articolo e foto di Errico Rosa, architetto e già docente di Storia dell’Arte
Minuto, magro, uno sguardo timido e occhi chiari, cerulei, Normanno Soscia mi accoglie nella dimora d’artista, un bel casolare che si adagia sulle pendici del monte che sovrasta Itri e il suo castello, regalando una spettacolare vista panoramica; un luogo di meditazione solitario ma anche di ritrovo conviviale per l’appagamento non solo dello spirito.
Il suo studio – ove tutto è a posto e pulito, alcun pennello risulta fuori posto, nessuna macchia di colore a sporcare il pavimento o i piani di lavoro – riflette un equilibrio interiore che conferisce all’artista una fattuale serenità.
Mi mostra la casa dove tiene esposte le opere che mi presenta come fossero le sue figlie. Tutte risultano accuratamente appese al muro secondo un’attenta disposizione, altre poste su cavalletti mobili, ognuna di essa gelosamente custodita.
Soscia, classe 1938, non ama apparire. E’ comunque un personaggio dalla pacata personalità, decisa e determinata all’occorrenza.
Mi racconta storie e riferisce aneddoti, esperienze vissute da bambino e giovinetto che ascolto con piacere, e che avrei ascoltato ancora per ore, nonostante una iniziale sua reticenza.
Mi illustra i suoi dipinti e gli oggetti che lo circondano nello spazio creativo. Dalle opere è fortemente evidente la componente onirica ed ironica al contempo. “Il sogno” è il fulcro delle sue storie, è lo strumento che gli ha permesso di superare i drammi del suo vissuto, fatto di dolorose rinunce ed aspri sacrifici.
La pittura diviene quindi lo strumento di rigenerazione, di esternazione, ovvero il prolungamento della propria esperienza esistenziale su cui incombe tuttavia l’epilogo fatale dell’inevitabile e comune destino.
Ognuno di questi quadri racconta una storia per divenire scrigno di ricordi e di elementi rappresentativi da menzionare e illustrare. Egli si pone, mediante profonde riflessioni, in un rapporto di dialogo con ciò che lo circonda – oggetti e cose – prolungandone i riverberi all’interno delle opere. Queste sono il cuscino sul quale adagia quesiti esistenziali e propone soluzioni.
Elementi di un inconscio, spesso tormentato, che cerca equilibrio con il mondo reale all’interno dello spazio della rappresentazione pittorica mediante un linguaggio visivo lirico, poetico.
La mitologia; la morte; la vita; il sesso, simbolicamente raccontato; il rapporto simbiotico uomo-donna; le aspirazioni; i sentimenti e i desideri d’infanzia irrealizzati; riferimenti a racconti e storie popolari sono i suoi attori, intimamente trattati e messi a nudo con spatola e pennello.
Ogni esperienza pregnante del suo vissuto trova ineluttabile citazione nella narrativa visiva. Così pure la sfera dei suoi affetti e sentimenti trova dimora nei suoi lavori densi di simbolismo.
La ricerca di Soscia riprende gli aspetti simbolici del surrealismo di Chagall in una chiave interpretativa del tutto personale. Anticipa l’estetica felliniana, che in campo cinematografico presenta – parimenti – combinazioni di elementi surreali, onirici e realistici spesso mescolati assieme in modo magico e spettacolare. Scene di circo, carnevali, sogni e fantasie, si susseguono assieme ad un’attenzione particolare per la psicologia dei personaggi profondamente umani, e per le loro interazioni.
L’arte di Soscia si propone come mezzo attrattivo, attraverso il quale egli esplora e interpreta il mondo circostante trasformando le riflessioni esistenziali in opere che invitano i fruitori non solo a partecipare al dialogo e alla riflessione ma a trovare asilo nel sogno come dimensione salvifica.