di Martina Pirosini
Da un recente articolo del nostro cultore di storia pigliese Giorgio Alessandro Pacetti, abbiamo letto che nel 1970 a Piglio vennero girate alcune scene del film “Brancaleone alle Crociate”. L’evento richiamò molti curiosi del posto, anche dai paesi limitrofi, per non perdersi l’occasione di vedere dal vivo le Star del cinema italiano.
Ho avuto la fortuna di intervistare un concittadino, il signor Giorgio Ceccaroni, che partecipò alle riprese come comparsa: “dovetti restare all’Arringo fino all’una di notte insieme ad altri quattro o cinque compaesani perché serviva il buio per girare la scena della schiava bruciata viva che, tra l’altro, era una ragazza di Piglio…“
La scelta della location non ricadde in un posto qualunque ma sul Rione Arringo, uno degli angoli più suggestivi del paese, che conserva tuttora il misterioso fascino medievale. La località è così chiamata perché nel Medioevo vi si svolgevano le arenghe, ovvero le assemblee pubbliche del Castrum Pilleum (antico nome del paese). Il rione dà anche il nome alla porta omonima, situata sul lato sud-orientale. La Porta dell’Arringo è uno dei quattro ingressi da cui si poteva accedere nel borgo attraverso la cinta muraria.
“L’atmosfera era davvero incantevole -riprende Giorgio – sembrava di essere realmente tornati nel Medioevo grazie alla scenografia. D’altronde, gl’Aringo si prestava già da sé all’ambientazione d’epoca”.
L’Arringo viene chiamato dai pigliesi anche Porcopoli in quanto, sul pendio del monte alle sue spalle, fino a pochi decenni fa vi erano le cosiddette starelle (si legge con la “e” chiusa), ovvero delle piccole casette che fungevano da ricovero per i maiali e che, in occasione delle riprese, vennero illuminate con luci e candele, creando un’atmosfera davvero fiabesca.
La contrada è anche nota come Glio Cemeterio. È risaputo che nel Medioevo i morti venivano sepolti sotto le chiese. A Piglio tutte le chiese fungevano da luogo di sepoltura dei nostri avi. Presso l’Oratorio di San Nicola, per esempio, venivano sepolti i bambini. Il sito dell’Arringo costituì invece il primo cimitero situato al di fuori delle mura del castrum.
Non solo maiali, Monicelli cercava un asino per il set da affiancare a Vittorio Gassman, nelle vesti di Brancaleone. Si rivolse al bisnonno della scrivente, Alfredo Noro (Alfredo Micitto), il quale però si rifiutò di dare in prestito al famoso regista il suo Batticchiocchi, cui era particolarmente affezionato. La scelta ricadde così su un altro asino di proprietà di un tale Oreste Sciacquetta.
“L’attesa fu lunga, ma ritrovarsi a pochi metri da Stefania Sandrelli, Paolo Villaggio, Vittorio Gassman è stato davvero emozionante. Inoltre – prosegue Giorgio con tono spiritoso – mi guadagnai 5 lire, a dispetto dei miei amici che se ne stavano in disparte a burlarsi di me. Ho detto loro che avrebbero potuto partecipare alle riprese e guadagnarsi qualche lira senza fare nulla di faticoso, invece di starsene lì a guardare”.
Successivamente Monicelli li condusse in un’altra zona del paese, anch’essa storicamente legata all’Età di Mezzo: l’Abbianova (Via Nova). L’antica via in pendenza lambisce la graziosa Chiesa di Sant’Antonio Abate, quest’ultima un tempo era l’ospedale del Castrum Pilleum. Il tracciato corrisponde a un breve tratto della Via Francigena Sud e attraversa il borgo di Piglio, congiungendo la Chiesa di San Rocco-Madonna della Valle con la Chiesa della Madonna del Monte.
Sin da tempi immemorabili e soprattutto nel Medioevo il tragitto costituiva una delle vie più battute della transumanza e del pellegrinaggio, in quanto metteva in collegamento il Lazio con l’Abruzzo. Il percorso consentiva a pastori, cavalieri, pellegrini e mercanti di recarsi dall’Appennino a Roma oppure dall’agro romano e pontino in Abruzzo da cui questi antichi viandanti potevano raggiungere i porti della Puglia per imbarcarsi verso la Terrasanta.
È molto probabile che Monicelli fosse stato attratto dalla bellezza selvaggia del posto o che il suo estro geniale e artistico avesse intuito il richiamo storico dell’Abbianova, ancora oggi percorso annualmente dai devoti delle Compagnie della Santissima Trinità.
