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    Home » Fruttivendolo e terrorista, espulso cittadino egiziano: gestiva assieme al fratello un negozio a Colleferro
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    Fruttivendolo e terrorista, espulso cittadino egiziano: gestiva assieme al fratello un negozio a Colleferro

    oltre alla vendita di frutta e verdura, l'uomo - 31 anni - si era dimostrato pericoloso per la sicurezza dello Stato in quanto esaltava la Jihad e attacchi suicidi in nome dell'Islam
    30 Dicembre 20233 Mins Read
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    Inneggiava alla Jihad e predicava attacchi suicidi in nome della religione islamica e per questo era ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato. Ma grazie ad un ricorso al TAR era riuscito a scamparla; almeno fino a ieri l’altro, giovedì 28 dicembre 2023, quando – grazie ad un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – è stato rimandato in patria.

    Ibrahim Fetouh Moustafa Matar, questo il nome del 31enne egiziano, cercava proseliti dal suo negozio di frutta e verdura di Colleferro. Lo scorso anno era stato tratto in arresto dai Carabinieri del ROS insieme al fratello maggiore Hathem, ancora in carcere per terrorismo, è stato rimandato in patria. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, il 31enne propagandava lo Stato islamico esaltando azioni terroristiche per stabilire la supremazia dell’Islam.

    A rintracciarlo a Modena, l’altra sera, sono stati gli agenti della DIGOS in un’operazione congiunta portata a termine in collaborazione con i colleghi di Modena, la Direzione Centrale Polizia di Prevenzione e la Direzione Centrale e l’Ufficio dell’Immigrazione; inizialmente lo avevano cercato – senza esito – nella casa di Valmontone, dove viveva ospite della cognata.

    Colleferro dall’alto

    Il suo arresto e quello del fratello più grande ebbe luogo a giugno dello scorso anno; da Colleferro, dove i due gestivano un negozio di frutta e verdura, erano impegnati a fare proselitismo per l’Islam violento collegato all’organizzazione terroristica denominata “Stato Islamico”.

    Hathem, 38 anni, il più grande dei due, viveva più o meno stabilmente in Italia circa venti anni. Quando gli agenti irruppero nella sua abitazione, rinvennero – nelle sue disponibilità – numerosi video con istruzioni tecniche per attentati, tra cui “l’enciclopedia degli esplosivi” o la “distruzione della Croce”, con “corsi” finalizzati all’uso di pistole e armi convenzionali e non, di gas velenosi, detonatori e sostanze incendiarie, il tutto – come si leggeva nel capo di imputazione – “per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali“. “Se Dio vuole andremo a combattere con lo Stato Islamico”, “O vita con onore o morte che irrita i nemici”, scriveva nella pagina denominata «Casa mediatica di guerra Roma».

    Ritenuti “combattenti virtuali” dello Stato islamico, i due fratelli – già da diversi anni – erano nel mirino delle Forze dell’Ordine che ne monitoravano sia i movimenti e gli spostamenti in giro per l’Italia che i loro rispettivi profili social dai quali uno dei due aveva espresso sentimenti di giubilo per lo sgozzamento di un giornalista americano nel 2014.

    Per entrambi – dopo il fermo – venne richiesta subito l’espulsione. Ma un ricorso al T.A.R. del Lazio bloccò tutto, accogliendo la richiesta dell’avvocato dei due fratelli secondo il quale qualora Hathem e Ibrahim fossero stati rimpatriati per un’accusa tanto grave qual era quella di terrorismo, nelle carceri egiziane sarebbero stati torturati cadendo così vittime di un regime non garante dei diritti umani.

    Trascorso un anno, Hathem si trova ancora rinchiuso nelle carceri italiane; suo fratello, invece, tornato in libertà alcuni mesi dopo, è stato ora rimpatriato grazie al provvedimento emanato direttamente dal Viminale per pericolo per la sicurezza dello Stato.

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