Undici giorni trascorsi in un ospedale della Capitale dopo aver mangiato una frisa – una sorta di pane biscottato a forma di ciambella, tipico della cucina pugliese – ammollata in acqua di mare e poi condita con pomodori, mozzarella, olio e olive.
I sintomi, manifestatisi a partire dal giorno successivo (crampi addominali, vomito, diarrea con sangue, e febbre nella fase iniziale del contagio) non hanno lasciato margini di dubbio ai medici che l’hanno preso in cura: grave infezione da Escherichia coli provocata dall’ingestione di acqua contaminata da batteri fecali.
È quanto accaduto ad un ragazzo di 27 anni residente ad Anagni, ora fuori pericolo e di nuovo a casa dopo la brutta avventura che gli è capitata alcuni giorni fa mentre si trovava in vacanza tra Anzio e Lavinio con alcuni amici. Il giovane, studente fuori corso, assieme ad altre quattro o cinque persone stava prendendo parte ad una gita in barca a qualche centinaio di metri dalla costa; a ora di pranzo, dal contenitore ermetico isotermico gli amici tirano fuori ogni genere di pietanza: dalla pasta fredda al prosciutto e melone, dall’anguria al gelato, al caffè freddo. Tra le varie leccornie, anche qualche frisa, da condire ognuno a piacimento con pomodoro fresco, tonno, olive e altri gustosi intingoli.
Uno degli amici propone di ammollare le frise in acqua di mare, con lo scopo – nefasto, si vedrà dopo – di dare alla pietanza quel naturale accento di gusto “salino” che ben si accompagna con questo prelibato prodotto gastronomico tipico fatto di farina di grano duro cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e fatto biscottare nuovamente in forno.
Tutti – nessuno escluso – accolgono l’idea con entusiasmo e senza farsi troppi problemi calano le proprie frise in mare, in quel tratto particolarmente limpido e cristallino e lontano dalla costa affollata di turisti, ma non dalle altre barche che bivaccavano tutt’intorno: pochi secondi, giusto il tempo di ammorbidirla un po’. Una volta tirata fuori, una breve scrollatina per rimuovere l’acqua in eccesso e via con l’operazione di condimento: chi l’arricchisce con tonno, chi con pomodori freschi o conditi e olio, chi con altro. Il sale – forse per dimenticanza, forse perché reputato inutile (visto che il mare ne è pieno) – era stato lasciato a casa. La frisa – del resto – in Puglia, così come in altre regioni d’Italia, è nata per essere il pane dei pescatori e dei marinai e per essere «sponzata» in mare e condita alla bell’e meglio con qualche pomodoro e un po’ di pesce.
Il giorno successivo alla gita in barca, uno degli amici avverte i primi sintomi che, dopo qualche ora si accentuano provocando dolori insopportabili. Da qui, la corsa in ospedale e il trasferimento in un nosocomio attrezzato della Capitale, dove al giovane è stata diagnosticata un’infezione da Escherichia coli.
Tenuto in isolamento e curato per diversi giorni fino alla sua completa guarigione, è stato poi dimesso facendo ritorno a casa. Nessun problema e nessun sintomo – invece, fortunatamente – per gli amici che erano con lui e che come lui avevamo mangiato la frisa intinta nell’acqua di mare.
LA PAROLA ALL’ESPERTO, IL DOTT. VITTORIO CERASARO
“L’Escherichia Coli è un batterio che può provocare diversi tipi di infezione – spiega il dott. Vittorio Cerasaro, medico in formazione in Medicina interna, ad anagnia.com – nel caso delle infezioni alimentari la trasmissione avviene a livello oro-fecale attraverso l’assunzione di prodotti alimentari o acqua contaminata“.
“Il batterio con le sue tossine – spiega ancora il dott. Vittorio Cerasaro -provoca un danno a livello intestinale e rappresenta una delle prime cause di diarrea infiammatoria che si caratterizza per il sovvertimento della naturale struttura fisiologica dell’intestino tenue. A livello sintomatologico si traduce con diarrea, febbre, malessere generale fino a sfociare in un grave quadro di disidratazione. La risoluzione della sintomatologia avviene attraverso una corretta terapia di supporto idro-elettrolitico e una terapia antibiotica che, nei casi più gravi, può prolungarsi anche per più di 7/14 giorni. Rimane, dunque, fondamentale – conclude il dott. Vittorio Cerasaro – osservare attentamente le più scrupolose norme igienico-sanitarie“.