“Insieme ad altre comparse – riferisce ancora Giorgio – mi condussero all’Abbianova dove girammo un’altra scena: questa volta dovevamo trasportare a spalla una grande barca di legno. Credevo fosse di cartapesta, così come lo erano alcuni oggetti che utilizzavamo per la scenografia (le spade, per esempio). Invece, non era affatto finta! La barca era piuttosto pesante e dovetti sopportare quel peso per tutto il tempo della registrazione, con gli abiti di scena… ma ne valse davvero la pena per il ricordo che conservo con gran piacere”.
La pellicola di Mario Monicelli non fu l’unica occasione in cui Piglio si trasformò in una piccola Cinecittà. Nel 1973 i riflettori si accesero di nuovo sul piccolo borgo ernico: Alberto Sordi e il regista Stefano Vanzina scelsero il Convento di San Lorenzo per girare la scena d’apertura del film “Anastasia mio fratello”.
“Sordi conosceva Piglio perché la sua governante era pigliese”, mi raccontò la signora Ennia Giorgi, classe 1926, zia della scrivente, venuta a mancare da pochi mesi.
La governante di Alberto Sordi si chiamava Pierina Parenti, era nata a Piglio e nel lontano 1953, a soli vent’anni, entrò “a servizio” del grande attore romano. Egli si recava spesso in paese a far visita alla famiglia della ragazza e amava passeggiare tra i vicoli del centro storico. Il signor Filiberto Graziani ricorda infatti di averlo incontrato: “ero con i miei amici in piazza Santa Maria Assunta e notammo Alberto Sordi davanti alla chiesa. Doveva venire spesso qui a Piglio in visita d’onore alla famiglia della sua governante. Noi paesani lo chiamavamo tutti per salutarlo “Albertone! Albertone!” e lui, di certo, non ci evitava; al contrario, ricambiava il saluto con uno scherzoso “Padre, Figlio e Spirito Santo!”, inscenando una sorta di benedizione con cui trasmetteva gioia e allegria come solo una persona energica e divertente come lui sapeva fare”.
“A Piglio – mi raccontò zia Ennia – lo sapevamo tutti che durante le riprese di “Anastasia Mio fratello” Alberto alloggiava presso l’ex albergo Punta del Sud. Infatti, io e le mie amiche andavamo lì a vederlo. C’erano persino molti curiosi, giunti dai paesi limitrofi con pullman e roulotte, per non perdersi l’occasione di assistere alle riprese”.
“Chi voleva fare la comparsa – mi riferisce Filiberto – poteva iscriversi e sarebbe stato ingaggiato. C’erano delle persone di riferimento a cui potevi rivolgerti per l’iscrizione. Ho partecipato anche io come comparsa e alla fine mi hanno pure pagato”.
Il capolavoro firmato da Vanzina ha inizio esattamente con una ripresa dall’alto: dal cortile del Convento di San Lorenzo l’inquadratura spazia da una breve visuale sul paese per soffermarsi sul campo di calcio, situato sul prato sottostante il cenobio pigliese, alla cui sinistra è visibile l’ex albergo Punta del Sud. Lo zoom della scena inquadra una partita di calcio in corso: “Partecipai – riprende Filiberto con vena ironica – alla ripresa della partita di calcio: preti contro frati. Dovevamo simulare un goal di testa e quindi dovevamo passare il pallone a Sordi per farlo segnare. Nel film si vedono infatti dei passaggi che farebbero invidia a un giocatore di Serie A, ma nella realtà dovemmo ripetere la scena più volte perché Alberto non riusciva a centrare la palla”.
Nella pellicola si sente all’improvviso il rintocco delle campane, che iniziano a suonare esattamente nel momento in cui il pallone colpisce il protagonista. A questo punto la scena si sofferma su un prete, intento a suonare le campane.
Ebbene, anche il ragazzo in questione è un pigliese: Fernando Saccucci (Fernando Spacca), classe 1941, che ha voluto condividere la sua esperienza: “a Piglio si sapeva che cercavano delle comparse per girare un film. Era un’ottima opportunità per noi del posto per divertirci e nel contempo guadagnarci qualche lira. Così mi recai al campo sportivo a San Lorenzo. C’erano molti compaesani che vennero subito presi per fare le squadre di calcio, vestiti con le tuniche da frate o da prete. Io invece rimasi indietro… Mi lasciarono in attesa, non capivo perché. Poi Vanzina mi diede una veste nera. Dopo un po’ arrivò il guardiano del convento che mi accompagnò nel cortile interno e mi fece salire sulla torretta del campanile. Il regista mi disse che dovevo chiamare ad alta voce Don Salvatore e così feci: “Don Salvatore, Don Salvatore! Venite, venite! Currite, currite subito qua! Il Padre Rettore vi deve parlare …”.
A questo punto, Vanzina dovette annunciare “buona la prima!”, visto che a detta di Fernando: “non ci fu il bisogno di ripetere la scena. Sordi si congratulò con me dicendomi che, se avesse fatto fare quella parte a un attore professionista, probabilmente “avrei dovuto rifà la scena tante vorte”“.
