di Monia Lauroni
Narrare miglia e miglia di strada. Strada da percorrere, strada per crescere, strada di fatica, strada di generazioni. E famiglie che grazie a quelle strade sono sopravvissute alle crisi, alle mancanze, alla disoccupazione che attanaglia. Narrare queste strade nel loro quotidiano, attraverso i sacrifici, il racconto degli imprenditori, il lavoro dei dipendenti, la cultura di un territorio. Quel territorio che che ti lasci alle spalle su un mezzo pesante e poi torna ad essere tuo alle primi luci dell’alba.
Le riconosci da lontano quelle luci, in mezzo a tante c’è la tua casa, la tua impresa che ti spetta come una famiglia. E che è famiglia. Narrare tutta questa vita sotto forma di cortometraggio, trenta minuti appena per dire tutto, per far capire tutto. Trenta minuti per narrare un’impresa. L’impresa di essere ‘impresa’ e l’impresa di avercela fatta.
E quando l’impresa è quella degli Autotrasporti Pigliacelli il compito da una parte si complica dall’altra prende la piega naturale delle cose grandi.
Nella Casa del Cinema di Roma si sono svolte le premiazioni del Premio Nazionale Film Impresa, un evento nato su impulso di Unindustria Lazio con il supporto di Confindustria e che come Presidente ha l’Ad di Medusa Film Giampaolo Letta.
Una menzione speciale come miglior film inedito non in gara è stata assegnata al cortometraggio ‘Cerca di tornare’.
La storia raccontata attraverso le vite e le persone della grande ‘famiglia’ Pigliacelli in cui la produzione e l’idea sono state del giovane Romano Pigliacelli con la regia di Nicolò Donnantuoni.
‘Cerca di Tornare’, una delle frasi che l’indimenticato Romano Pigliacelli diceva ai suoi lavoratori prima che macinassero chilometri. La stessa frase che avrebbe detto un padre, un fratello, un figlio. Insomma una famiglia che ti aspetta e questo è in concetto supremo della Ditta Pigliacelli.
Chilometri che tornano utili solo se portano pane sulla tavola di un dipendente. E’ stato sempre così, dal primo rombo del motore di un camion che dava lavoro. Con le idee, con l’impegno con il sudore. Una famiglia che tiene in piedi famiglie, tante famiglie, raccontata dai lavoratori/figli.
Figli/lavoratori di imprenditori con le mani più sporche della loro ciurma, imprenditori che danno l’esempio, comandanti che fanno viaggiare il plotone alla velocità del suo uomo più lento. Così nessuno rimane mai indietro e, assieme alla ricchezza, arriva pure la coscienza tranquilla.
Sudando l’anima, il cognome Pigliacelli è diventato una specie di marchio di fabbrica. Una sorta di garanzia etica a prescindere, oltre ad essere un punto fermo dell’imprenditoria frusinate.
Questo riconoscimento è una lode ad un mondo che, da Sisto a Romano, passando per Elio, per tutti gli altri e fino a Marcello, continua ad insegnare che l’imprenditoria, il successo, senza il senso di familiarità che unisce il sudore alla gloria sono roba asciutta. Roba inutile, roba che con i Pigliacelli non c’entrerà mai nulla, perché loro sono impresa proprio perché sono famiglia.