Nel corso di un’affollata conferenza stampa che si è tenuta ieri mattina – venerdì 21 febbraio – alla Curia Iulia dei Fori imperiali, nel cuore della Capitale, il direttore del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo e, con lei, l’équipe di archeologi ed architetti che ha partecipato al progetto, hanno presentato i risultati dello scavo che ha portato al rinvenimento di un vano ipogeo posto proprio al di sotto dell’area di accesso della Curia. Si tratta dei primi risultati degli scavi che hanno riportato alla luce un monumento del Foro Romano di cui si erano perse le tracce ormai da un secolo. “Un monumento funerario realizzato in un periodo successivo alla morte di Romolo, per celebrarne il culto e la memoria”, ha spiegato la dott.ssa Russo nel corso della conferenza.
Anni di ricerca, di valutazione attenta e di analisi dei dati da parte di un team di archeologi, architetti e restauratori del Parco archeologico del Colosseo sono stati necessari per raccogliere il testimone lasciato 120 anni fa da Giacomo Boni, il primo a dare notizia del vano ipogeo inglobato nel portico della Curia Iulia.
Tutto è partito dallo smontaggio della scalinata realizzata negli anni Trenta dal suo successore, Alfonso Bartoli, per dare accesso alla Curia: il successivo, meticoloso lavoro di scavo, la attenta rilettura delle fonti antiche e della documentazione di archivio, sostenute dai rilievi al laser scanner hanno fatto il resto, portando alla riscoperta dell’ambiente sotterraneo.
Ma non solo: al suo interno sono riemersi una base circolare e il sarcofago in tufo del Campidoglio, nel quale erano conservati i materiali ristudiati dall’archeologo Paolo Carafa.
Per quanto riguarda Alfonso Bartoli, sopra citato, deceduto nel 1957, c’è da dire che ha condotto importanti studi di carattere epigrafico e topografico nella provincia di Frosinone; in particolar modo, si è soffermato sullo studio dell’acropoli della città di Ferentino che per conferirgli il giusto riconoscimento alcuni decenni fa gli ha intitolato una via.
Di seguito, riportiamo – integralmente e senza modifiche – la nota stampa distribuita ai rappresentanti degli organi di informazione nel corso della conferenza di presentazione:
Nel 1898 Giacomo Boni, veneziano, archeologo illuminato venne chiamato dal Ministro Boselli a dirigere gli scavi al Foro romano. A lui si devono importanti scoperte nel Foro, come il Niger Lapis e il Comizio, e sul Colle Palatino.
Fu il primo a portare avanti un progetto sistematico di scavo e valorizzazione dell’area archeologica centrale.
Nel 1899 individuò, a pochi metri dal Lapis Niger e dal Comizio, presso il portico d’ingresso della Curia Iulia, una cassa o vasca in tufo e un tronco di cilindro, come lui stesso brevemente descrive nella rivista Notizie degli Scavi di Antichità data alle stampe nel 1900. Queste le sue parole: “… a m. 3,60 dal nucleo della gradinata, trovasi una cassa a vasca rettangolare in tufo, lunga m. 1,40, larga m. 0,70, alta m. 0,77, di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro di tufo, del diametro di m. 0,75”. Lo studioso specifica inoltre che “La cassa di tufo conteneva ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano, una certa quantità di valve di pectunculus (conchiglie) e un pezzetto d’intonaco colorito di rosso”. In quello stesso articolo ne indica anche il posizionamento pubblicando una lunga sezione che correla questo ritrovamento con le strutture archeologiche pertinenti il complesso ipogeo, appena scavato, del Comitium-Niger Lapis.
A questo rinvenimento Boni non attribuì una particolare importanza tanto che se ne perse la memoria e l’esatta ubicazione.
Di questo contesto rinvenuto da Boni ne dà notizia nel 1998 Paolo Carafa nel fondamentale lavoro “Il Comizio di Roma dalle origini all’età di Augusto” e nel quale fa riferimento anche ai materiali rinvenuti all’interno da Giacomo Boni.
Era inoltre possibile che quanto scavato da Boni potesse essere andato distrutto, considerato che negli anni ’30 del 1900 al di sopra del rinvenimento di Boni era stata realizzata una monumentale scalinata di accesso costruita da Alfonso Bartoli, che demolita la chiesa di S. Adriano, durante i lavori di restauro, condotti tra il 1930 e il 1939, rimise in luce le strutture della Curia di età romana.
