La condanna in primo grado: 9 anni di reclusione
Nel 2018 il Tribunale di Frosinone aveva inflitto una dura condanna a Giuseppe I., oggi settantenne, riconoscendolo colpevole del reato di violenza sessuale ai danni di una giovane donna. La sentenza aveva previsto 9 anni di reclusione, parte dei quali scontati in carcere e ai domiciliari. Tuttavia, l’imputato non ha mai smesso di proclamare la propria innocenza, affidandosi alla difesa dell’avvocato Giampiero Vellucci per ribaltare il verdetto in Appello.
La svolta: la difesa evidenzia le contraddizioni
Il caso prende una piega diversa quando la difesa solleva dubbi sulla credibilità delle accuse. Secondo l’avv. Giampiero Vellucci, la denuncia della giovane mancava di elementi di spontaneità e risultava essere stata presentata solo un anno dopo la nascita del bambino. Un dettaglio rilevante, emerso nel corso del processo, è stato il test del DNA, che ha escluso la paternità del bambino da parte del giovane inizialmente ritenuto tale. Questo elemento ha suscitato perplessità sulla reale dinamica dei fatti.
La sentenza della Corte d’Appello: “Il fatto non sussiste”
La Corte di Appello di Roma, accogliendo le argomentazioni della difesa, ha ribaltato completamente il verdetto di primo grado. Il collegio giudicante ha stabilito che le prove raccolte dal Tribunale di Frosinone non erano univoche e certe, e ha quindi pronunciato l’assoluzione con la formula “perché il fatto non sussiste”. Una decisione che ha segnato la fine di un’odissea giudiziaria durata anni per Giuseppe I., che ora può finalmente dichiararsi libero da ogni accusa.
Un caso che fa discutere
L’assoluzione ha suscitato grande clamore a Ferentino, dove la vicenda aveva acceso un acceso dibattito tra i cittadini. Il ribaltamento della sentenza in secondo grado solleva interrogativi sulla gestione dell’intero procedimento e sull’importanza di valutare con estrema attenzione ogni elemento probatorio prima di emettere condanne tanto severe.