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    Home » Giovedì e Venerdì Santi a Veroli, i sepolcri e la processione mattutina dell’Addolorata
    Frosinone e Provincia

    Giovedì e Venerdì Santi a Veroli, i sepolcri e la processione mattutina dell’Addolorata

    26 Marzo 20244 Mins Read
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    di Monia Lauroni

    Vita e morte, speranza e lacrime, gioia e lutto. C’è il ciclo dell’esistenza umana, e della natura intera, nei riti della Settimana Santa verolana, che si declina in tutto il paese con manifestazioni che partono dalla domenica delle Palme per concludersi una settimana dopo, nella Resurrezione: apoteosi, affermazione vittoriosa dell’ordine sul caos, della luce sul buio. 

    Il Giovedì Santo si entra nel vivo della tradizione con le visite ai “sepolcri”. Gli altari addobbati con fiori bianchi, spighe, candele, fasci di grano messi a germogliare al buio e intrecciati, un rito centenario di rigenerazione con cui gli uomini verolani ristabiliscono il contatto con Dio. 

    Altari “barocchi”, quasi a  rappresentare la devozione senza limiti, la ricchezza che si oppone alla povertà, l’abbondanza alla carestia. Come rivoli colorati, i fedeli convergono verso quelle immagini, immersi nell’atmosfera mantegnana dei vicoli e delle Chiese antiche in una scenografia di fiori, lumi, preziosi arredi lignei e magnifici drappi che tramandano il fasto della liturgia barocca, un momento di incontro tra la religione e l’arte in grado di provocare forti suggestioni, conservando un fascino intatto da secoli. 

    Il Venerdì, prima dell’alba, la processione dell’Addolorata. Un rito che può definirsi la più sentita espressione della fede di un popolo verso la Madre di Cristo.  Il Venerdì Santo a Veroli, da oltre duecento anni porta il volto della Madre Addolorata. Secoli di culto, che iniziano alle cinque del mattino.  Giorno di preghiera, di pentimento, di devozione. 

    Come orfani di Dio si inizia ad attraversare quel tragitto che separa due capi opposti di buio. Un buio di mestizia e drammaticità. Un buio complesso e arcaico impregnato di penitenza e di preghiera. Prima la Croce a richiamare la pena che pulisce e apre al mondo più dell’uomo sazio. La Madre Addolorata percorre le vie del paese, portata a spalla dai Fratelli della Confraternita della Morte Carità ed Orazione e Pia Unione dell’Addolorata. 

    Sono passi penitenti, che toccano la terra, nudi e votivi. Piedi che chiedono e a volte ringraziano. Silente l’aria non vibra. L’intimità dei pensieri si tocca a capo basso di chi cammina accanto. Litanie che evaporano come impronta di un dito. Ad accompagnare il passo lento e cadenzato solo il canto straziato dei fratelli, che giunge nell’alba crudele. 

    Le chiese aprono le porte. Entra la Madonna. Si prega. Si riparte. Quando la Madonna si ferma, le donne in fila l’una dietro l’altra vanno a toccare il manto con un gesto breve delle dita come si fa nell’acquasantiera. Dicono qualcosa di solo loro nel canto. 

    Nel ventre del paese, tra i vicoli pietrosi, tra il grigio d’ombra naturale delle case dove c’è posto solo per finestre chiuse illuminate dal raggio radente delle lampade, si procede con l’andatura di un latrato. 

    Il corteo è un’immagine di aria e pietra, di gesto e assenza. La sfocatura delle cose prende una definizione estrema, e il lamento delle preghiere diventa cosa visibile. Il corteo procede lento un passo dopo l’altro verso un azzurro sbiadito di bianco, come uccelli svuotati di canto. 

    Si gira in tondo, come nastro di velluto sciolto. Sull’uscio delle porte stanno i vecchi, stanchi più dell’attesa che del percorso. 

    “Arriva la Madonna“, la parte alta del paese si inchina a quel dolore antico, scende verso il borgo di sudore e pietra e tutto si eleva al suo nero penitente. 

    Abitudini che tornano, ore che cambiano, stagioni che ruotano. Tocco perfetto dell’ incurante bellezza del creato, ai piedi di quel manto materno e leggero, spostato come seme nel vento. La carne non è più dolore di vene aperte, di unghie spezzate, ma tepore dell’esserci, profondo e pieno, pianissimo. 

    Lento il fluire dei minuti, lento ed esitante il giorno a dare luce. Speranza e redenzione, vita e morte si nutrono in fondo di cecità. Vogliono un nome e infine pace, come ogni cosa l’espansione, come il calore l’altezza, come Veroli una Madre. 

    E’ pace per il poco corpo, per la mente che non sente sapori, per gli affanni che gridano sotto le porte della veglia. 

    Si resta così, pietrificati davanti a quel passaggio che scorre silente come acqua. Indifferente s’avanza il giorno. Le nuvole del mattino si posano sulla cima delle colline come il velo sulla fronte della Madonna. 

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