A 120 anni di distanza gli archeologi del Parco archeologico del Colosseo, in particolare Patrizia Fortini, ristudiando la documentazione di scavo di Giacomo Boni, hanno intuito l’importanza del rinvenimento, trattandosi di un vano ipogeo, come desunto dai disegni di Boni, con all’interno un sarcofago quello che Boni denomina cassa o vasca. Un monumento quindi ubicato in un luogo fortemente simbolico per la vita politica di Roma, data la prossimità al Comizio, luogo di assemblea dei cittadini, sede di culti antichissimi e adattato alle grandi trasformazioni della città di Roma.
Nel mondo greco e magno greco, come ad esempio a Poseidonia-Paestum, proprio nel centro politico della città, in questo caso l’agorà, viene realizzato un monumento, una tomba simbolica, dedicata al fondatore mitico della città.
Nel novembre del 2019 si è avviato il cantiere di scavo archeologico, con lo smontaggio della scala Bartoli finalizzato anche a riproporre filologicamente l’antico accesso con Portico alla Curia Iulia.
Ma con grande emozione lo scavo ha portato al rinvenimento del vano ipogeo così come l’aveva descritto Boni, intatto, dietro una tamponatura in mattoni risalente al restauro della Curia degli anni 30 del 1900 di Alfonso Bartoli.
Con nostra sorpresa, abbiamo constatato che lo stesso Bartoli aveva risparmiato il vano ipogeo costruendo dei pilastrini in mattoni e un solaio in travi di ferro e tavelloni forati.
Tutto il vano e l’area del portico della Curia sono stati puntualmente documentati attraverso un rilievo in Laser scanner in 3D. Sul fondo è visibile il sarcofago realizzato in tufo del Campidoglio, cava tra le più antiche di Roma. Accanto un elemento circolare sempre in tufo del Campidoglio. Sui lati sud e ovest sono visibili blocchi di tufo grigio o cappellaccio.
Lo scavo archeologico riprenderà alla fine di aprile e credo ci saranno ulteriori sorprese, in quanto è evidente sul lato occidentale del vano una sezione stratigrafica intatta.
Inoltre, grazie a Bartoli che ha lasciato una breve nota pubblicata poi nel volume postumo del 1963 e grazie a disegni di archivio sono state individuate due botole nella Curia, in asse con il vano ipogeo, che doveva essere più ampio di quello che oggi noi vediamo in quanto tagliato dalle fondazioni della Curia Iulia di età cesariana. Nelle botole infatti sono visibili una serie di blocchi monumentali in tufo, forse appartenenti alla parete di chiusura del vano ipogeo.
Allo stato attuale possiamo affermare che il sarcofago e l’elemento cilindrico collocati sul piano di calpestio del piano ipogeo sono in quota, e, dunque, probabilmente in fase con i Rostra della fine del VI secolo a.C.
Alcuni scrittori antichi menzionano il Lapis Niger come luogo da correlare alla morte di Romolo, oltre che luogo di sepoltura di due altri personaggi emblematici: Faustolo, padre adottivo di Romolo e Remo e Osto Ostilio, nonno del re latino Tullio Ostilio, (673-641 a.C.), tutte figure fortemente correlate alle origini di Roma.
Tra tutte le fonti un rilievo particolare assumono gli scoliasti di Orazio (Epodi, XVI) che riportano un’affermazione di Varrone, secondo il quale Romolo sarebbe stato sepolto dietro ai Rostra, proprio nella stessa posizione in cui è stata rinvenuta la camera ipogea appena ritrovata.
L’ubicazione del rinvenimento raffrontato con questa fonte letteraria rende del tutto verosimile che possa trattarsi di quella che gli antichi romani consideravano la Tomba di Romolo, non il luogo di sepoltura poiché secondo alcuni autori antichi (Plutarco Romolo, 27, 6) i senatori riuniti avrebbero ucciso Romolo e smembrato il suo corpo, mentre altre tradizioni narrano della sua assunzione in cielo (Livio e Plutarco).
Si tratterebbe dunque di un monumento funerario realizzato, in un periodo successivo alla morte di Romolo, per celebrarne il culto e la memoria.
In conclusione, questo rinvenimento consentirà di dare nuova luce alla storia di Roma e di costituire una tappa fondamentale, un luogo della memoria delle origini della città eterna, nei futuri percorsi di visita del Foro Romano.