Un incubo senza fine
Da oltre 33 mesi, Maurizio Cocco, ingegnere italiano, è rinchiuso nel carcere di Abidjan, in Costa d’Avorio. Una prigionia iniziata il 2 giugno 2022, quando è stato accusato di traffico internazionale di droga, associazione a delinquere e riciclaggio. Nonostante abbia sempre dichiarato la propria totale estraneità ai fatti contestati e nonostante le prove a sua discolpa, il calvario giudiziario non si è mai concluso.
Dopo 18 mesi di detenzione preventiva, le accuse più gravi sono cadute, ma è stato comunque processato per frode fiscale e condannato a 24 mesi di reclusione. Tuttavia, denuncia lo stesso Cocco, nessuna indagine approfondita è mai stata condotta né su di lui né sulla società di costruzioni di cui era amministratore.
La libertà negata
Dopo 26 mesi trascorsi tra sofferenze e condizioni disumane, Maurizio Cocco aveva finalmente scontato la pena. Eppure, nel giorno in cui si preparava a uscire dal carcere, è arrivata la doccia fredda: la scarcerazione è stata bloccata a causa di una nuova indagine per riciclaggio.
Quando è stato convocato dal giudice, si è visto mostrare delle foto di proprietà che gli sarebbero appartenute, pur non possedendo alcun bene in Costa d’Avorio. Dopo aver chiarito la sua posizione, ha richiesto almeno la libertà provvisoria. La prima richiesta è stata respinta, ma insistendo è riuscito ad ottenere un parziale successo: la cauzione è stata inizialmente fissata a 1,5 milioni di euro, poi ridotta a 300.000 euro. Una cifra comunque esorbitante, soprattutto se confrontata con quella pagata da altri detenuti per le stesse accuse, che hanno ottenuto la libertà con 100.000 euro.
Un grido di aiuto dalla prigione
Le condizioni di Maurizio Cocco peggiorano di giorno in giorno. Ha perso quasi 20 chili, soffre di gravi problemi respiratori, cardiologici e gastroenterologici, certificati dai medici, e vive in un ambiente insalubre e degradato. Nel carcere di Abidjan, spesso manca l’acqua e la luce elettrica, e il cibo è insufficiente. Gli unici pasti che riceve gli arrivano dall’esterno, grazie ai sacrifici della sua famiglia. Le cimici e le zecche infestano la sua cella, aggravando ulteriormente una situazione già insostenibile.
In una lettera toccante, l’ingegnere italiano rivolge un accorato appello all’opinione pubblica: “Non capisco il perché di questa ingiustizia sulla mia persona. Aiutatemi a uscire da questa situazione, voglio sia fatta chiarezza e giustizia”.
Chi intende partecipare alla raccolta fondi per aiutare Maurizio, può farlo attraverso questo link.