Quello che doveva essere un tavolo di confronto sul futuro della cooperativa si è trasformato in un annuncio che ha lasciato tutti basiti. Unicoop Etruria, realtà nata dall’unione di Unicoop Tirreno e Coop Centro Italia, ha deciso di tagliare ventiquattro negozi della propria rete tra insegne Coop e Superconti. Il bilancio umano è pesante: oltre cinquecento lavoratori rischiano il posto in cinque regioni del centro Italia.
La provincia di Frosinone perde l’ultimo presidio cooperativo rimasto. Dopo aver visto chiudere i battenti prima lo store di Frosinone città e poi quello di Anagni, ora tocca a Fiuggi dire addio al supermercato con il marchio della cooperazione. Un progressivo ritiro che lascia un vuoto commerciale e sociale in un territorio già fragile.
Quello che fa discutere, oltre ai numeri della crisi, è la modalità con cui è stata gestita la comunicazione. I soci della cooperativa, che versano regolarmente le quote associative e hanno affidato i propri risparmi attraverso il meccanismo del prestito sociale gestito spesso proprio nei negozi ora destinati alla chiusura, sono stati tenuti completamente al buio fino all’ultimo momento. Nessun preavviso, nessuna consultazione.
Nel Lazio il conto è salato: nove supermercati destinati alla dismissione. Oltre a Fiuggi, l’elenco comprende gli store Coop di Pomezia, Colleferro, Valmontone, Fonte Nuova e Ruderi di Torrenuova, più tre punti Superconti a Impruneta, Capena e Orte. Nella capitale e nell’area metropolitana, mentre i clienti riempiono i carrelli per le feste, i dipendenti vivono giornate di angoscia pensando al domani.
I conti della cooperativa raccontano una storia difficile. Il bilancio più recente mostra una perdita di oltre sette milioni di euro, in netto contrasto con l’utile superiore al milione registrato appena l’anno precedente. Una situazione che ha spinto il management a intervenire drasticamente sia sugli uffici centrali che sui punti vendita.
Dal supermercato di Fonte Nuova arriva la voce di chi vive questa crisi sulla propria pelle. “Ci troviamo da un momento all’altro senza lavoro a causa di errori nella gestione aziendale, e siamo noi a pagarne le conseguenze”, spiega una dipendente. Uno sfogo che rappresenta il sentimento di centinaia di persone che si sentono abbandonate.
Le sigle sindacali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno reagito con forza, definendo inaccettabile il progetto di ristrutturazione. Per il 18 dicembre è stata indetta una giornata di sciopero in tutta la rete Unicoop Etruria e Superconti. “Questo modo di affrontare questioni così serie è inammissibile”, dichiara Giulia Falcucci, responsabile della Fisascat Cisl Roma. “Il nostro impegno sarà trovare alternative che proteggano tutti i posti di lavoro, sperando che emergano acquirenti interessati a rilevare i negozi in vendita”.
La rappresentante sindacale evidenzia un problema generazionale critico: “Parliamo di persone intorno ai cinquant’anni, in una fascia d’età che rende molto complicato sia accedere alla pensione sia reinserirsi nel mercato occupazionale”. Per questo motivo annuncia che verranno coinvolti anche gli enti locali nella ricerca di soluzioni.
Anche Fabio Fois, dirigente della Filcams Cgil di Roma e Lazio, esprime durezza: “Vengono cacciati dipendenti con venti o trent’anni di servizio nella cooperativa. Chiudere supermercati in zone dove rappresentano un punto di riferimento per intere comunità significa ignorare l’impatto sociale che queste decisioni comportano per famiglie e territorio”.
Il fronte sindacale unito contesta la narrazione aziendale secondo cui si tratterebbe di scelte inevitabili seppur sofferte. “Chiediamo dignità per chi ha dedicato anni alla cooperativa e oggi viene ridotto a una voce di bilancio da eliminare per sistemare i conti”, affermano le tre organizzazioni. Il timore è che senza veri investimenti nella rete commerciale e nella formazione del personale, questa ondata di tagli rappresenti solo l’inizio di un declino irreversibile.
Oltre allo sciopero nazionale del 18 dicembre, sono previste otto ore aggiuntive di astensione dal lavoro gestite dai coordinamenti locali. La mobilitazione è solo all’inizio.
All’inizio del mese Unicoop Etruria aveva presentato con toni ottimistici il proseguimento del Piano industriale 2025-2027, sottolineando come le strategie commerciali puntassero al consolidamento della nuova realtà nata dalla fusione. Secondo i comunicati ufficiali, le politiche di riduzione prezzi avrebbero già dato frutti positivi in termini di vendite e quote di mercato, accompagnate da operazioni finanziarie per duecento milioni di euro volte a rafforzare la solidità patrimoniale.
Per quanto riguarda Roma, l’azienda ribadisce l’impegno strategico sulla capitale, confermando la presenza nei quartieri di Primavalle, Torrevecchia, Giustiniani, Laurentina e Casilina. Ma queste rassicurazioni non bastano a tranquillizzare chi rischia di perdere il lavoro.
La giustificazione fornita dall’azienda per le dismissioni fa riferimento a un’analisi approfondita che avrebbe evidenziato l’insostenibilità economica dei ventiquattro negozi, dovuta a cambiamenti nelle dinamiche di mercato, trasformazioni demografiche, sovrapposizioni territoriali tra diversi punti vendita o eccessiva distanza dai bacini d’utenza principali.
Il piano complessivo coinvolge, oltre ai nove store laziali (tra cui quello simbolicamente importante di Fiuggi), dieci strutture in Umbria, una in Toscana, due in Abruzzo e due nelle Marche. A questi si aggiungono centottanta posizioni nelle sedi operative di Vignale e Castiglione del Lago.
La scomparsa del supermercato di Fiuggi segna un momento particolarmente amaro. Dopo l’addio agli store di Frosinone e Anagni, la cooperazione esce definitivamente dalla provincia ciociara, privando migliaia di associati e clienti del loro punto di riferimento storico.
Mentre l’azienda parla di scelte meditate e responsabili verso la base sociale, dall’altra parte lavoratori, associati e rappresentanze sindacali si preparano a una battaglia per salvare occupazione e presenza territoriale. In gioco non ci sono solo posti di lavoro, ma anche il futuro di un modello di distribuzione che ha rappresentato per decenni un’alternativa nel panorama della grande distribuzione organizzata.




