuto il sostegno delle associazioni di categoria della farmaceutica, della moda, del legno e dell’arredo, della chimica, della carta, del vetro, del cemento, delle fonderie, della meccanica, del gas e, naturalmente, dell’acciaio. In altre parole, il blocco dell’industria aveva deciso – e dalle lettere di protesta arrivate rispetto alla decisione di escludere per “vizi formali” la candidatura di Gozzi la decisione resta tutt’ora valida – di appoggiare un industriale.
Sarebbe stato un ottimo segnale se tra i candidati ammessi vi fosse stato un industriale dell’acciaio, anche in considerazione dei piani importanti che ha il governo di Roma sulla filiera, con investimenti importanti da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy sull’acciaio green e sulla produzione sostenibile, e dello stato disastroso in cui si trova il comparto nazionale a seguito della ben nota vicenda dell’ILVA.
Sembrerà strano, ma l’associazione degli industriali, Confindustria, pare essere incapace di volere un industriale al proprio vertice nazionale. Si tratta di una tendenza che appare consolidata, non è una questione legata strettamente al dopo Bonomi. È vero, lavoro ed economia in Italia sono cambiati nel corso degli ultimi anni, con i servizi che hanno preso il sopravvento sulla manifattura, ma il nostro resta un Paese principalmente manifatturiero, ed è nelle industrie che risiede la sua capacità di essere presente, con una posizione magari più “annebbiata” rispetto al Novecento, ma comunque forte, sui mercati internazionali.
Luca Cordero di Montezemolo, che di Confindustria è stato presidente nel quadriennio 2004-2008, a fine 2023 aveva chiesto a gran voce di lavorare affinché l’associazione degli industriali fosse rappresentata da un leader a capo di una azienda competitiva ed a vocazione internazionale. In caso contrario il rischio, secondo l’ex presidente della Ferrari, sarebbe quello di vedere Viale dell’Astronomia piombare in una crisi profonda di rappresentanza e di autoreferenzialità.
Un giudizio condiviso, con parole diverse, da “Il Foglio”, che ha evidenziato come l’esclusione dalla corsa di Gozzi ed il ritiro della candidatura da parte di Marenghi siano due indicativi campanelli d’allarme sulla “paura” di Confindustria per il confronto interno. Ma quello che il giornalista de “Il Foglio”, Alberto Mingardi, giustamente si è chiesto è: “Se un’associazione come quella degli industriali ha paura dello scontro interno, come può pensare di essere presa sul serio nella dialettica con le altre parti sociali?”; una domanda a cui si dovrebbe rispondere.