di Monia Lauroni
Un’epifania carnale, quasi un Vangelo spurio e tuttavia così sofferto da farsi canone. Canone su canone, quello della Maria Salome venerata dai verolani e quello delle Marie evocate da una sontuosa Benedetta Giuntini.
Complementare alla sacralità dovuta eppure meravigliosamente eccentrica rispetto alla sola accezione in purezza evangelica.
‘Sei proprio tu Salome?’.
Era lei, erano loro. Tutte le Salome di carne, di occhi, di sangue, di passione.
Un’ interpretazione apocrifa e sacrale nel buio del sottosuolo.
Marie cosparse di unguenti di vita, quella di Cristo e quella dei Cristi di oggi. Cieche d’amore e fiammeggianti di desideri.
Dove non giunge mai luce e mai luce avrebbe trovato il suo varco che le parole scritte da uno straordinario Davide Rondoni, hanno inciso, scardinato, sovvertito le Sacre Scritture.
Un nuovo capitolo e ritorno. La Salome Giuntini estasiata, furibonda, seducente, cristallizzata, suora, donna contro un pudore scettico di capelli raccolti e perduti.
Abiti e pensieri consapevoli di essere lei, Salome, anima pura e anima persa morta e guarita, guarita e morta. Entrambe finite
nello stesso posto. Nella stessa allitterazione della mente.
Stoffa sottile, piedi di polvere. Capo coperto, va via senza girarsi.
Tutto era già in cammino, da allora. Tutto era qui, sacro
e perduto, nostro e remoto.
Tutto chiedeva di essere atteso, di tornare oggi nel suo vero nome.
‘Sei proprio tu Salome?’
‘Sei proprio Tu, Salome?’