Successivamente la telecamera fa lo zoom sul nostro amato Convento, icona della storia di Piglio e del territorio circostante. L’antico cenobio rientra tra le prime dimore francescane del Basso Lazio. Fu Francesco D’Assisi in persona a farvi insediare i suoi seguaci attorno al 1220, ossia nei primi anni di vita del movimento che lui stesso aveva fondato. Il Poverello d’Assisi aveva avuto in dono l’appezzamento di terreno ai piedi del Monte Scalambra dall’abate Giovanni di San Paolo, braccio destro di papa Innocenzo III, e intitolò la dimora francescana a San Lorenzo, in quegli anni già Patrono di Pilleum (Piglio).
Tornando al film, oltre alla scena della partita di calcio “Preti vs Frati” – che scopriamo essere i Cappuccini, da quanto riferisce Sordi nella scena del dialogo con il Padre Rettore – e a quella dal campanile con il nostro Fernando, a Piglio venne girato un terzo spezzone: la partenza di Don Salvatore.
Dopo aver ricevuto la lettera dal fratello, il prete deve partire immediatamente per l’America: il Padre Rettore scende dalla scala del muraglione del convento con una valigia; alle sue spalle si vede passare un gruppetto di giovani frati. Si tratta di comparse “scritturate” tra gli abitanti del posto, tra i quali anche il padre della scrivente: “ricordo che alla fine a tutti noi partecipanti offrirono da mangiare: una rosetta con la mortadella“.
A questo punto, Don Salvatore è in procinto di partire con la Balilla, pronta nel piccolo spiazzo erboso, situato ai piedi del cenobio. Filiberto partecipò anche a questa ripresa, in cui si vede un gran numero di persone, affacciate dalle finestre del Convento e dal muraglione, per salutare l’attore-protagonista con il fazzoletto in mano: oltre al papà della scrivente, presenti anche il bisnonno (Alfredo Noro-Micitto), la nonna paterna Domenica (Memmuccia Micitto) e la zia Raffaella (Ffèla Micitto).
E mentre gli amici di Giorgio continuavano a burlarsi di lui chiedendogli se Monicelli non lo avesse per caso insignito del Premio Oscar come miglior “S…Comparsa”, Fernando si tenne la tunica nera come ricordo finché non la utilizzò come maschera da Zorro a Carnevale per il figlio Aldo.
Scherzi a parte, per Piglio è stato un vero onore aver rivestito il ruolo di set cinematografico per due film che hanno segnato la storia del Cinema italiano e hanno lasciato un segno indelebile nel cuore di tutti i partecipanti: “Grazie a tutti! – annuncia Sordi, prima di salire in macchina – e voi pregate per me! Vi scriverò dall’America”.
Ma forse siamo noi pigliesi a non poter smettere di ringraziare Monicelli e Sordi per aver scelto il nostro paese come sfondo delle loro pellicole: il primo avrà colto il lato medievale, quello più oscuro e affascinante che lega il borgo al suo passato occulto; il secondo, lo spirito umoristico e accogliente dei suoi abitanti. Malgrado gli anni trascorsi, la vivacità e l’ondata di energia che Brancaleone e Don Salvatore hanno trasmesso alla comunità pigliese non si sono spente e continuano a scintillare nel brio dei racconti di chi ha vissuto questa breve ma leggendaria esperienza.
L’autrice dell’articolo: Martina Pirosini
Martina Pirosini è originaria di Piglio. Ha conseguito la Laurea Triennale in Mediazione Linguistico-Culturale e la Laurea Magistrale in Scienze Linguistiche, Letterarie e della Traduzione presso l’Università degli Studi La Sapienza in Roma. Per la tesi di laurea ha tradotto in italiano la prima Guida dei Vini Russi 2013, mediante la quale ha compiuto un’analisi della terminologia russa del vino per specializzarsi come traduttrice per le aziende vinicole. È appassionata di storia locale e ha condotto delle ricerche sul misterioso passato pigliese, soprattutto sul Medioevo e sulla Seconda Guerra Mondiale. Nel 2023 ha pubblicato il libro “Piglio Occulta”, uno studio inedito sui simboli rinvenuti nei portali del centro storico, scritto insieme al ricercatore e storico Giancarlo Pavat e alla professoressa di storia dell’arte Marisa D’annibale. Ha collaborato ed è tuttora molto attiva nell’organizzazione di eventi enogastronomici e culturali come Borgo DiVino e le Passeggiate del Mistero, volti a riscoprire e a valorizzare le bellezze e le vicende meno conosciute del territorio. Al momento, si sta dedicando alla stesura di nuovi testi che parlano di storia, vino e altri segreti.